Ml 3

Ml 3,19-20a – XXXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

 

L’autore

Ml 3 – La prima lettura
è tratta dal profeta Malachia.

Attivo tra la fine del VI
e la prima metà del V secolo a.C.,
il profeta Malachia, il cui nome
o pseudonimo in ebraico è emblematico
(«messaggero del Signore»)
è l’ultimo dei Profeti Minori.

Il suo libro (di appena 3 capitoli)
è l’ultimo dell’Antico Testamento e,
nella Bibbia, è posto subito prima
del Vangelo secondo Matteo.

Tra questo libro e la nascita di Gesù
passeranno più di quattrocento anni,
anni del “Silenzio di Dio”,
perché non parlerà più nessun altro profeta
fino alla venuta di Giovanni “Battista”,
il precursore del Messia.

Ml 3 – Contesto storico

Malachia vive in un tempo alquanto difficile.

Gli esuli deportati a Babilonia nel 587 a.C.
sono tornati già da parecchi anni.

Si sono fidati delle parole dei profeti
che avevano assicurato un regno di pace
e di giustizia, eccoli invece in una società
dove furti, soprusi, violenze contri i deboli
non accennano a diminuire.

Inoltre, il dilagare della corruzione genera
in alcuni una reazione del tutto particolare.
Essi, infatti, vedendo impuniti i malvagi,
si lasciano tentare dalla sfiducia
e ritengono perciò inutile l’osservanza
dei precetti morali e religiosi:

«È inutile – dicono infatti – servire Dio:
che profitto c’è nell’osservare i suoi precetti
o camminare in lutto davanti al Signore
degli eserciti?

Dobbiamo invece
proclamare beati gli arroganti,
i quali, pur facendo il male,
prosperano
e pur provocando Dio
restano impuniti» (Ml 3, 14-15).

È la tipica protesta
nei confronti dell’ingiustizia trionfante
e dell’onestà conculcata,
una protesta che può però trasformarsi
in tentazione di imitare i perversi
così da ottenere il loro stesso successo.

Malachia sente questo genere di discorsi
ma non s’indigna. Capisce che
quando si ha il cuore amareggiato
ci si sfoga in questo modo.

Capisce soprattutto che il popolo
non ha bisogno di rimproveri,
ma di parole di consolazione
e di speranza, per questo motivo
cerca di infondere coraggio.

È vero – dice –
che le circostanze sono drammatiche,
ma non si può vacillare,
bisogna invece continuare fedeli al Signore
e presto si vedrà la differenza
fra il giusto e l’empio,
tra chi serve Dio e chi non lo serve (Ml 3,18).

Ai fedeli
scandalizzati dalla felicità degli arroganti,
il Signore replica affermando
che tutto è scritto nel libro della storia,
conservato in attesa del «giorno» per eccellenza,
ovvero quello del giudizio.

È a questo punto che,
sul finire del breve libro di Malachia
(55 versetti in tutto),
compare il nostro minuscolo testo,
composto da due soli versetti.

Ml 3 – «Il giorno del Signore»

L’elemento decisivo,
quello cioè che fa sussultare la storia
conferendole una novità irreversibile
è l’annuncio della venuta
del «giorno del Signore».

L’immagine del «giorno del Signore»
era già stata coniata da Amos,
il primo dei profeti scrittori (VIII sec. a.C.),
che l’aveva peraltro “sceneggiata”
in un quadretto mobilissimo
di estrema densità e tensione (Am 5,18-20).

Alle spalle di un fuggiasco
si ode l’ansito di un leone.
Ecco, all’improvviso
pararsi innanzi anche un orso.
Eppure quell’uomo
riesce a schivare entrambi gli incubi.

Finalmente eccolo riparato in casa.
Spossato, appoggia la mano ad una parete:
una serpe velenosa gli si attorciglia
e lo morde.

Il «giorno del Signore» è, quindi, inevitabile;
è il punto della storia in cui Dio entra in scena
in modo decisivo e inaugura il suo regno
di giustizia e di pace.

Ml 3 – Effetti del «giorno del Signore»

Dopo aver accennato all’imminenza di tale giorno
Malachia ne rappresenta gli effetti sugli uomini.

In quel “giorno”,
non segnato nei calendari degli uomini
e nelle previsioni metereologiche,
il Signore decide di colpire i malvagi
e di far trionfare i giusti.

«Ecco sta per venire
il giorno rovente come un forno» (Ml 3,19)

Il «giorno del Signore» è paragonato a un “forno”
la cui temperatura elevata brucia tutto;
niente può resistere.

La categoria dei “superbi”, poi illustrata
come «coloro che commettono ingiustizia»
non avrà scampo e la sua distruzione
sarà perciò totale e definitiva.
In effetti, non resterà più
«né radice né germoglio».

A dire il vero, le immagini
a cui ricorre l’autore sacro
sono piuttosto dure
ma sarebbe ingenuo e fuorviante
interpretarle alla lettera.

L’«ira di Dio» non è che un’espressione
del suo incontenibile amore.
Con questo antropomorfismo
– peraltro frequente nella Bibbia –
l’autore sacro vuole mettere in risalto
la passione del Signore per il suo popolo
che sta soffrendo.

Vuole ricordare a tutti
la serietà del suo amore,
il suo coinvolgimento nel patto
che lo lega all’uomo,
e, infine, la sua vittoria contro ogni male,
contro ogni ostacolo
che si frapponga alla sua opera di salvezza.

Il fuoco poi non è appiccato alle persone,
ma a tutto ciò che impedisce all’uomo di vivere:
l’ingiustizia, la bramosia di arricchire, gli odi,
le violenze, la corruzione morale.

Come nessun filo d’erba secca
può sfuggire alle fiamme,
così ogni forma di male
potrà sottrarsi all’intervento purificatore
e salvatore di Dio.

Ml 3 – «Il sole di giustizia»

Sul versante opposto si pongono i buoni,
chiamati molto delicatamente
«cultori del mio nome».
Sono gli osservanti della legge divina,
quella che chiede atti di culto,
ma anche atti di concreta attenzione al prossimo.

Anche per loro c’è un’immagine di calore:
sarà quello benefico del «sole di giustizia»,
espressione che indica la vita,
vale a dire la salvezza.

Ml 3 – Commento1

Il messaggio di questa prima lettura,
pertanto, non è di paura,
ma di speranza e di consolazione.

Quando Malachia afferma
che gli empi saranno distrutti,
non sta affermando che il Signore
un giorno punirà severamente i cattivi
scagliandoli nelle fiamme dell’inferno.

Il suo fuoco annienta, come paglia,
non gli uomini, ma il male
che è in ogni uomo.

Ml 3 – Commento2

Il popolo che ha ascoltato questo messaggio
e verosimilmente lo stesso Malachia
pensavano a un intervento risolutore di Dio
immediato o a breve termine.

Invece non accadde nulla.
Ciononostante i pii ebrei
continuarono ad attendere con fiducia
la venuta del «giorno rovente come un forno»
e l’apparizione del «sole di giustizia».

Alla luce della Pasqua di Cristo,
adesso siamo in grado di rileggere
e di comprendere questo testo.

Il «sole di giustizia» è Gesù,
il giorno «rovente come un forno»
è quello della sua morte e risurrezione,
il «fuoco» che distruggerà tutto il male
è lo Spirito che Gesù ci ha inviato,
è il suo Vangelo che ha già cominciato
a rinnovare la faccia della terra.

Il «mondo nuovo» è il regno di Dio
in mezzo a noi,
anche se dovremo attendere la fine
al fine di verificare
il pieno trionfo del bene
nel cuore di ogni uomo.

Foto: Un incendio in Spagna /
scienzenotizie.it

Lascia un commento