Vedova

Vedova di Sarèpta

Vedova di Sarèpta. I cananei, nella cui terra gli israeliti si erano installati, adoravano Baal, il signore della pioggia, della fertilità e della fecondità. Sua mitica sede era il monte Safon che, con la sua cima sempre avvolta in nembi grigiastri, si staglia nel cielo di Ugarit; sue armi erano le folgori e i venti che scatenano gli uragani che schiantano i cedri del Libano, scuotono le foreste e fanno tremare l’Ermon (Sal 29,5).

Il filo conduttore di tutti i libri dell’Antico Testamento è rappresentato dalla lotta del Signore, il Dio geloso degli israeliti, contro Baal, il campione dell’ordine cosmico adorato da tutti i popoli dell’antico Medio Oriente. Al tempo del profeta Elia, Israele, sedotto dalla regina Gezabele, era venuto meno alla fede dei suoi padri e aveva piegato le ginocchia a Baal, convinto che da lui avrebbe ottenuto piogge abbondanti e copiosi raccolti. Ecco invece, secondo la promessa fatta dal profeta Elia, tre anni di siccità, carestie e pestilenze. Come sempre accade, l’idolo aveva sedotto e puntualmente deluso.

Di fronte all’assenza di piogge e alle conseguenti calamità, il re Acab convocò i suoi veggenti e li incaricò di individuare i responsabili. Non ci fu bisogno di pratiche divinatorie, il colpevole fu subito identificato: «È stato Elia, il profeta del Signore – assicurarono gli indovini di corte – a provocare lo sdegno di Baal». Acab ordinò di rintracciarlo e di metterlo a morte. Per sottrarsi all’ira del re, Elia si dette alla fuga.

È in questo punto della storia di Elia che va inserito l’episodio narrato nella prima lettura di oggi, episodio che sarà evocato anche da Gesù durante una omelia nella sinagoga di Nazareth (Lc 4,25-26).

«In quei giorni, il torrente nei cui pressi Elia si era nascosto si seccò, perché non era piovuto sulla terra. Fu rivolta a lui la parola del Signore: “Àlzati, va’ a Sarèpta di Sidone; ecco, io là ho dato ordine a una vedova di sostenerti”. Egli si alzò e andò a Sarèpta» (1 Re 17, 7-9: vv. non riportati nel nostro testo).

Alla porta della città incontrò una vedova povera, che raccoglieva legna con cui cucinare, per il figlio e per sé, l’ultimo pugno di farina che le era rimasto e le chiese acqua e pane. Chiese acqua in un momento di siccità e pane in un momento di carestia. Richiesta pretenziosa, sopra il rigo della logica e del buon senso, per di più rivolta a una vedova straniera (Sarèpta, l’attuale Sarafand in Libano, era situata a una dozzina di chilometri a sud di Sidone). La donna rispose, giurando per il Dio del profeta, di possedere pochissimo, un po’ di olio e di farina, cibo del tutto insufficiente a garantire la vita per sé e per il figlio. Elia sapeva che quello era tutto ciò che aveva, ma osò chiederglielo e soggiunse: «Non temere; va’ a fare come hai detto. Prima però prepara una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché così dice il Signore, Dio d’Israele: “La farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra”». La vedova si fidò del profeta, gli offrì quanto le era stato chiesto e Dio benedisse la sua generosità: le concesse l’alimento per lei e per il figlio durante tutto il tempo della siccità.

Questo è il fatto. Vediamo di trarne alcune conclusioni.

1. Da questo commovente racconto traspare la cura provvidenziale del Signore per questa vedova povera e senza protezione. La situazione delle vedove nelle strutture sociopolitiche dell’Antico Oriente era particolarmente drammatica: con la perdita del marito non avevano più chi assicurava loro personalità giuridica e tutela e spesso si riducevano alla mendicità, in balìa della prepotenza altrui. Elia fissa invece gli occhi proprio su questa figura dimenticata, sulla quale però si curva il Signore «difensore delle vedove» (Sal 68,6), e la innalza a modello.

2. Elia, infatti, nella sua fuga, per evitare di incappare nelle mani di Acab, ci offre un’immagine da custodire con cura: il volto di questa vedova povera e soprattutto ci lascia una Maestra di poche parole, ma autrice di una lezione di vita fondamentale. Questa vedova non ha che un pugno di farina e qualche goccia d’olio, eppure è pronta a sacrificare tutto per il profeta. Dalla sua decisione traspare un atteggiamento di fiducia che potrebbe suonare in questo modo: «Sulla tua parola…», alludendo a quella del profeta, eco di quella divina.

A questo punto l’intelligenza non può dare nessun supporto; anzi, essa non farebbe che sottolineare ulteriormente l’illogicità del gesto. Dividere il poco che c’è sarebbe morte per tutti. Questa soluzione, apparentemente irragionevole, è scelta dalla vedova, che si fida del profeta. La fede è l’ala che Dio ha dato all’uomo per salire a lui, superando i limiti angusti della ragione. Fides et ratio, titolo di un’enciclica di san Giovanni Paolo II, sono entrambe necessarie per un sano sviluppo della persona. A un certo punto la ragione si ferma, ammettendo il suo limite, come suggeriva Pascal: «L’ultimo passo della ragione è ammettere che ci sono infinite ragioni che la superano». Una di queste ‘ragioni’ è la fede, un’altra è l’amore: entrambe portano là dove non giunge la mente. La richiesta del profeta riceve tutto il credito della vedova perché è ritenuta parola del Signore. Quanto era stato richiesto è puntualmente e generosamente soddisfatto e il miracolo prende corpo e continua… Farina e olio non diminuiranno fino all’arrivo della pioggia, che garantirà semina e raccolto.

3. Nella sua indigenza, la vedova è capace di offrire non solo parte di quanto possiede, ma tutto ciò che è indispensabile per la sua e la vita del figlio. La vedova di Sarèpta, una pagana che ancora non adora il Signore, ma lo conosce solo come «il Dio di Elia», si è comporta da autentica israelita. Appartiene, senza che se ne renda conto, al «popolo umile e povero che confida nel nome del Signore» (Sof 3,12); realizza l’ideale del pio israelita che i salmisti proclamano beato: «Beato l’uomo che si rifugia nel Signore, nulla manca a coloro che lo temono. I ricchi impoveriscono e hanno fame, ma chi cerca il Signore non manca di nulla» (Sal 34,9-11).

4. Come sono diverse le bilance di Dio dalle nostre! Per Lui non conta la quantità del dono, conta invece quanto peso di vita, quanto cuore c’è dentro, quanto di speranze e di lacrime è dentro quel pugno di farina e quelle poche gocce d’olio. Ora domandiamoci: chi dà di più al mondo, alla storia, alla vita? Coloro che tengono insieme la società non sono quelli che vanno sui giornali o appaiono in TV. Sono invece gli uomini e le donne delle beatitudini, quelli che non compariranno mai sui giornali, quelli dalla vita nascosta, fatta solo di serietà, di onestà, di generosità, di giornate a volte colme di immensa fatica. Quelli che sorreggono il mondo sono coloro che, a partire dalle nostre case, danno ciò che fa vivere, regalano vita con mille gesti non visti da nessuno, gesti di cura, di amore, di attenzione, rivolti ai figli o ai genitori o a chi bussa. Nella bilancia di Dio non è mai insignificante, mai irrisorio, un gesto di bontà cavato fuori dalla nostra povertà. Questa capacità di dare, anche quando si pensa di non avere nulla, ha in sé qualcosa di divino. Tutto ciò che è fatto con tutto il cuore ci avvicina all’assoluto di Dio.

5. Elia lascia la parola a questa vedova povera. La quale, più che con le parole, si spiega con un gesto. E si spiega benissimo. Se tutti i nostri interminabili dibattiti trovassero questa soluzione: un gesto concreto, piccolo fin che si vuole, ma importantissimo… Se, mentre annaspiamo alla ricerca di soluzioni per i nostri aggrovigliati problemi, fossimo sfiorati dal pensiero che la soluzione sta altrove… Se quando indottriniamo gli altri, fossimo colti dal sospetto che abbiamo qualcosa da imparare da questa vedova povera e da tanti altre, altri come lei… Se il frastuono delle nostre chiacchiere fosse interrotto, qualche volta, dal silenzio carico di amore provocato da un pugno di farina e da poche gocce d’olio di impegno personale, di donazione totale…

Foto: n. 266 dal mio profilo facebook

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