Anna

Anna – 1 Sam 1,20-22.24-28 – Santa Famiglia C

Anna. Quando Dio presentò all’uomo colei che doveva essere la compagna della sua vita, Adamo esultò di gioia ed esclamò: Si chiamerà Eva – in ebraico hawwah – che non è un nome proprio, ma significa semplicemente colei che dona vita.

Vita è dunque l’identità della donna; tutto in lei parla di vita, accoglienza, disponibilità, servizio alla vita. In lei la vita germoglia, sboccia, cresce e viene consegnata al mondo. Il desiderio di avere un bambino è radicato nella costituzione biologica di ogni donna.

Anna, la protagonista della Prima Lettura di oggi, come Sara, Rebecca, Rachele, come la madre di Sansone e la madre del Battista è sterile.

La sterilità di Anna non è motivo di umiliazione da parte di Elkanà, suo marito, che anzi intensifica le sue dimostrazioni di delicatezza e d’affetto verso di lei: «Anna, perché piangi? Perché non mangi? Perché è triste il tuo cuore? Non sono forse io per te meglio di dieci figli?» ( 1 Sam 1,8).

Anna però, come ogni donna d’Israele, considera la sterilità come un castigo, e la sua unica consolazione e l’unica speranza è la preghiera:

«Signore degli eserciti, se vorrai considerare l’afflizione della tua serva e ricordarti di me, se non dimenticherai la tua serva e darai alla tua serva un figlio maschio, io lo offrirò al Signore per tutti i giorni della sua vita e il rasoio non passerà sul suo capo» (1 Sam 1,11). Sarà cioè un nazir, un consacrato al Signore.

È importante sottolineare come la pietà religiosa divenga in Anna una pietà personale. Il singolo non entra in rapporto personale con Dio, a meno che il singolo non sia rappresentante della nazione. Anna prega per sé, perché il Signore le conceda il dono di un figlio. La preghiera è personale.

Di più: non è fatta a voce alta, ma Dio è intimo all’uomo e lo ascolta, conosce i suoi sentimenti più segreti, nascosti.

Eli, il sacerdote del tempio, erra nel giudicare Anna. Vede che muove le labbra, ma non sente alcuna voce. Pensa che sia ubriaca, ma Anna prega con intensità e la sua preghiera manifesta il passaggio a una preghiera intima, una preghiera del cuore.

In questa preghiera Anna vive un vero rapporto con Dio, non vede Eli, tutto si fa estraneo, si dimentica del mondo circostante, parla al Signore, soltanto a lui si apre, a lui soltanto.

Poi, con l’anima afflitta e la sua sensibilità a fior di pelle, Anna risponde a Eli:

«No, mio signore! Io sono una donna affranta e non ho bevuto né vino né altra bevanda inebriante, ma sto solo sfogando il mo cuore davanti al Signore. Non considerare la tua serva una donna perversa, poiché finora mi ha fatto parlare l’eccesso del mio dolore e della mia amarezza» (1 Sam 1,15-16),

Eli allora le risponde: «Va’ in pace! E il Dio d’Israele ti conceda quello che gli hai richiesto» (1 Sam 1,17).

Dice il testo che Anna, dopo l’augurio del sacerdote, cambia volto: prima era triste, amareggiata, piangeva, ora diviene serena accogliendo l’augurio di Eli come promessa di Dio.

A questo punto si inserisce la Prima Lettura di oggi, costituita da due parti, legate per il senso, non per la continuità: la prima ricorda la nascita di Samuele e l’impegno a consacrarlo al Signore (vv. 20-22), la seconda realizza l’effettiva consacrazione del figlio (vv. 24-28).

«In quei giorni, Anna concepì e partorì un figlio e lo chiamò Samuele, “Perché – diceva – dal Signore l’ho impetrato» (1 Sam 1,20).

Anna, la moglie di Elkanà, dà alla luce un figlio: Samuele. Ed esclama, riferendosi al nome: «dal Signore l’ho impetrato».

Si noti la gratitudine di Anna verso il Signore, anche nell’imposizione del nome del figlio: l’etimologia è fatta solo per assonanza (di per sé Samuele significa: «nome di Dio»), ma fondamentalmente vuole esprimere che Dio soltanto è all’origine della vita.

Pure Eva, allorché partorisce Caino, non può trattenersi dall’esprimere la propria meraviglia con una frase analoga a quella di Anna: «Ho generato un uomo col favore del Signore» (Gn 4,1).

La prima nascita umana, così, è posta sotto il segno della lode a Dio.

Eva si rifiuta di vedere nella nascita di un figlio un fenomeno puramente biologico. È convinta che la venuta al mondo di un bambino esige la «complicità» di Dio.

La sua esclamazione esprime un’esperienza fondamentale: il bambino, anche se arriva attraverso una via normale, naturale, è miracolo.

E, dal momento che l’ha «generato col favore del Signore», non può stabilire col figlio un semplice rapporto di possesso, esercitare su di lui un potere totale. Deve assumere un atteggiamento di sorpresa e soprattutto di rispetto del mistero contenuto in quel fatto naturale.

Molto importante è il particolare annotato dal testo nel versetto successivo (v. 21).

Si dice che Elkanà si reca a Silo a offrire il sacrificio annuale al Signore e a soddisfare il suo voto.

A ben vedere, tuttavia, non è lui che ha fatto il voto, ma sua moglie.

È evidente che siamo indotti a pensare che Elkanà abbia fatto proprio il voto di Anna e vi si sia associato.

Questo dettaglio va letto nella prospettiva della normativa sui voti, contenuta in Nm 30,2-17.

Secondo questa legge, se una donna sposata si impegnava con voto davanti al Signore, il marito poteva decidere di ratificare o meno il proposito di sua moglie.

Dietro questa norma vi è evidentemente la concezione fortemente patriarcale della famiglia tipica di tutte le società antiche.

Il fatto che Elkanà faccia proprio il voto di Anna lo caratterizza implicitamente come una figura estremamente positiva.

Sebbene la promessa di sua moglie di consacrare per sempre al servizio del Signore il loro unico figlio non sarebbe stata certamente semplice, Elkanà, pur avendo potere di rifiutare quel voto, lo accoglie come atto d’amore verso Dio e verso sua moglie.

Anna non si reca al santuario con suo marito: in obbedienza alla sua promessa, attende di svezzare Samuele per recarsi a Silo, quando il bambino avrà raggiunto l’età per poter restare definitivamente al servizio del Signore.

Lo svezzamento di un figlio è un momento importante nella vita delle famiglie del Vicino Oriente antico: molto spesso questo momento è accompagnato da una festa.

Per Anna, questo momento nella vita di Samuele non sarà soltanto motivo di gioia per la crescita di suo figlio, ma sarà il momento della fedeltà alla parola data al Signore e della sua obbedienza a lui.

Mantenendo il voto da lei pronunciato, Anna ed Elkanà si recano al santuario di Silo insieme al loro figlio Samuele appena quest’ultimo è stato svezzato.

Il sacrificio da essi offerto è notevole e si caratterizza per la sua abbondanza, La disponibilità di un giovenco non è prerogativa di tutti e un efa di farina è una misura abbondante (circa 45 litri); inoltre l’offerta del vino potrebbe essere un indizio del carattere gioioso del momento (cf. Sal 104,15).

Vanno a celebrare una festa, non a piangere, anche se sono ben coscienti che ritorneranno a casa soli.

Presentando il fanciullo a Eli, Anna gli dice:

«Ti prego, mio signore. Per la tua vita, signor mio, io sono quella donna che era stata qui presso di te a pregare il Signore. Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho chiesto. Perciò anch’io lo do in cambio al Signore: per tutti i giorni della sua vita egli è ceduto al Signore» (vv. 26-27).

«Cederlo» a Dio significa considerare il figlio non come proprietà intoccabile, ma quale dono. Al posto dei diritti, la riconoscenza. Non la rivendicazione, ma la responsabilità. Anna rinuncia a disporne. Lo mette a disposizione.

Attenzione merita l’espressione «il fanciullo era con loro»: in ebraico, il termine na’ar significa sia «fanciullo» sia «servo». Una volta introdotto nel santuario, Samuele diviene servo, la sua vita è per sempre consacrata al Signore, al suo servizio.

La cerimonia si conclude con un gesto significativo: «E si prostrarono là davanti al Signore» (v. 28). La prostrazione finale, in cui sono inclusi Samuele e i suoi genitori, è il segno di questa avvenuta consacrazione al Signore.

Il fatto che non sia soltanto il fanciullo a prostrarsi al Signore richiama una verità fondamentale. Non è soltanto lui a consegnare la propria vita a Dio.

Il testo mira a presentare il quadro di un’intera famiglia che vive davanti a Dio in una relazione di obbedienza e di fedeltà:

Elkanà, che accoglie con amore e disponibilità il voto impegnativo di sua moglie, per amore di lei e del Signore;

Anna, che dona con generosità suo figlio, secondo quanto promesso;

il fanciullo Samuele, la cui vita è affidata alle mani di Dio.

La prostrazione finale, vissuta insieme, ricorda come Elkanà, Anna e Samuele condividono la certezza di appartenere interamente a Dio e di ricevere tutto dalle sua mani.

Con genitori così sensibili e attenti ai disegni di Dio non stupisce che il figlio Samuele diventi poi uno dei personaggi eminenti della storia d’Israele.

Nella Bibbia è chiamato veggente, sacerdote, giudice, profeta e guiderà saggiamente Israele in un momento particolarmente difficile.

Foto: Santa Famiglia, arazzo / arazzimoderni.it

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