Amos... Amasìa

Amos – XV Domenica del Tempo Ordinario – Anno B

Contesto

Amos – Con la prima lettura
siamo al tempo di Geroboamo II,
re d’Israele, ma con residenza in Samaria,
verosimilmente nell’anno 760 a.C.

Occupa quel trono da circa 25 anni.
Oltretutto ha conseguito numerose vittorie militari,
in seguito alle quali è riuscito
ad ampliare in modo significativo il territorio
su cui esercita la propria sovranità.

Adesso sta godendone i frutti.
Sono introdotte nuove tecniche agricole
che accrescono in modo significativo la produzione,
inoltre le industrie tessili e la tintoria sono fiorenti,
e anche le miniere di rame dell’Arabia
funzionano a pieno regime.

In una parola,
i commerci prosperano,
la ricchezza aumenta,
le cose vanno bene (almeno per qualcuno).

Ma per quanto riguarda la religione?
Non è mai stata così praticata e favorita.
Infatti i santuari rigurgitano di pellegrini
che accorrono al fine di offrire sacrifici,
adempiere voti e partecipare alle feste.

D’altra parte, a modo suo,
anche Geroboamo II è un uomo religioso:
in effetti stipendia i sacerdoti
e sostiene le spese dei templi
che vuole sempre adorni con ogni magnificenza.

Frattanto tuttavia era avvenuta la rottura
tra le tribù del nord e quelle del sud
ed è ormai consumata una lacerazione
che avrà effetti devastanti.

Solo le due tribù del sud,
quella di Giuda e quella di Beniamino,
continuano in ogni caso a osservare l’alleanza
già stipulata da Dio con i padri.

Quelle collocate a settentrione, al contrario,
sotto l’autorità di Geroboamo II,
perseguono una politica di allontanamento dal Signore
che porterà poi alla caduta del regno del nord
nel 721 a.C.

Siamo precisamente
nel periodo che precede tale caduta.
La bontà divina tenta l’impossibile
al fine di riportare Israele sulla retta via.

L’invio di Amos,
profeta del sud di Israele,
al nord, precisamente a Betél,
dove si trova il principale santuario scismatico,
rientra in effetti nella strategia divina
che cerca di strappare buona parte del popolo
(ben 10 tribù) dalla rovina esistenziale.

Prima lettura

A questo punto
ci viene in aiuto la I Lettura.

Amos è inviato precisamente
a Betél, nel cuore dello scisma:
al santuario del re.

I sacerdoti che vi officiano
sono effettivamente funzionari regi
ma non ministri di Dio.
Perciò le loro scelte
sono sempre volte a compiacere il sovrano
e non ad onorare la volontà divina.

Amos tenta prima di tutto
di raddrizzare questa stortura.
La sua è infatti una predicazione
che rivendica l’ascolto di Dio.

La reazione di Amasìa alle parole
e perfino alla presenza di Amos
è tuttavia dura e impietosa:

«Vattene, veggente,
ritirati nella terra di Giuda:
là mangerai il tuo pane
e là potrai profetizzare,
ma a Betél non profetizzare più,
perché questo è il santuario del re
ed è il tempio del Regno».

«Persona non gradita»
direbbe un incolore linguaggio diplomatico.

Davvero interessante la risposta di Amos,
il primo dei profeti
che affidano il loro messaggio allo scritto,
ad Amasìa:

«Non ero profeta,
né figlio di profeta;
ero un pastore
e raccoglitore di sicomori;
il Signore mi prese di dietro al bestiame
e il Signore mi disse:
“Va’, profetizza al mio popolo Israele».

Sostanzialmente, Amos puntualizza questi fatti:

Certamente non è un profeta di carriera.
Non è stato lui infatti a scegliere quella professione
dato che un mestiere ce l’aveva già.

Lui è soltanto un “laico”,
nella cui vita “secolare”
è intervenuto inaspettatamente Jahweh.

Inoltre non ha alle spalle
alcun gruppo di pressione.
Non dipende in ogni caso da nessuno,
ma solo da Dio
che gli ha imposto quella missione sgradita.

Amasìa, il sacerdote di Betél, invece,
ragiona in termini di opportunità,
considerazioni politiche ed economiche.
Amos, al contrario, parla il linguaggio della libertà.

Inoltre Amasìa accusa Amos di congiura,
del delitto di lesa maestà.
Amos replica invece affermando
che il vero delitto
è quello di resistere a Dio.

Commento

Certo resta inquietante
l’immagine di un tempio,
di un comunità che si vuole definire religiosa,
“chiusa” alla Parola di Dio.

A pensarci bene, però,
la scena si replica
anche nelle nostre comunità cristiane.

Quell’Amasìa,
che sono io e molti altri cristiani,
è sempre indaffarato anzitutto
a chiudere porte in faccia al profeta disturbatore.

Invece che accoglierla,
mi sforzo, ci sforziamo principalmente
di tenere sotto controllo quella Parola,
e di impedirle che si introduca
in certi settori della mia,
della nostra esistenza.

Non me la sento, non ce la sentiamo,
di rifiutarla totalmente,
ma neppure concederle
troppa libertà di movimento.

E poi c’è pur sempre
quella tattica collaudatissima:
indirizzare il profeta all’abitazione del vicino.
Lì, forse, troverà il posto adatto per lui.

Io sono, noi siamo già troppo occupati,
e poi non ci occorre quel prodotto,
ne tengo, ne teniamo infatti
una grande scorta in casa.

È necessaria la denuncia.
Sempre ovviamente che colpisca altri.

Non bisogna aver paura di criticare.
Io stesso, noi stessi critichiamo
tutto e tutti e sempre.
Guai, però,
a chi si azzarda a muovermi, muoverci
un’osservazione men che favorevole.

Amasìa, in fin dei conti, usa belle maniere.
Certo mette alla porta il profeta Amos;
ma tuttavia gli lascia aperte molte altre strade,
che lo portino il più lontano possibile.

E io, noi, allo stesso modo di Amasìa,
possiamo riprendere il nostro culto
in quel santuario ben riparato
che sono le mie, le nostre vecchie abitudini,
senza il pericolo di dover ascoltare voci disturbatrici.

E posso, possiamo rassicurare il re – intronizzato
al centro dei miei, dei nostri pensieri
e del mio, del nostro cuore –
che tutto è tornato finalmente tranquillo.
Purtroppo!

Foto: Amos / catholicsteward.com

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