2 Sam 5

2 Sam 5,1-3 – XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

 

Contesto storico

2 Sam 5 – L’unzione di Davide come re d’Israele
dev’essere compresa sullo sfondo
dell’instaurazione della monarchia,
esplicitamente richiesta dal popolo
nonostante il parere contrario del profeta Samuele.

Difatti, dopo l’ingresso nella terra promessa
sotto la guida di Giosuè,
il governo del paese fu inizialmente demandato
all’opera dei giudici.

Dio li scelse personalmente,
garantendo la sua assistenza
e salvando il popolo dai suoi nemici,
«perché il Signore si muoveva a compassione
per i loro gemiti
davanti a quelli che li opprimevano
e li maltrattavano» (Gdc 2,18).

Verso la fine della reggenza affidata a Samuele,
sono gli anziani di Israele a recarsi presso di lui,
e, contestando l’operato dei suoi figli
che egli aveva stabilito come giudici al suo posto,
chiedono che le sorti del paese siano affidate
a un re «che sia nostro giudice,
come avviene per tutti i popoli» (1 Sam 8,5).

La scelta di conformarsi al sistema politico
dei popoli vicini era considerata offensiva
da parte di Samuele.
Tuttavia il Signore concesse la possibilità
che il governo del suo popolo
fosse affidato a un re,
e così fu scelto Saul.

Questi però, avendo disatteso l’ordine divino
(1 Sam 15,24-26), è rigettato da Dio,
che sceglie Davide come suo successore.

2 Sam 5 – Davide

Davide era un povero pastore di Betlemme.
Fin da giovane ha una vita molto avventurosa:
si mette a capo di una banda di sbandati,
si rifugia nel deserto
e comincia a lottare contro i filistei
e contro il suo stesso re, Saul.

Impressionati dalle sue capacità
– la sua intelligenza, la sua forza,
il suo coraggio –
i membri della tribù di Giuda
lo proclamano re.

Inizialmente il regno è piuttosto ridotto:
si estende su un piccolo territorio
al sud di Israele.
Tutto il nord è occupato dalle altre tribù
che rimangono fedeli a Saul.

La prima lettura di oggi racconta come un giorno
gli anziani delle tribù del nord
si presentano a Davide nella città di Ebron
e gli dicono:
noi abbiamo capito che Dio ti ha scelto come capo
non soltanto di una tribù, ma di tutto Israele.

2 Sam 5 – «Tue ossa e tua carne»

L’ascesa al trono di Davide non avviene, pertanto,
in base alla legittima discendenza,
ma per elezione divina.
Così «tutte le tribù d’Israele» (2 Sam 5,1),
che erano intervenute all’elezione di Saul
(1 Sam 10,20), si recano a Ebron
al fine di riconoscere Davide come nuovo re.

Si tratta delle tribù del Nord,
unite da un’alleanza di tipo tribale,
che si riconoscono «ossa e carne» del neo-re,
vale a dire legate a lui da legami di sangue.

In senso figurato, l’immagine
utilizzata dai rappresentanti delle tribù
può indicare non solo la comune appartenenza
al medesimo ceppo parentale,
ma anche il comune destino che vincola le due parti:

la prosperità e il benessere del popolo
dipenderanno dal buon governo del monarca,
chiamato ad esercitare la regalità
per conto di Dio.

2 Sam 5 – Qualità regali e militari di Davide

Le qualità regali e militari di Davide
erano palesi già al tempo in cui regnava Saul:
difatti, Saul era il re, ma era Davide ad agire
come re, conducendo il popolo in battaglia
(2 Sam 5,2a).

Il profilo di Davide corrisponde appieno
alle attese del popolo e, per questa ragione,
non fa fatica a guadagnare il suo consenso
e la sua stima.

2 Sam 5 – «Il Signore ti ha detto:
Tu pascerai il mio popolo Israele»

Le tribù di Israele attestano, inoltre,
che la regalità davidica non è il frutto
di un colpo di stato che ha condotto
alla destituzione illegittima di Saul,
ma risponde a una precisa disposizione divina.
In tal senso, il popolo costituisce come re
colui che il Signore ha scelto.

«Pascere il gregge» è un’immagine tradizionale
al fine di indicare il governo del popolo.

Va tuttavia evidenziato che Davide
non è definito il «pastore» del popolo;
tale titolo, infatti,
non sarà attribuito a nessuno dei re
perché spetta solo al Signore.

I re e i capi
che si alternano alla guida del popolo
sono invece definiti pastori
solo quando sono criticati.

2 Sam 5 – L’unzione di Davide

«Gli anziani d’Israele» (2 Sam 5,3),
che si erano recati da Samuele per chiedere un re
(1 Sam 8,4), adesso compaiono al cospetto
di David al fine di ungerlo re.

Ripetono lo stesso gesto
che fecero gli uomini di Giuda
quando lo consacrarono re (2 Sam 2,4).

Il rapporto tra Davide e Israele
è descritto come alleanza (berìt).
Sulla base di quest’alleanza personale
si deduce che l’unione tra Giuda e Israele
è un’unione tra due entità autonome
sotto un unico sovrano.

2 Sam 5 – Proseguimento della storia

Davide accetta ed è unto re su tutto Israele.
Così ha inizio il regno di Davide,
un regno grande e potente
al quale i poli del mondo guardarono,
per alcuni decessi, con ammirazione,
timore e rispetto.

Poi Davide muore
e gli succede al trono il figlio Salomone.
Costui riesce a conservare unito
il regno di suo padre,
ma presto le tribù si separano di nuovo
e Israele torna ad essere un popolo insignificante,
irriso dalle grandi nazioni vicine.

Ricostituire un giorno il grande regno di Davide:
ecco il sogno degli israeliti dopo Salomone
fino al tempo di Gesù.
Per questo motivo ogni giorno
pregano il Signore di inviare il suo Messia.

2 Sam 5 – Come mai questo racconto è proposto
come prima lettura della festa di Cristo re?

Perché Gesù è la risposta di Dio alle preghiere
e alle attese del suo popolo.
È lui il Messia, il re che «dominerà da mare a mare,
dal fiume fino ai confini della terra» (Sal 72,8).

Come mai allora gli israeliti non l’hanno accolto?
Perché gli anziani del popolo
lo hanno fatto uccidere, invece di ungerlo re,
come hanno invece fatto i loro antenati
con Davide in Ebron?

La ragione ci è spiegata nel Vangelo di oggi.

Meglio Ebron del Calvario

Avessimo potuto scegliere,
avremmo preferito Ebron al Calvario.

Fare atto di sottomissione, come i capi
delle tribù di Israele, dinanzi a Davide,
uscito vittorioso dopo una lunga serie di battaglie,
risulta più agevole e vantaggioso
che aderire a un re sconfitto,
senza seguito, deriso dai capi
e che muore inchiodato a una croce.

Anche quando celebriamo la festa
di Cristo Re dell’Universo,
un re che ha rinunciato alla forza,
ai trionfi terreni, al successo,
rischiamo di farlo con la mentalità
e lo stile di chi celebra le imprese di Davide
e vorrebbe replicarle.

Che Cristo abbia rifiutato l’incoronazione,
respinto una facile ed equivoca popolarità
prima di essere ridotto all’impotenza,
diventare fantoccio nelle mani dei nemici,
venire liquidato dal gioco dei potenti,
farsi bersaglio di torture sputi e insulti,

e solo nel momento
in cui toccava il fondo dell’abiezione
abbia proclamato solennemente di essere re,
non ci impedisce di continuare a pensare
e agire secondo schemi di grandezze umane
e di successi terreni.

La lezione della debolezza, della marginalità,
della piccolezza, della povertà,
non l’abbiamo mai imparata
e soprattutto praticata,
preferendo lasciarci suggestionare dalla forza,
dal numero, dai privilegi, dal prestigio,
dall’ambizione, dalla logica del dominio.

Se non stiamo attenti,
la festa di Cristo Re rischia di diventare
la celebrazione della nostra fuga dal Calvario.
Finiamo per riferirci a un altro re.

Se non stiamo attenti,
finiamo per ripetere il gesto di Satana
che, nel deserto, ha offerto a Gesù
«tutti i regni della terra», con la loro gloria,
i loro puntelli e la loro logica,
che lui invece rifiutava.

Foto: Giovanni Francesco Barbieri,
detto il Guercino, Re Davide, 1651,
olio su tela (223,5 cm X 170,2 cm).
Sconosciuto il luogo attuale di appartenenza /
it.wikipedia.org

Lascia un commento