Parola Sofferenza

Parola Sofferenza Is 50,4-7 – Domenica delle Palme – Anno C

Parola Sofferenza. La prima Lettura, che riporta solo una parte
del cosiddetto terzo canto del Servo di Jahvèh,
è un canto di fiducia in Dio e nella sua chiamata,
fiducia nonostante tutto.

Pur contenendo diversi motivi presenti nei Salmi
e nella letteratura profetica,
tuttavia il testo comunica un messaggio nuovo.

Il primo motivo presente nel testo riguarda la Parola:
una parola da dare e da accogliere (vv. 4-5),
come nei racconti di vocazione dei profeti;
mentre nella seconda parte (vv. 6-7)
prevale il tema della sofferenza del Servo,
che lo avvicina ai salmi di lamentazione.

Parola Sofferenza. La Parola

Spiegando la prima Lettura della festa del Battesimo di Gesù,
si è parlato di un personaggio misterioso
che entra in scena nella seconda parte del libro di Isaia.
Si tratta del «Servo del Signore».
Nella Lettura di oggi questo «Servo» ricompare
ed è egli stesso che parla.

Ancora una volta, non si presenta con l’appellativo di «profeta»,
né qui compare il nome di ‘ebed, «servo».

Il termine caratteristico di questi primi versetti è invece limmud,
un termine che conduce all’ambito della scuola,
dell’insegnamento, del discepolato.

Limmud è colui al quale si insegna, che viene istruito,
che si pone all’interno di una relazione discepolo-maestro;
nel testo ebraico si trova al plurale, alla lettera:
«Il Signore Dio mi ha dato la lingua dei discepoli».

Prevale quindi, fin dall’inizio, l’idea di un ascolto,
di un approfondimento la cui finalità è indicata con chiarezza:
indirizzare a chi è sfiduciato una Parola.

Come dunque non intravedere in questi brevi tratti
il ministero del Deutero-Isaia,
profeta capace soprattutto di infondere, come nessun altro,
speranza e fiducia nel cuore degli esuli?

Questa esperienza di ascolto non solo si rinnova
ogni giorno, fin dal mattino;
ogni giorno infatti è necessario «aprire l’orecchio»,
tornare ad essere discepolo.

A dire il vero, all’origine della capacità di ascoltare
e proclamare del discepolo c’è Dio stesso:
«Il Signore Dio mi ha dato una lingua […].
Ogni mattina fa attento il mio orecchio».

Se il profeta è discepolo, il Signore è maestro.
In che senso allora «dona la Parola»?
Nella misura in cui rende capace l’uomo di accoglierla
e di donarla a sua volta.

Con il v. 5, al tema della Parola,
si aggiunge inoltre quello dell’abbandono fiducioso:
«Non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro».

Il ministero profetico, ce lo ricorda infatti la Bibbia,
è condizione difficile e spesso dolorosa;
il profeta non appartiene più a se stesso,
appartiene a Dio e a quel popolo
per il quale si pone a servizio della Parola.

Nel canto del Discepolo-servo
ritroviamo l’eco delle parole di Geremia (15,16-19),
nel suo assoluto dipendere da una Parola che lo visita.

In questa esperienza abitano allo stesso tempo
gioia e sdegno, letizia e solitudine.

Nella vita del profeta si fa largo infatti
quell’essere «segno di contraddizione» tra la gente,
che ritroviamo, pienamente compiuto,
nella persona e nella vicenda di Gesù,
specialmente nel momento della sua passione e morte (cf Lc 2,34).

Parola Sofferenza. La sofferenza

Nella seconda parte del canto,
riconosciamo un tema proprio della vicenda isaiana del Servo:
la sofferenza del giusto, al centro del quarto canto, in Is 53.

Lo stesso motivo si ritrova in numerosi salmi
e specialmente nel Sal 21 che oggi proclamiamo.

L’essere flagellato, la barba strappata gli insulti
e gli sputi dicono in effetti una sofferenza reale, concreta,
che tocca tutto l’uomo, nella sua dignità personale.

Qui però il tema è trattato da un nuovo punto di vista,
che non è precisamente quello della lamentazione:

«Ho presentato il mio dorso […] non ho sottratto la faccia»
infatti sono espressioni in continuità con
«non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro»
del versetto precedente.

In altre parole: tenere l’orecchio aperto,
divenire discepoli della Parola,
implica principalmente una disponibilità radicale
che abbraccia l’intera esistenza.

Nella conclusione del canto, al v. 7, ritorna la dimensione teologale
della relazione con Dio: il Signore è aiuto (‘ezer) che sta a fianco,
colui che sostiene e non abbandona.

È questa in fin dei conti la ragione della fiducia,
il motivo che sostiene il discepolo nella sua lotta.

La confusione e la vergogna infatti
assalgono coloro che non sanno dove appoggiare la loro esistenza,
che non conoscono il Signore
e non hanno fatto esperienza del suo aiuto

«Per questo rendo la mia faccia dura come pietra»:
nel Vangelo secondo Luca (9,51) troviamo una chiara allusione
a questo versetto in uno dei passaggi importanti del racconto
che, alla lettera, recita:
«Indurì la sua faccia per andare a Gerusalemme».

A dire la verità, esiste questo Servo attento alla Parola e Sofferente?
Sì. È Gesù l’autentico Messia annunciatore,
il discepolo attento e il maestro della Parola,
che precede e traccia la strada,
modello di abbandono fiducioso alla volontà di Dio

colui che sopporta la sofferenza da parte degli uomini
perché si fida del Padre suo che è nei cieli,
che gli è a fianco e difende la sua causa,
specialmente nel momento della prova suprema della croce.

Foto: Diego Velázquez, Jesu Cristo crucificado (particolare)
Museo del Prado, Madrid / it.wikipedia.org

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