Sap

Sap 9,13-18 – XXIII Domenica del Tempo Ordinario – Anno C

Contesto

Sap – Con la prima lettura di oggi,
siamo nella seconda parte
del libro della Sapienza (Sap 6,22-9,18).

Questa parte ha come tema
precisamente la Sapienza:
essa è dono divino
che pervade i fedeli
e li guida nella loro esistenza.
Non solo, essa penetra anche il cosmo
in tutte le sue meraviglie.

Precisamente perché è dono,
dev’essere implorata da Dio.

Sap – Capitolo 9

Ecco allora, che il capitolo 9
contiene l’orazione,
attribuita a Salomone
al fine di ottenere la Sapienza.

Questa preghiera si svolge in tre momenti,
tutti centrati su un’invocazione rivolta a Dio:
«Dammi la sapienza che siede
accanto al tuo trono…
Inviala…, mandala dal trono della tua gloria…
Se tu non gli avessi dato la sapienza…»
(Sap 9,4.10.17).

Dapprima (Sap 9,1-6), è messo in evidenza
che senza la Sapienza l’uomo è un nulla.
Poi si passa alla richiesta vera e propria
della Sapienza dal cielo (Sap 9,7-12).
Infine, si constata che l’uomo è fragile e,
privo della Sapienza, non sarebbe capace
di conoscere la volontà di Dio (Sap 9,13-18).

Precisamente quest’ultimo segmento del capitolo 9
offre il materiale dell’odierna prima lettura.

Uno sguardo d’insieme del nostro testo

La preghiera al fine di ottenere la Sapienza,
si svolge su quattro domande retoriche
(cioè già note nella loro risposta).

Chi può conoscere il volere divino,
se non la Sapienza
che è «uscita dalla bocca dell’Altissimo»?
(Sir 24,3).

Inoltre, chi può immaginare
cosa vuole il Signore.
O scoprire i segreti celesti?

Infine, chi può conoscere il progetto
che Dio ha deliberato
riguardo alla realtà creata?

La risposta è sempre una sola:
è la Sapienza il tramite tra Dio e l’uomo,
è lei che ci porta la rivelazione del pensiero
e della volontà divina.

Precisamente per questo legame
tra la divinità e l’umanità,
la lettura cristiana concepirà la Sapienza
come la personificazione della figura di Cristo,
che ci disvela praticamente il mistero del Padre.

Sap 9,13-18

Alla luce di questi elementi,
possiamo adesso rileggere il nostro testo
in modo più dettagliato.

Si parte da una domanda retorica
circa lo squilibrio
nel rapporto Dio-uomo (Sap 9,13).

Poi si passa a considerare
la pochezza dell’uomo (Sap 9,14-16),
per concludere positivamente
che la grandezza dell’uomo
riposa nel dono della sapienza
che gli permette di essere
familiare di Dio (Sap 9, 17.18).

Sap – L’inconoscibilità del volere di Dio

Il primo versetto
contiene due domande parallele:
«Quale uomo
può conoscere il volere di Dio?
Chi può immaginare
che cosa vuole il Signore?» (Sap 9,133).

L’uomo è troppo limitato nelle sue possibilità
(cfr. Sap 9,5-6) al fine di essere in grado
di penetrare il mistero di Dio,
e poterne scoprire e comprendere i disegni,
anche dopo che sono stati rivelati.

Questa è anche la convinzione dei profeti:
«Chi è salito al cielo e l’ha presa
e l’ha fatta scendere dalle nubi?
Chi ha attraversato il mare
e l’ha trovata, l’ha comprata
a prezzo d’oro puro?» (Bar 3,29-30)
e dei sapienti di Israele (cf. Pr 30,4; Sir 1,2-3.5).

Il versetto successivo
contiene invece due affermazioni parallele:
«I ragionamenti dei mortali sono timidi
e incerte le nostre riflessioni» (Sap 9,14).

I «mortali» sono precisamente gli uomini.
Nella Bibbia greca
il termine è usato solitamente al singolare.
Nella letteratura greca
si contrappone agli «immortali»,
che sono gli dèi.

L’idea dell’autore
riguardo alle nostre possibilità
di conoscere la verità nell’ambito morale
è piuttosto pessimistica:
l’uomo, abbandonato a se stesso, infatti,
cammina nelle tenebre dell’ignoranza
e dell’insicurezza.

Nella terminologia platonica
si direbbe che,
a causa della sua natura materiale,
l’uomo non può arrivare più in là delle opinioni.

Sap – Corpo e anima

L’autore passa poi a indicare
il motivo della limitatezza umana:
la fragilità strutturale dell’uomo
è legata alla sua corporeità:

«… perché un corpo corruttibile
appesantisce l’anima
e la tenda d’argilla opprime
una mente piena di preoccupazioni» (Sap 9,15).

Il linguaggio adottato dall’autore sacro
palesa indubbiamente
la sua formazione culturale greca:
più precisamente,
risente di influssi platonici.

Secondo il platonismo, in effetti,
il corpo è visto alla stregua di un peso
che opprime l’anima e la mente;
più chiaramente è il carcere dell’anima.
Di conseguenza, la vita dell’uomo
si sviluppa in una continua dialettica
fra «il corpo» e «l’anima».

Occorre tenere presente, però, che l’idea
del corpo umano come di una «tenda»,
evoca la concezione biblica della precarietà
dell’esistenza (cf Gb 4,21; Is 33,20; 38,12);
così come l’«argilla» è chiaramente simbolo
dell’uomo plasmato da Dio (Gn 2,7).

L’obiettivo dell’autore è smontare la presunzione
delle correnti sapienziali di origine pagana
di garantire una perfetta conoscenza,
paragonabile a quella divina.

La sapienza come dono dall’alto

La preghiera prosegue evidenziando
come il limite della creatura umana
si manifesti nella sua incapacità di conoscere:
«A stento immaginiamo le cose della terra,
scopriamo con fatica quelle a portata di mano;
ma chi ha investigato le cose del cielo?»
(Sap 9,16).

L’espressione «le cose della terra»
indica ciò che accade sulla terra,
ciò che l’uomo può verificare e controllare.

Tutte queste cose
dovrebbero essere conosciute facilmente.
Tuttavia, non sempre è così:
solo con notevole sforzo, infatti,
riusciamo ad appropriarci delle cose,
dominandole appena
con le nostre imperfette capacità.

La verità è che ogni volta sperimentiamo
che la realtà ci sfugge di mano.

La domanda finale di Sap 9,16
mette in luce l’impossibilità di investigare,
conoscere «le cose del cielo»,
ossia quelle che appartengono
all’ambito divino.

Sapienza e spirito

Alla debolezza umana, tuttavia,
Dio supplisce mandando la sapienza:
«Chi avrebbe conosciuto il tuo volere,
se tu non gli avessi dato la sapienza
e dall’alto non gli avessi inviato
il tuo santo spirito?» (Sap 9,17).

In altre parole, conoscere il volere di Dio
è possibile solo in virtù della sapienza,
che è elargita come dono dall’alto
sotto forma di «santo spirito».

In questo versetto, nel quale convergono
quasi tutti i temi toccati dall’autore,
durante la preghiera,
si trovano tre dei grandi temi
trattati dal giudaismo postesilico:
la volontà di Dio, la sapienza e lo spirito.

È la prima e l’unica volta
che nella preghiera attribuita a Salomone
appare l’espressione «il tuo santo spirito»,
che dal parallelismo della frase
va identificato con la sapienza.

Già nei precedenti capitoli
il rapporto fra sapienza e spirito
è stato frequente ed intimo,
fino a giungere, almeno in parte,
all’identificazione (cf Sap 1,5-7; 7,7.22).

Pertanto, non è l’uomo che si innalza a Dio,
ma è Dio che si china sull’uomo,
colmandolo della sua presenza sapiente.

La salvezza per mezzo della sapienza

Il brano termina con un versetto
che si collega strettamente
con quello precedente e con l’inizio
della preghiera attribuita a Salomone:

«Così vennero raddrizzati
i sentieri di chi è sulla terra;
gli uomini furono istruiti
in ciò che ti è gradito
e furono salvati
per mezzo della sapienza» (Sap 9,18).

Questo versetto conclusivo del nostro brano
riprende, infatti, Sap 9,2 («e con la tua sapienza
hai formato l’uomo perché dominasse
sulle creature che tu hai fatto»).

In altre parole,
come con la sapienza Dio creò l’uomo,
così con la sapienza
lo stesso Dio ha salvato gli uomini

Conclusione

Sap 9,18 introduce il tema
trattato nei capitoli successivi (Sap 10-19),
ossia nella terza e ultima parte
del libro della Sapienza: ovvero la rilettura,
in chiave teologica e sapienziale,
della storia vissuta da Israele
durante l’esodo dalla schiavitù egiziana.

Foto: Alba sul Brenta, o Appuntamento
con la luna a Passo Lasteri / trentinovacanze.it

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