Am

Am 8,4-7 – XXV Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Contesto storico

Am – Siamo nel 750 a.C. e Israele
è al massimo del suo splendore.

Il suo territorio si estende, praticamente,
dall’Egitto alle montagne del Libano,
là dove crescono gli enormi cedri
il cui legno prezioso è impiegato
al fine di costruire navi e palazzi.

Sono state introdotte, inoltre,
nuove tecniche agricole
che hanno incrementato la produzione.

Il re Geroboamo II
– abile politico –
favorisce notevolmente
gli scambi commerciali,
instaura, per lo più,
rapporti di amicizia
con i popoli vicini.

Infine, praticamente
dà ai grandi proprietari terrieri
l’opportunità di vendere
a buon prezzo
il vino, l’olio e il grano.

Anche la religione è in auge:
i templi e le sinagoghe
rigurgitano di devoti e pellegrini
che vanno al fine di pregare
e di offrire sacrifici.

Il sovrano, inoltre stipendia i sacerdoti,
che non sono mai stati pagati meglio.

Ci sarebbe, pertanto, da benedire Dio
e ringraziare il re
a causa di tanta prosperità e tanto fervore,
se non ci fosse un … ma!

Am – Il profeta Amos

Un ma! che è rilevato da un uomo
che non si unisce affatto al coro
di chi inneggia all’andazzo delle cose
e alla politica di Geroboamo II.

È Amos.
Originario del sud
-il suo villaggio natale è Tekoa,
a sud di Betlemme -,
ricevere l’incarico
di profetare al nord.

Nato in campagna,
deve, però, esercitare la profezia
nell’opulenta città di Samaria.

Abituato allo spirito semplice
ed essenziale della natura,
deve tuttavia fronteggiare persone
che hanno il culto
della ricercatezza leziosa.

Queste contraddizioni,
di conseguenza,
plasmano la sua persona
ed entrano, ovviamente,
nel suo messaggio essenziale,
incisivo e, a tratti, anche rude.

Am – La sua predicazione

Amos esplode in invettive
e minacce terribili, perché
– dice – è vero che ci sono
benessere e ricchezza nel Paese,
ma solo per alcuni.

I poveri, invece, sono sfruttati
e nei confronti dei più deboli
si commette ogni sorta
di ingiustizia e di sopruso.

«Si vende il giusto per denaro
e il povero per un paio di sandali;
calpestano come polvere della terra
la testa dei poveri» (Am 2,6-7).

Nei tribunali, poi, «gli umili»
sono sempre condannati,
perché i potenti
«trasformano il diritto in veleno,
gettano a terra la giustizia
e hanno in abominio
chi dice la verità» (Am 5,7.10).

Amos rivolge le sue accuse,
soprattutto contro Geroboamo II,
i sacerdoti, i latifondisti, i ricchi.

Am 8,4-7

Nel brano riportato
nella prima lettura di oggi,
Amos attacca i commercianti.

Dapprima descrive le malefatte
condensate nella fretta affannosa
di esoso guadagno (Am 8,4-6),
poi palesa la minaccia di castigo,
implicitamente contenuta nel fatto
che Dio non dimentica
il male compiuto (Am 8,7).

Il nostro brano si apre
con l’imperativo «Ascoltate»,
che invita a una attenta riflessione;
è l’urgenza del momento, infatti
a richiedere un supplemento
di attenzione.

Subito inizia una denuncia impietosa
che smaschera atteggiamenti talora
anche «assassini»
«voi che calpestate il povero
e sterminate gli umili del paese»
(Am 8,4).

I titoli «povero» e «umile»
sono posti quasi in parallelo,
combinando la connotazione
sociologica di povertà
con quella religiosa:
il povero è colui che si fida
e affida a Dio.

Quali sono le loro malefatte?
Comprano i prodotti dei campi
dai poveri contadini
e li rivendono poi ad altri,
ancora più poveri,
a prezzi da strozzinaggio
(Am 5,11).

La smania di denaro

Amos descrive dettagliatamente
le tecniche che usano.

Durante la settimana
la gente normale vive
nell’attesa del sabato
al fine di elevare
il pensiero a Dio, riposare,
incontrare familiari e amici,
fare festa.

I commercianti, invece,
non sopportano il sabato,
le feste, il novilunio
perché in quei giorni
gli affari si bloccano.

Non vedono l’ora, infatti
che passino,
al fine di riprendere
a vendere il grano
e smerciare il frumento.

Diminuiscono, pertanto, le misure,
soprattutto aumentano i prezzi,
usano poi bilance false,
e, infine, fanno passare per buoni
gli scarti dei prodotti.

Ma, ciò che è peggio,
«comprano con denaro
gli indigenti
e il povero
per un paio di sandali»
(Am 8,5-6).

Una cinquantina d’anni più tardi
gli farà eco un altro profeta, Michea:
«Ai poveri si strappa la pelle di dosso
e la carne dalle ossa» (Mi 3,2).

Il Signore: «non dimenticherò mai
tutte le tue opere» (Am 8,7)

Amos parla espressamente
di commerci, di trucchi, di imbrogli.
Che ha a che fare Dio
con questi problemi?

Certo che ha a che fare e,
nell’ultima parte del nostro brano,
Amos chiarisce come Dio la pensi.
Dove non c’è giustizia,
i deboli vengono oppressi,
e il dolore è ignorato (Am 5,21-24),
la religione è solo ipocrisia.

Di fronte
allo sfruttamento del povero,
il Signore si indigna
e pronuncia un giuramento
che fa totalmente rabbrividire:
«Non dimenticherò mai
le loro opere!» (Am 8,7).

Dio che – come si è visto
domenica scorsa –
«non dimentica»
di usare misericordia,
qui giura di «non dimenticare»
i malaffari compiuti
sulla pelle dei poveri e bisognosi.

La lezione è, pertanto, trasparente:
non si può mescolare insieme
religione e ingiustizia,
culto e frode,
gloria di Dio e avvilimento dell’uomo,
lode all’Altissimo
e sfruttamento del debole.

Certo, la preghiera è importante,
la partecipazione
all’assemblea liturgica,
è fondamentale.
Ma non basta.

Dio è interessato
all’impegno assai più esigente,
di «fare» diverso,
di «essere» diverso,
quando dalla liturgia
si è restituiti alla solita quotidianità.

Dalla chiesa, infatti, deve partire
una strada di giustizia, onestà,
coerenza di condotta,
attenzione al prossimo.

Se non è così,
vuol dire che, praticamente,
non si è neppure entrati in chiesa,
ossia non si è cristiani.

Foto: Ricchezza e povertà
in un dipinto fiammingo
del XVII sec. / it.wikiquote.org

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