Orwell a Wuhan

Orwell a Wuhan nel tempo del virus

 

Nel romanzo documentario
del poeta dissidente Liao Yiwu
le picaresche avventure di uno studioso
che cerca di tornare nella città colpita dal Covid
sono lo spunto per parlare di censura e repressione

Orwell a Wuhan – Li Zehua,
noto come Kcriss,
si sente come Tomáš, il protagonista
dell’Insostenibile leggerezza dell’essere,
che dopo la repressione sovietica del 1968
torna a Praga dalla sua amata Tereza
e perde così per sempre la libertà.

«In questo momento,
la verità è la sua Tereza
e la città di Wuhan è la sua Praga».

Kcriss è un video-blogger
che il 26 febbraio del 2020
viene braccato dalla polizia
perché si è avvicinato troppo
al laboratorio di massima sicurezza P4
dell’Istituto di virologia
per indagare sulla presunta fuga di un virus.

A Wuhan il giornalista e conduttore tv
si è già infiltrato in un’impresa di pompe funebri
per dare conto di quanto viene taciuto
– l’escalation di morti,
le tariffe e le condizioni di lavoro
di chi si occupa dei cadaveri infetti –
e filmare quanto avviene tra i crematori.

Orwell a Wuhan

Con il racconto delle disavventure, reali,
del blogger Kcriss inizia
Wuhan. Il romanzo documentario
del poeta, giornalista e musicista cinese
Liao Yiwu (Guerini e associati,
pagine 244, euro 20,00).

Arrestato nel 1990 per il poema Massacro
in ricordo della strage di piazza Tienanmen,
l’autore ha scontato quattro anni di carcere.

Divenuto sgradito alle autorità per le sue critiche,
nel 2011 ha lasciato la Cina
per trasferirsi in Germania, dove l’anno seguente
ha ricevuto il premio per la pace dei librai tedeschi
in occasione della Fiera del libro di Francoforte.

Il protagonista della narrazione è, però,
Ai Ding, uno storico che sta trascorrendo
un lungo periodo di studi in Germania
e che nei giorni in cui l’epidemia sta scoppiando
vuole recarsi dalla sua famiglia,
a Wuhan per il Capodanno cinese
e per il compleanno della figlioletta.

Orwell a Wuhan

Sin dall’atterraggio
si accorge che essere di Wuhan o dell’Hubei
significa ora essere un sospetto.

Gli altri passeggeri
lo fanno cacciare dal volo interno
che dovrebbe riportarlo a casa.
E a nulla vale il fatto
che lui provenga da una nazione
(ancora) non infetta e sia sano.

Viene confinato a casa dei suoceri
a Changsha, capitale dello Hunan.

Quando finalmente
gli viene dato il permesso di tornare a casa
inizia un’odissea di due mesi,
in cui sperimenterà avventure picaresche

e sarà rimandato indietro più volte
dagli infiniti controlli della polizia
e dei funzionari del partito
nelle località che attraversa,
diventate quasi Stati autonomi
i cui confini sono impermeabili.

Alla fine riesce a ottenere un lasciapassare
e un autista che lo riporta alla sua Itaca.

Troppo tardi,
la moglie è morta
e con la figlia undicenne
l’uomo resterà poco.

La polizia lo arresta
con l’accusa di aver diffuso articoli
che sollevavano dubbi
sull’origine dell’epidemia
dal Mercato del pesce.

Orwell a Wuhan

Kcriss e Ai Ding,
insieme ad altri personaggi quasi tutti reali,
rappresentano le due facce di questo libro:
la documentaria e la romanzesca,
unite nella stessa medaglia.

Le pagine sono, infatti, intessute
di documenti, rapporti,
mail messaggi di giornalisti,
medici, attivisti e semplici cittadini
su piattaforme come WeChat,

che riescono ad aggirare
il “Grande Firewall Cinese”
cioè la censura del web, così ribattezzata
in riferimento al monumento nazionale,
la Grande Muraglia.

Il web e l’apparato orwelliano di controllo
– telecamere, riconoscimenti facciali, droni-
– e le misure draconiane – tamponi continui,
lockdown estremi, case sigillate, quartieri isolati
con recinzioni di ferro alte tre metti
e ispezioni dentro casa
sono gli altri protagonisti della narrazione.

Orwell a Wuhan

Oltre al laboratorio P4 che Liao Yiwu
paragona alla centrale di Chernobyl
(alle ipotesi sull’origine del virus
da un incidente paragonabile a quello nucleare
l’autore dedica un capitolo in cui allinea,
senza cedere alle dietrologie,
i pro e i contro).

Il curatore del volume,
il giornalista di Tempi Leone Grotti,
sottolinea che lo scrittore,
proprio come ai tempi di Tienanmen,

«ha deciso di non voltarsi dall’altra parte
di fronte all’origine e alle conseguenze
della pandemia di Covid-19,
per la quale tutto il mondo ha sofferto,

ma che in Cina è stata sfruttata dal regime
per imporre la più imponente, onnipervasiva
e tecnologicamente avanzata forma di controllo
su ogni aspetto della vita della popolazione».

In effetti Liao Yiwu ne ha per tutti.
Il regime comunista cinese
e in particolare Xi Jinping,
chiamato Sua Maestà Imperiale,
ma anche l’Oms e i governi occidentali
che hanno aderito all’iniziativa
One Belt One Road.

Orwell a Wuhan

Il regime di Pechino è accusato,
nell’avvertenza al lettore,
di «falsificazioni della storia».

A partire dal termine “polmonite di Wuhan”
dapprima usato dalle autorità locali,
poi severamente vietato
dal Comitato centrale del Pcc
e infine sostituito
con l’acronimo ufficiale Covid-19.

Così, ironizza l’autore,
un giorno si attribuirà agli Usa il contagio
come ai tempi di Mao
si attribuì la Grande carestia
al revisionismo sovietico,

«a conferma del detto
sul lavaggio del cervello in 1984 di Orwell:
“Chi controlla il passato controlla il futuro.
Chi controlla il presente controlla il passato”».

Dura anche la poesia a fine volume,
che è «per quei cinesi sepolti vivi
in un impero di bugie».

Orwell a Wuhan

La narrazione è fitta
di rimandi storici alla Cina di Mao
e di citazioni letterarie,
nelle quali a molti poeti cinesi antichi e moderni,
fino ai diari in presa diretta da Wuhan
della scrittrice Fang Fang,

si uniscono l’Arcipelago Gulag di Solženicyn,
L’autunno del patriarca di García Márquez,
le poesie di Szymborska.
E la “terra desolata” dal virus
rimanda a Eliot.

C’è spazio anche per il cinema
con il riferimento a The Truman show,
per definire la realtà parallela
in cui i cinesi sono immersi.
E a Hitchcock.

Ai Ding, interrogato sotto ipnosi,
infatti ricorda una proiezione
nel suo villaggio natale
del film Gli uccelli, durante la quale
un nugolo di pipistrelli assalì gli spettatori.

Gioco di specchi tra film – dove corvi e gabbiani
incombono minacciosi – e realtà.
Che ritorna, rievocata, nel presente.
Nel controverso ruolo avuto dai mammiferi
o da altri animali nel salto di specie del virus.
Che all’autore pare uscito da un vaso di Pandora.

Orwell a Wuhan

«Potrà essere richiuso?» la domanda
che dal romanzo ci trasporta nel presente,
alla ripresa su larga scala del contagio
nell’ex Celeste Impero,
seguita all’allentamento rapido
delle politiche Covid Zero,
dovuta alle proteste su larga scala.

Anche qui echeggiano alcune parole,
contenute nel romanzo.

Sono quelle
del (reale) professore universitario dissidente,
il giurista di Harvard Xu Zhangrun,
che nel 2011, in occasione di una
delle tante proteste silenziate aveva detto:
«La gente arrabbiata più paura non ha».

Gianni Santamaria, «Orwell a Wuhan
nel tempo del virus», in “Avvenire”,
martedì 3 gennaio 2023, p. 21.

Foto: Folla a Wuhan,
la città dove è iniziata la pandemia
di Covid-19 / Anthony Wallace / Afp

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