2 Mac 7

2 Mac 7,1-2.9-14 – XXXII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

 

Contesto storico

2 Mac 7 – L’episodio dei sette fratelli che,
sostenuti dalla loro «madre coraggio»,
accettano il martirio
al fine di non infrangere «le leggi di Dio»
(e relative tradizioni religiose)
si inserisce nel quadro della crudele repressione
attuata dal re Antioco IV Epifane (175-164 a.C.).

Questi, di origine e cultura greca,
persegue una politica di progressiva ellenizzazione
della cultura e della religiosità giudaica,
al fine di sostituire l’adorazione di Yahweh
con il culto di Zeus e altri inquilini dell’Olimpo.

La rivolta degli appartenenti alla famiglia asmonea,
del tutto ostile alle ambizioni filo-ellenistiche del sovrano
è descritta nell’epopea dei quattro libri dei Maccabei,
di cui solo i primi due sono stati riconosciuti
come canonici dalla chiesa latina.

2 Mac 7 – Contesto letterario

L’autore dapprima mette in evidenza
i compromessi della classe dirigente giudaica
e la costanza dei martiri che si oppongono
ai soprusi dei governanti con coraggio e costanza,
nella speranza di ottenere un giorno da Dio
la resurrezione dei loro corpi.

All’inizio, infatti, sono narrati alcuni episodi
riguardanti i rapporti con la Siria
e l’introduzione degli usi greci
da parte di Antioco IV Epifane (2 Mac 3,1-6,17).

Sono poi presentati due episodi di fedeltà alla fede:
il primo narra del vecchio Eleazaro,
uno scriba novantenne,
che accetta tuttavia di morire soffrendo atroci dolori
pur di non mangiare carni suine (2 Mac 6,18-31);

il secondo è la storia di sette fratelli
che hanno preferito morire
piuttosto che tradire la loro fede (2 Mac 7).

2 Mac 7 – Il nostro testo

Il testo che la liturgia ha scelto come prima lettura
è inserito nel capitolo 7 del Secondo libro dei Maccabei,
in cui si racconta il martirio
dei sette fratelli denominati «maccabei»,
cioè «martellatori» a causa della strenua difesa
dei valori tradizionali del giudaismo
e della fedeltà senza compromessi alla Legge mosaica.

Il brano è la combinazione di due parti.

La prima apre la scena
mostrando i protagonisti e la situazione:
da un lato, un re tiranno obbliga
a rinnegare la fede dei padri;
dall’altro lato, sette fratelli e la loro madre
oppongono la loro fedeltà ad essa (2 Mac 7,1-2).

La seconda fa entrare nel vivo del tema,
facendo echeggiare le parole dei diretti interessati
dai quali veniamo a sapere le loro convinzioni religiose
e la loro disponibilità ad affrontare il martirio
piuttosto che tradire la fede (2 Mac 7,9-14).

2 Mac 7 – Morire piuttosto che trasgredire la legge

Il brano liturgico comincia prospettando il caso
di questi giovani che sono portati con la mamma
davanti al re in persona,
il quale vuole costringerli a mangiare carni suine
proibite dalla legislazione giudaica.

Fin dalle prime parole che ci è consentito sentire,
emerge chiaramente la fede e la fedeltà di questi eroi.

A nome di tutti uno di loro dice:
«Che cosa cerchi o vuoi sapere da noi?
Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire
le leggi dei padri» (2 Mac 7 1-2).

2 Mac 7 – La vita nuova ed eterna

È il secondo fratello, giunto all’ultimo respiro,
a confessare con lucidità al re:
«Tu, o scellerato, ci elimini
dalla vita presente, ma il re dell’universo,
dopo che saremo morti per le sue leggi,
ci risusciterà a vita nuova ed eterna» (2 Mac 7,9).

Al re terreno, dunque,
va il pesante attributo di «scellerato»,
e non si merita altro!
Il titolo di «re», invece, è riservato a Dio
che non dimentica i suoi fedeli.

2 Mac 7 – La speranza della risurrezione

Altrettanto ardore dimostra il terzo fratello.
Al v. 10 si dice genericamente «fu torturato»,
senza ulteriore specificazione.
Possiamo arguire che anche a lui sia stato riservato
il macabro trattamento della mutilazione della lingua
e degli arti, riservato al primo (cf 2 Mac 7,4-5 fuori testo).

Di fatto «mise fuori prontamente la lingua
e stese con coraggio le mani» (2 Mac 7,10),
facendo una fulgida professione di fede
nel Dio creatore e nella risurrezione del corpo:
«Dal Cielo ho queste membra e per le sue leggi le disprezzo,
perché da lui spero di riaverle di nuovo» (2 Mac 7,10-11).

Lo stesso re e i suoi dignitari
rimasero colpiti dalla fierezza di questo giovane,
che non teneva in nessun conto le torture (2 Mac 7,12).

Con il quarto continua il supplizio,
ma continua altresì la catechesi teologica.
«È preferibile morire per mano degli uomini,
quando da Dio si ha la speranza
di essere da lui di nuovo risuscitati;
ma per te non ci sarà davvero risurrezione per la vita»
(2 Mac 7,13-14).

Da queste parole sappiamo
che egli attende da Dio la risurrezione;
essa è quindi presentata come dono divino,
che richiede comunque l’impegno della persona.

2 Mac 7 – Commento

L’autore biblico ha voluto, in particolare,
raccontare un processo pubblico, alla presenza del re
contro una famiglia di 7 fratelli con la loro madre,
colpevoli del rifiuto di mangiare carni suine
proibite dalla legislazione giudaica.

A dire il vero, il racconto di questi martiri della fede
passa sotto il nome di “fratelli Maccabei”
dal nome del libro che parla della resistenza in Israele
pur non avendo niente a che fare
con i partigiani nella lotta al re, portatori di tale nome.

L’autore biblico, nel racconto,
sviluppa anche una riflessione teologica
molto matura e nuova nel mondo ebraico.

Così, per bocca del secondo, terzo e quarto fratello,
il lettore è istruito rispettivamente
sul fatto della risurrezione, del corpo e di tutti,
con esito diverso
a seconda del comportamento avuto in vita.

Coloro che sembrano essere sconfitti,
perché di fatto pagano con la vita,
sono tuttavia i veri viventi
perché si aspettano da Dio la risurrezione:
«vita nuova ed eterna».

I nostri non sono eroi a buon prezzo,
non sono neppure persone che disprezzano la vita.
Sanno invece ben distinguere tra vita e vita:
una si può sacrificare per salvare l’altra.
Non vale il contrario.

Essi insegnano che si può essere ammazzati
e tuttavia non morire.
Si spegne certo la vita terrena,
ma rimane accesa per l’eternità,
quella che ci radica nell’amore di Dio.

Foto: Antonio Ciseri, Il martirio
dei sette fratelli Maccabei, 1857-1863,
dipinto a olio su tela (463,5 cm in altezza
e 265,5 in larghezza), Chiesa di Santa Felicita,
Firenze / palazzostrozzi.org
Confronto dell’opera
prima e dopo il restauro

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