Trinità

Trinità – Santissima Trinità – Prv 8,22-31- Anno C

Trinità – Presentazione delle letture di oggi

Il termine «Trinità»
fu coniato da Tertulliano (160-220 d,C.)
per facilitare la comunicazione del concetto
che altrimenti richiedeva più parole:
“tre” + “unità” = trinità.

Sebbene tale parola non compaia mai nella Bibbia,
troviamo però il contenuto
che va delineandosi progressivamente
fino a raggiungere un’essenziale chiarezza:
un unico Dio in tre persone uguali e distinte,
il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo.

È stato Gesù a parlarcene in modo chiaro,
mostrando la partecipazione sua,
del Padre e del Figlio nella storia della salvezza (Vangelo).

L’originalità del Nuovo Testamento
non esclude però una remota e proficua preparazione
che trova nella letteratura sapienziale
preziosi semi trinitari (Prima lettura).

Paolo inoltre ci ricorda
che noi siamo “imbevuti” di Trinità,
perché a essa dobbiamo l’amore
che anima la nostra esistenza cristiana (Seconda lettura).

La cosa più interessante che emerge da queste letture
è che il «mistero» della Santissima Trinità
non ci appare tanto come una sfida alla nostra intelligenza,
per cui dobbiamo chinare il capo, umiliati e quasi atterriti
da tanta incomprensibile grandezza,
quanto come un immenso oceano di amore
in cui è pur dolce «naufragare».

Più che una fredda teologia, le nostre letture
ci presentano il mistero della Santissima Trinità
operante nella storia della salvezza:
Dio-per-noi (I Lettura), Dio-in-noi (II Lettura), Dio-con-noi (Vangelo).

Presentazione della Prima lettura

Mi limito alla I Lettura, tratta dal libro dei Proverbi.
Si tratta di un «autoinno» della Sapienza,
che presenta non poche difficoltà di interpretazione.
È un brano molto studiato dagli esegeti.

Si tratta di un «autoinno»
perché la Sapienza celebra se stessa,
delineando la sua vera realtà nei confronti del cosmo creato.

In questo inno autocelebrativo si succedono
l’una dopo l’altra quattro strofe,
che segnalano le tappe della crescita della Sapienza
e della creazione del mondo.
La Sapienza fin dall’inizio
parla della sua relazione con il Signore
che risale alle origini.

La prima strofa (vv. 22-23)
dice che la Sapienza
trova la sua origine nel Signore.

Il v. 22 all’inizio ha un verbo ebraico
che può significare «acquistare» o «possedere»
che il greco traduce ektisen me («mi ha creato»).
Forse è meglio tradurre il verbo ebraico
con «mi ha generato»,
è questo anche il senso del verbo ugaritico
e conviene al contesto.

La Sapienza è nata quindi solo da Dio.
È lui che l’ha intessuta (v. 23).

Per gli Ebrei l’embrione si sviluppa nel grembo materno;
i suoi nervi e la sua ossatura si stendono lentamente
come un tessuto e l’artigiano è il Signore:
«Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuo nel seno di mia madre».

Gli stessi versetti precisano
il momento di questa gestazione.
La sua origine risale all’eternità,
è alle origini delle opere del Signore,
anzi è una sua primizia.

Anche la seconda strofa (vv. 24-26)
insiste sull’anteriorità della Sapienza.

L’idea del v. 23 è ulteriormente sviluppata:
«Io fui generata» o «Il Signore mi ha generato»,
che sottolinea il ruolo del Signore.

Il v. 24 descrive ciò che è in basso:
gli abissi, le sorgenti cariche d’acqua;
il v. 25 descrive ciò che è al di sopra
di dove abita l’uomo: i monti e le colline.
Il v. 26 descrive la terra, dove l’uomo si trova.
Il luogo dell’abitazione dell’uomo
non era stato ancora fatto e la Sapienza già c’era.

Perciò la seconda strofa
presenta una pura e semplice descrizione del mondo,
a partire da dove vive l’uomo.

La terza strofa (vv. 27-30a)
mostra Dio che organizza il mondo.
Alle estremità della strofa
la Sapienza segnala la sua presenza.

L’autore del nostro brano
comincia da ciò che è in alto
per giungere a ciò che è in basso.

Nel v. 27 si dice che il Signore fissa i cieli
e traccia un cerchio sulla superficie dell’abisso.

Ai vv. 28-29 Dio condensa le nubi in alto,
cioè fissa le sorgenti dell’abisso,
la quali coprono tutta la terra;

ha dato la legge di stabilirsi parte nel mare e nei fiumi,
parte nelle vene delle singole regioni della terra
donde scaturiscono vigorose le sorgenti;
al mare ha fissato i suoi confini
perché non oltrepassasse il suo limite.

Così è stato stabilito l’ordine e l’equilibrio delle acque,
che al principio della creazione contribuivano a formare il caos,
al quale si ritornerebbe senza le leggi naturali imposte da Dio.

Il v. 30a riprende come inclusione
l’espressione «io ero con lui» del v. 27a:
«Io ero là», dice la Sapienza.

Forse dato il contesto
è tuttavia preferibile la seconda traduzione:
invece che «Io ero là»,
«Io ero con lui, piccolo bambino».

Ecco tutta l’evoluzione della Sapienza,
dal concepimento alla sua prima infanzia.
Penso che anche Michelangelo Buonarroti
abbia conosciuto ai suoi tempi questa interpretazione,
quando ha dipinto nel pannello della Creazione,
nella Cappella Sistina,
un bambino che gioca sul globo della terra.

La quarta strofa (vv. 30b-31) mostra la Sapienza
mentre gioca, fa capriole alla presenza del Signore.

L’ebraico, letteralmente dice:
«Ed era delizie giorno per giorno»;
e il greco:
«Io ero quella in cui (Dio)
si allietava quotidianamente».

Suggestivo il v. 31:
«Divertendomi sul globo terrestre,
e la mia delizia era con i figli dell’uomo»,
questo contatto della Sapienza con gli uomini
lancia il nostro sguardo verso Gesù di Nazareth,
la Sapienza incarnata.

Dando ora uno sguardo d’insieme a tutto l’inno
è possibile cogliere alcune parole chiave:
Il Signore all’inizio,
io al centro,
e figli dell’uomo al termine.
Esso mostra uno sviluppo in quattro tempi,
che corrispondono alle quattro strofe:

la Sapienza è generata, primigenia (I strofa)
partorita, precede il mondo (II strofa)
la Sapienza, bambina,
assiste all’organizzazione del mondo (III strofa)
è il legame fra il Signore e gli uomini (IV strofa).

Applicazione di questa pericope

Nella liturgia latina,
la Chiesa ha accomodato tutta questa pericope
anzitutto alla festa della Santissima Trinità (Anno C)

e l’ha applicata alla Vergine Maria,
quale Madre di Gesù Cristo,
sapienza increata e incarnata
per la festa della Presentazione al tempio (21 novembre).

Come tale, la Vergine entra nel primo pensiero di Dio
come socia ed è veramente la primogenita di ogni creatura,
motivo per cui la Chiesa le accomoda questo testo
e a cui i Padri della Chiesa hanno dato ampio sviluppo.

Che significato ha questo testo?

Quando si riflette su ciò che accade nel mondo,
sulle catastrofi, sulle atrocità che vengono commesse,
è facile venire non solo sfiorati,
ma spesso attanagliati dal dubbio
che l’universo sia frutto del caso, che tutto
sia solo confusione, che nulla abbia un senso.

La Prima lettura assicura:
il creato è uscito dalla mani
di un Padre provvidente e saggio;
durante tutta la sua attività
egli è sempre stato assistito
dalla sua Sapienza;

la creazione risponde a un progetto d’amore,
anche se l’intelligenza dell’uomo
non sempre è in grado di coglierlo.

Siamo come bambini
di fronte a una cattedrale in costruzione.

Chi entra in un cantiere
non vede che disordine,
materiale accatastato, mucchi di sabbia,
sbarre di ferro, assi, mattoni,
barattoli, martelli, chiodi sparsi un po’ ovunque.

Solo alla fine,
quando l’opera è conclusa,
si capisce che anche ciò
che sembrava solo confusione,
in realtà rientrava nel progetto sapiente
di un abile architetto.

Avere fede in Dio Padre e in Gesù,
sua Sapienza e suo Figlio – è il messaggio
della lettura – significa credere
che tutto è stato fatto con sapienza e amore.

Foto di Thuy Ha Bich / hail.to

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