Paolo e Barnaba

Paolo e Barnaba – At 14,21b-27 – Quinta Domenica di Pasqua – Anno C

Paolo e Barnaba. Presentazione della prima lettura

Paolo e Barnaba. La prima lettura,
tratta dalla seconda parte del capitolo 14 degli Atti degli Apostoli,
descrive il viaggio di ritorno di Paolo e Barnaba
dopo il loro primo viaggio apostolico:

percorrono in effetti in ordine inverso le città
nelle quali dapprima avevano predicato il Vangelo
e fondato comunità,
fino a arrivare di nuovo ad Antiochia di Siria,
da dove erano partiti.

Inoltre in ogni comunità per la quale ripassano
confermano nella fede i fratelli,
esortandoli a perseverare nella fede,
«poiché, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni
per entrare nel regno di Dio» (v. 22).

Costituiscono anche presbiteri o responsabili locali,
pregando su di essi,
digiunando e raccomandandoli al Signore.

Giunti infine ad Antiochia di Siria,
rendono conto alla comunità,
che li aveva inviati nella loro missione.

Le notizie che danno non potrebbero d’altra parte essere migliori:
«Riferirono tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo loro
e come aveva aperto ai pagani la porta della fede» (v. 27).

Commento

Esaminiamo quindi le cose da vicino.

Confermare nella fede ed esortare a perseverare in essa

In ogni comunità per la quale ripassano,
Paolo e Barnaba soprattutto confermano nella fede i fratelli,
esortandoli a perseverare in essa.
Segno evidente che la fede era messa a dura prova.
Infatti, la fede, allora come oggi,
subisce necessariamente bruschi scossoni.

Effettivamente, Paolo e Barnaba confortano, asciugano lacrime.
Tuttavia non possono garantire che non ne sgorgheranno altre.

Infatti non rassicurano che, da questo punto in poi,
la strada sarà sgombra di difficoltà,
dal cielo verranno spazzati via i nuvoloni più inquietanti,
e sull’orizzonte dei fedeli comparirà il «bello stabile».
Al contrario, ribadiscono che
«è necessario attraversare molte tribolazioni».

Anche per noi, come per Paolo e Barnaba,
si alternano giorni di successo e giorni di fallimento.
Incontriamo difficoltà dentro e fuori di noi stessi.

Qualche volta non saranno persecuzioni né percosse,
però potranno essere l’indifferenza o l’ostilità dell’ambiente,
e anche la stanchezza interiore o la mancanza di entusiasmo,
che sono peggiori delle difficoltà esterne.
E questo non soltanto nel nostro lavoro apostolico,
ma anche nella nostra vita di fede personale o comunitaria.

Dobbiamo invece essere perseveranti nella fedeltà a Cristo,
e decisi nel continuare a testimoniarlo in un mondo tanto distratto.

Il senso della comunità

Nel modo di procedere di Paolo e Barnaba
c’è anche un’altra lezione: il loro senso della comunità.

Si sentono infatti, non franchi tiratori che vanno per conto proprio,
ma inviati dalla comunità,
alla quale rendono conto del proprio operato.
Si sentono, in altre parole, corresponsabili con gli altri.

D’altra parte, la comunità si comporta con eleganza,
ascoltando e approvando le loro informazioni
che aprono vie nuove di evangelizzazione più universale.

Se nell’ambito di una parrocchia,
o di una comunità religiosa o di una diocesi

ci fosse questo senso di corresponsabilità,
sia da parte dei responsabili e degli animatori sia
da parte dei membri della comunità
– in entrambe le direzioni comunque deve migliorare il nostro comportamento –
certamente si otterrebbe una migliore efficacia di evangelizzazione
a tutti i livelli.

L’agire di Dio

Se fin qui si è vista, peraltro, l’opera degli Apostoli
il nostro brano apre inoltre una dimensione fondamentale:
l’agire di Dio.
Infatti l’intero resoconto è impregnato
del caratteristico stile storiografico di Luca:

per l’evangelista, narrare la storia
significa esplicitamente mostrare
come Dio è all’opera attraverso gli eventi
e come il filo rosso del suo agire sia riconoscibile
per chi è disposto ad accoglie Cristo e il suo Vangelo.

L’agire di Dio descrive così, in contrappunto,
un altro motivo del racconto,
che sostiene e dà corpo a tutti gli altri motivi presenti nel testo.

La preghiera, il digiuno e la fede stessa dei discepoli
sono infatti elementi
che contengono un rimando alla realtà trascendente,
ma è soprattutto nella conclusione
che il motivo balza in primo piano.

Qui infatti leggiamo che Paolo e Barnaba,
nella chiesa-madre di Antiochia di Siria
«erano stati affidati alla grazia di Dio
per l’opera che avevano compiuto» (v. 26).

Il termine greco tò érgonl’opera»)
rimanda decisamente ad At 13,2,
ovvero all’inizio del viaggio missionario
e all’intervento diretto dello Spirito Santo
nella scelta degli evangelizzatori.

Ciò che essi hanno compiuto
è dunque fin dal principio opera di Dio,
il risultato di un intervento della grazia.

La costruzione del versetto conclusivo (v. 27),
con il cambio di soggetto – da «Paolo e Barnaba» a «Dio»
mostra la definitiva intenzione del narratore:
tutto quanto gli Apostoli hanno detto e fatto,
è quello che «Dio stesso ha fatto» per mezzo loro.

Infine, l’opera più grande e inaudita,
svolta epocale e novità storico-salvifica, è da Dio:
lui solo infatti può aprire «la porta della fede» ai non giudei,
ammetterli nella moltitudine dei salvati,
dare inizio ad un’epoca nuova di salvezza.

Ancora una volta, gli Atti degli Apostoli
ci mostrano come ogni vera opportunità di salvezza per l’umanità
e ogni assoluta novità della storia hanno origine nell’agire di Dio;
ai credenti è affidato il compito prioritario
della testimonianza delle «grandi opere di Dio» (At 2,13).

Foto: Visione di Trento sud dalla Casa di Riposo
”Civica San Bartolameo” / Foto personale

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