Gerusalemme1

Gerusalemme1 – Is 62,1-5 – Domenica II del Tempo Ordinario – C

Gerusalemme1.
1. La prima lettura è tratta dalla terza parte del libro di Isaia,
chiamata comunemente Terzo (o Trito) Isaia (Is 56-66).
In questa parte sono raccolti oracoli che riflettono
non più la situazione degli israeliti che si trovano in esilio,
ma quella di coloro che, ritornati da Babilonia (VI secolo a.C.),
si sono stabiliti in Gerusalemme1.

Il centro di interesse di questa terza parte non è più, dunque, il nuovo esodo,
bensì il ristabilimento delle istituzioni teocratiche,
le quali sono minacciate non da agenti esterni, ma dalla infedeltà del popolo.
Nel nostro brano, l’accento è posto sul rapporto che Dio stabilisce con Gerusalemme1,
vista come simbolo di tutto il popolo eletto rinato a nuova vita.

2. Il profeta sente dentro di sé una forza incoercibile che lo porta ad evangelizzare,
ad annunziare al suo popolo sfiduciato la grandezza della futura Gerusalemme1
e il profondo amore di Jahweh per essa.
Sa che le sue parole sono monotone, inopportune e risapute.
È consapevole che il suo popolo assume un atteggiamento scettico verso di lui,
che è tutto dedito agli interessi terreni
e che è indifferente di fronte a tutto quello che non sia misurabile in denaro e in beni.

3. Tuttavia, per amore di Sion, non tacerà
e non cesserà di tentare di convincere,
fino a che abbia ottenuto di veder risplendere la giustizia come una lampada fiammeggiante:
«Per amore di Sion non tacerò,
per amore di Gerusalemme1 non mi darò pace,
finché non sorga come stella la sua giustizia
e la sua salvezza non risplenda come lampada» (v. 1).

La Mishnah (lett. Ripetizione, insegnamento da ripetere,
è la raccolta di tradizioni e insegnamenti, che costituiscono la Legge orale ebraica,
considerata anch’essa, come la Torah derivante dalla Rivelazione del Sinai) dice che

«chi non è stato presente alla gioia nel luogo dell’acquedotto,
non ha visto gioia in tutta la sua vita.
Chi non ha visto Gerusalemme1 in tutto il suo splendore,
quello prodotto dalla moltitudine di lampade collocate sull’acquedotto
nella festa delle capanne,
non ha visto, in tutta la sua vita, una città desiderabile».

Il profeta ha quello spettacolo sotto gli occhi
e fa sapere agl’israeliti che il vero spettacolo luminoso
è quello che proviene dalla giustizia.

La giustizia è qui invocata in parallelismo con la salvezza.
Essa comporta per gli abitanti di Gerusalemme1
l’instaurazione di rapporti nuovi con Dio e fra di loro.
La salvezza invece consiste nella liberazione dal dominio straniero
e da tutti gli altri mali che affliggono la popolazione.
Da questo binomio appare che la rinascita di una città consiste anzitutto
nell’attuazione dei valori propri dell’alleanza,
gli unici che rendono possibile una convivenza pacifica e solidale tra i suoi abitanti.

4. Il profeta prosegue descrivendo il futuro di Gerusalemme1.
Anzitutto egli si rende conto che le sarà affidata una missione universale:
«Allora i popoli vedranno la tua giustizia,
tutti i re la tua gloria» (v. 2a).
Ricevendo in sé la giustizia,
Gerusalemme1 la renderà visibile a tutte le nazioni,
che ne trarranno luce e orientamento di vita.

Qui la giustizia è posta in parallelismo con la «gloria» (kabod),
che consiste in una lucentezza che è il segno della manifestazione divina:
essa appartiene a Gerusalemme1, in quanto YHWH abita in essa.
La città diventerà dunque luce delle nazioni
non per la potenza delle armi, per il benessere materiale
o per la sontuosità dei suoi edifici,
ma perché Dio in essa si rende visibile mediante la pratica della giustizia.

Gerusalemme1 si trasformerà in un’altra città completamente diversa,
così che Jahweh, suo Dio, dovrà cambiarle il nome:
«ti si chiamerà con un nome nuovo
che la bocca del Signore indicherà» (v. 2b).

5. In forza della giustizia, Gerusalemme1 avrà un nuovo rapporto con YHWH:
«Sarai una magnifica corona nella mano del Signore,
un diadema regale nella palma del tuo Dio» (v. 3).
La corona e il diadema sono i segni della regalità.
Adottando la giustizia come suo modo di essere
la città manifesta la regalità di Jahweh in tutto il mondo.

6. Il profeta continua a elevare forte la sua voce.
Vuole raffigurare la rinascita di Gerusalemme1,
davanti alla quale sta per schiudersi una nuova era,
e dipinge Gerusalemme1 come una sposa in procinto di celebrare le nozze.
Il simbolismo sponsale, che va delineandosi con forza in questo passo,
è, nella Bibbia, una delle immagini più intense
per esaltare il legame di intimità
e il patto d’amore che intercorre tra il Signore e il popolo eletto.

7. L’elemento decisivo sarà il mutamento del nome,
come avviene anche ai nostri giorni quando la ragazza si sposa.
Per i semiti il nome è l’essenza stessa dell’essere,
quindi Gerusalemme1 che riceve un nome nuovo
è posta nella condizione di assumere una nuova identità.

Il nuovo nome che assumerà la sposa Gerusalemme1,
destinata a rappresentare tutto il popolo di Dio,
è illustrato nel contrasto che il profeta specifica:
«Nessuno ti chiamerà più Abbandonata,
né la tua terra sarà più detta Devastata,
ma tu sarai chiamata Mio compiacimento
e la tua terra, Sposata,
perché il Signore si compiacerà di te
e la tua terra avrà uno sposo» (v. 4).

Ai nomi che indicavano la precedente situazione di abbandono e di desolazione,
cioè la devastazione della città ad opere dei Babilonesi e il dramma dell’esilio,
ora si sostituiscono i nomi della rinascita
e sono termini di amore e di tenerezza, di festa e di felicità.

8. A questo punto tutta l’attenzione si concentra sullo sposo.
Stupenda è soprattutto la dichiarazione finale:
«Sì, come un giovane sposa una vergine,
così ti sposeranno i tuoi figli;
come gioisce lo sposo per la sposa,
così il tuo Dio gioirà per te» (v. 5).

Questa frase è chiaramente corrotta
in quanto è difficile immaginare che i figli sposino la loro madre.
Cambiando la vocalizzazione del termine «i tuoi figli» ((banêk)
si ottiene bonek, il tuo costruttore, il tuo architetto, che si adatta meglio al contesto.

Il profeta non inneggia più alle nozze tra un re e una regina,
ma celebra l’amore profondo che unisce per sempre Dio e Gerusalemme.
Nella sua sposa terrena, che è la nazione santa,
il Signore trova la stessa felicità che il marito sperimenta nella moglie amata.
Al Dio distante e trascendente, giusto giudice,
subentra ora il Dio vicino e innamorato.

Questo simbolismo nuziale si trasferirà nel Nuovo Testamento (cf. Ef 5,21-32)
e sarà ripreso e sviluppato dai Padri della Chiesa.

Qual è il senso di questo oracolo?

9. Innanzi tutto suggerisce l’idea di intimità, di appartenenza reciproca, di comunione vitale.
Dio salverà il suo popolo,
non semplicemente strappandolo da una condizione di desolazione, di disperazione,
ma donando se stesso a questo popolo di afflitti,
entrando in comunione intima con esso.

Nell’oracolo si fondono varie immagini: quella del sole
e quella del re vittorioso nel giorno delle sue nozze.
Il profeta vede sorgere sulla città amata l’aurora luminosa,
che fa brillare le mura e le merlature,
rendendole simili ad una corona che brilla sul monte (v. 3),
magnifica agli occhi e visibile fin da lontano.

La seconda immagine mostra il Signore che vuole congiungersi al suo popolo
nella forza di un amore capace di novità inesauribile e di ringiovanimento costante.
Lo sposalizio tra Dio e Gerusalemme1 non è qui presentato
come una riconciliazione dopo una separazione, una rottura,
ma come un amore sorgivo, nascente, quasi primaverile:
“Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto” (v. 5a).

Ma questa parola profetica dice ancor di più:
non solo noi possiamo esultare per Dio e gioire con lui,
ma egli gioisce di noi come uno sposo è felice per la sua sposa,
o l’innamorato per la sua amata.

10. Ma c’è di più, molto di più in quel «come gioisce lo sposo per la sposa» (v. 5):
non è un semplice paragone preso per caso.
Questo annuncio di un Dio Sposo,
che “con un amore sorgivo” gioisce per la sua sposa-comunità,
è uno di quegli annunci che dovrebbero spaccare i rigidi e freddi steccati delle nostre paure
e delle nostre diffidenze, come pure della nostra autocommiserazione.
Se Dio gioisce per te, qualcosa di buono dovrai pur avere,
un raggio di bellezza dovrà pure sorprenderti!

È stupefacente come l’architetto, il creatore (v. 5), colui che ci ha fatti,
scoppi di gioia per la gioia delle sue creature!
Nulla è più estraneo al nostro Creatore, nulla gli è sottratto,
poiché egli è capace di una cosa impensabile: gioire per noi.

Foto: Lungo le mura della vecchia Gerusalemme / nbts.it

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