Salvezza

Salvezza. Venerdì della XXIX settimana fra l’anno I – Rm 7,18-25a

Salvezza. La Prima Lettura è tratta dalla Lettera di san Paolo ai Romani.

Con questa lettera, l’Apostolo vuole spiegare ai cristiani di Roma quale sia l’origine e la natura della salvezza, ossia, nel linguaggio in cui si esprime, donde venga e in che cosa consista la giustizia salvifica che Dio ha donato agli uomini mediante Gesù Cristo, adempiendo la promessa fatta ad Abramo.

Il grande interrogativo con cui san Paolo si confronta è: come può l’uomo diventare giusto, libero e santo davanti a Dio?

Per un Ebreo la risposta era ed è che la giustificazione si ottiene osservando puntualmente i dettami e i precetti della Legge mosaica.

Al che san Paolo risponde: no! L’uomo è un impasto complesso e ambiguo, lo attraversano aspirazioni buone e voglie prevaricatrici; nessun uomo da solo può realizzare la salvezza, la quale gli viene da Dio per mezzo di Gesù Cristo. «Dio ci dà la prova del suo amore per noi nel fatto che, mentre ancora eravamo peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8).

Questa affermazione che sta al centro della lettera e nel cuore del messaggio di san Paolo, si accetta nell’ubbidienza della fede. La porta della salvezza è dunque la fede, non la Legge. In virtù della fede sigillata con il battesimo, l’uomo riceve lo Spirito di Cristo che lo rigenera, lo rende figlio di Dio; perciò egli non vive più sotto la costrizione della Legge, ma si lascia guidare dallo Spirito di Dio.

Per Paolo, quindi (e siamo alle letture immediatamente precedenti quella odierna, di mercoledì e di ieri), l’essere stati battezzati in Cristo ha come conseguenza una triplice liberazione: dal peccato, dalla morte e dalla Legge.

Leggendo quelle pagine ci si ferma pensando che questo sarebbe l’ideale: sentirci liberi interiormente, non essere schiavi del male, perché, essendo stati incorporati a Cristo nel battesimo, ormai «non regna più il peccato nel nostro corpo, sì da sottometterci ai suoi desideri», ma offriamo «noi stessi a Dio come vivi, tornati dai morti».

Però, sperimentiamo anche, drammaticamente, che tutto questo lo stiamo conseguendo a poco a poco. L’amore che Dio ha per noi è grande e la forza che Cristo ci trasmette è molto efficace, però in qualche modo continuiamo a sentire in noi l’attrazione del male.

Il battesimo è soltanto la nascita. Poi, tutta la vita del cristiano è un processo laborioso di crescita in questa grazia ricevuta. Abbiamo già la vita in noi, siamo già membri di Cristo, però il peccato non è scomparso dal nostro orizzonte e dobbiamo lottare giorno dopo giorno per vivere in modo conforma a quello che siamo.

E siamo alla Prima Lettura di oggi.

La teoria è molto bella, e Paolo l’ha esposta con entusiasmo: mediante il battesimo siamo stati introdotti nel mistero e nella sfera di Cristo.

Però la pratica è diversa. La lotta è continua e Paolo la descrive drammaticamente in se stesso: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Già Ovidio scriveva: «Video bona proboque, sed deteriora sequor» (“Vedo le cose buone e le approvo, ma di fatto seguo le peggiori”).

Il testo odierno sembra essere, dunque, il manifesto pessimistico dell’impotenza umana. Tanto che Paolo conclude: «Infelice uomo che sono! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?» (v. 24). Un grido disperato, ma che si cambia repentinamente in giubilo di vittoria: «Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore» (v. 25).

La tesi, ripetuta da Paolo in tutta la Lettera ai Romani – e in quella inviata ai Galati – appare ora applicata a se stesso: non potrà liberarsi dal peccato con le sue proprie forze, ma per la grazia di Dio. «Siano rese grazie a Dio».

Questa è anche la mia, la nostra storia. Tutti sappiamo quanto ci costa fare , lungo la giornata, il bene che la mente e il cuore ci dicono che dobbiamo fare: situare Dio al centro della vita, amare i fratelli, compresi i nemici, vivere nella speranza, dominare i nostri bassi istinti…

Di solito sappiamo molto bene quello che dobbiamo fare. Però, quando ci troviamo al bivio, tendiamo a scegliere la strada più facile, non necessariamente quella più conforme alla volontà di Dio. Sentiamo in noi questa duplice forza di cui parla Paolo: la legge del peccato che contrasta l’attrazione esercitata dalla legge della grazia.

Facciamo nostro il grido fiducioso: noi siamo deboli e «il male abita in noi», ma Dio ci concede la sua grazia per mezzo di Gesù Cristo. Tra gli altri mezzi della sua grazia, ci è offerta l’Eucaristia in comunione con Colui «che toglie il peccato del mondo».

Foto: Dal mio profilo facebook

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