Ab

Ab 1,2-3; 2,2-4 – XXVII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Ab – L’autore e il suo tempo

Ab – Le notizie storiche
relative all’esperienza profetica
di Abacuc,
il cui nome sembra rimandare
in ebraico a una pianta acquatica,
sono piuttosto scarne
e difficilmente verificabili.

Sulla base delle indicazioni
presenti all’interno del testo,
alcuni studiosi ipotizzano
che egli sia vissuto al tempo
del re Ioiakim, che, dal 609 a.C.,
prese il posto di Giosia
nel governo del Regno di Giuda.

È un tempo, peraltro, di grandi tensioni
soprattutto sul piano politico:
fatale, infatti, si rivela l’alleanza
di Ioiakim con l’Egitto
al fine di contrastare
l’ascesa del potere babilonese.

In effetti, nel 599 a.C., il re babilonese
Nabucodonosor invase la Giudea
e conquistò Gerusalemme.
Ioiakim morì
durante l’assedio della città
e il suo corpo fu gettato
fuori dalle mura.

Ab – Sguardo d’insieme al nostro testo

La I lettura risulta composta
dai versetti iniziali del capitolo 1,
in cui Abacuc sfoga, alla presenza
del Signore, la sua amarezza
a causa del dilagare della violenza
e dell’iniquità (Ab 1,2-3).

La seconda parte, invece,
contiene la risposta divina
al lamento di Abacuc (Ab 2,2-4).

Ab 1,2: «Fino a quando?»

La ingiustizie, i soprusi,
le prevaricazioni
sono chiaramente
sotto gli occhi di tutti
e – questo è
veramente scandaloso! –
sembra che Dio lasci correre.

Pare, infatti,
che si disinteressi del tutto
di ciò che accade sulla terra.
Perché non interviene?
E perché non soccorre gli oppressi?

Ecco, quindi,
che Abacuc cerca di capire
ciò che sta accadendo,
e soprattutto non teme
di aprire un contenzioso con Dio.

Il grido di Abacuc verso il cielo
è seriamente accorato:
«fino a quando»
dovrà implorare aiuto
e attirare l’attenzione del Signore
con il grido della preghiera?

Il profeta dapprima
lamenta la sordità di Dio
(«non ascolti»)
e poi il suo mancato intervento
al fine della salvezza del popolo
(«non salvi»).

La contestazione di Abacuc
si fa ancora più dolorosa:
perché il Signore permette
che egli assista all’iniquità,
mentre rapina e violenza,
liti e contese si moltiplicano
senza tregua.

Abacuc è assai deluso
dall’inerzia divina
di fronte ad una situazione
di negatività così diffusa.

Prova, innanzitutto,
a trovare una spiegazione
e non ha, al contrario,
alcun pudore
di richiedere conto a Dio
fino a che non ottiene una risposta
dal suo interlocutore.

Ab 2,3: «La scadenza… non tarderà»

La risposta del Signore
non si fa certo attendere,
ed è contenuta nella seconda parte
del nostro testo (Ab 2,2-4).

Chiamato in causa, il Signore
non disdegna di dare una risposta
al suo profeta: lo invita,
esplicitamente, a mettere per iscritto
e a incidere bene su tavolette
la visione di cui sarà destinatario
(Ab 2,2).

Si tratta di un vero e proprio
atto giuridico.
Dio impegna Abacuc
a redigere un documento
che non dovrà prestarsi
a fraintendimenti.

Anzi, dovrà essere letto
immediatamente, senza indugio,
perché la fine è già imminente.

La visione, però, non è descritta,
tuttavia ne è rivelato il contenuto:
«È una visione che attesta un termine,
parla di una scadenza e non mente»
(Ab 2,3).

«Termine», in questo caso,
può essere inteso
nel senso di «tempo stabilito»;
è il Signore, infatti,
che conosce i tempi, e spetta a lui
stabilire la fine dell’empietà.

In altre parole,
ecco la promessa fatta da Dio:
a breve non accadrà nulla,
non ci saranno cambiamenti immediati.
Passerà sicuramente un certo tempo
prima che giunga la liberazione.

Guai però, anzitutto
a scoraggiarsi, a diffidare,
e neanche a rassegnarsi
all’ingiustizia,
e neppure adeguarsi
al comportamento
dei malvagi (Ab 2,3).

Una risposta
indubbiamente sorprendente:
Dio non dà alcuna spiegazione
chiede solo fiducia incondizionata.

Ab 2,4: «Il giusto vivrà per la sua fede»

Il Signore capisce prontamente
le rimostranze di Abacuc
e del popolo,
ma sa anche
che non sono in grado
di comprendere le ragioni
della sua tolleranza.

Tuttavia, assicura che un giorno
apparirà a tutti, chiaramente,
ciò che oggi soltanto a lui
è dato di vedere:
l’empio -che apparentemente
prospera – in realtà, sta ponendo
le basi della sua rovina.

Di fronte al giusto, di fronte a colui
che si fida e si affida al Signore,
si spalancano, invece,
orizzonti di vita.

Conclusione

Su questo famoso testo di Abacuc
(«il giusto vivrà per la sua fede»),
riletto secondo la traduzione dei Settanta,
San Paolo elaborerà
tutta la sua grandiosa teologia
della «giustificazione»
per mezzo della fede (Cf Rm 1,7; Gal 3,11).

A noi, però, interessa,
in questo momento,
senza entrare in dettagli esegetici,
evidenziare come la «fede»
abbia veramente forza
di dar «vita» al credente.

Qui, nel contesto, si parla
di vita «fisica»
e di vita «spirituale»
allo stesso tempo.

Di vita fisica, nel senso
che si promette la sopravvivenza
dalle violenze dei Caldei (Assiri)
a coloro che sarebbero stati fedeli
a Dio e alla sua promessa,
precisamente
in quella situazione disperata.

Di vita spirituale, nel senso
che solo attraverso la fiducia più totale
in Dio e nella sua Parola,
essi avrebbero avuto la forza
di vincere la tentazione
dell’infedeltà e dell’abbandono
di Jahweh.

Foto: Veduta di Trento sud
dalla cappella della Civica
di San Bartolameo / Foto personale

Lascia un commento