Oro della Nubia

Oro della Nubia
Quella crudele corsa infinita

 

Oro della Nubia – In Sudan
gli storici siti minerari
del deserto orientale nubiano
sono sconvolti
da una corsa all’oro senza precedenti
che sta trasformando in campi arati
anche le aree
più propriamente archeologiche
come il wadi el-Allaki con le rovine
della mitica Berenice Pancrisia
individuate dai Fratelli Castiglioni.

In questo articolo i due protagonisti
della riscoperta archeologica
delle antiche miniere nubiane
ripercorrono la storia
delle loro ricerche
per lanciare l’allarme
contro una distruzione
che ora sembra davvero inarrestabile.

***

Oro della Nubia – Nel 642
gli arabi di Amrou-ibn el-As
conquistarono la valle del Nilo,
da Alessandria fino ad Assuan.
Ma i Beja,
nomadi del deserto nubiano,
anche quando l’Egitto fu tutto musulmano,
continuarono a depredare
gli opulenti villaggi sul fiume,
come avevano sempre fatto da secoli.

Per arginare le scorrerie
i governatori arabi
stipularono coi Beja dei baqt
(dal tardo latino pactum),
che non furono mai rispettati.

Fu durante le spedizioni punitive
condotte tra l’820 e l’830,
a seguito di razzie sanguinose,
che gli arabi scoprirono
le antiche miniere d’oro del deserto.
Si scatenò, allora,
una vera e propria corsa all’oro,
la prima di cui si ha notizia.

A quell’epoca,
le antiche miniere
che avevano prodotto l’oro
per i faraoni
e per i loro successori
della dinastia tolemaica,
erano da tempo abbandonate.

Le rovine dei villaggi di minatori,
i pozzi e le gallerie,
stimolarono la sete di ricchezza dei soldati.

La notizia della scoperta
dilagò come un fiume in piena
e migliaia di arabi
si avventurarono tra le sabbie
e le montagne del deserto
inseguendo un sogno dorato.

Oro della Nubia
L’acquarello mostra i diversi compiti svolti dagli operai egizi in una miniera vicina al wadi hammamat / storincang.it

Oro della Nubia

Tra le miniere ritrovate,
quelle del wadi el-Allaki
erano certamente le più importanti.
È sufficiente leggere quello che,
alla fine del IX secolo,
scrisse lo storico arabo al-Yaqubi:
«Il wadi el-Allaki
è come un’immensa città,
molto popolata da arabi e non arabi,
tutti cercatori d’oro […].
Gli abitanti hanno al loro servizio
schiavi neri che lavorano
nello sfruttamento di queste.
Le pepite d’oro […]
vengono messe in barre».

***

Oro della Nubia – La scoperta
delle antiche miniere aurifere
svolse un ruolo importante
anche per i pellegrini
che si recavano in pellegrinaggio
alla Mecca.
Da Assuan
attraversavano il deserto e,
transitando per il wadi el-Allaki,
arrivavano sulle coste del mar Rosso
al porto di Aidhab
(quattordici giorni di viaggio,
secondo al-Yaqubi).
Da qui per nave
raggiungevano Gedda
e la Mecca.

È presumibile
che gli stessi pellegrini
si procurassero l’oro
necessario al viaggio
nelle miniere dell’Allaki.

Il geografo Idrisi,
nel XII secolo,
scriveva che ad Aidhab
essi dovevano pagare un contributo
di «otto dinari a testa,
in oro grezzo o coniato».

Oro della Nubia

Il X secolo della nostra era
segnò l’apice
dello sfruttamento delle miniere d’oro
del deserto orientale nubiano,
mentre, a partire
dal secolo successivo,
il loro rendimento
iniziò a declinare:
la “prima corsa all’oro”
aveva provocato
un eccessivo sfruttamento
delle vene di quarzo aurifero;
uno sfruttamento che si era aggiunto
a quello precedente, dei faraoni
dei Tolomei e dei Romani
e che quindi era durato,
seppure con fasi alterne,
per oltre duemila anni!

Lentamente, di nuovo,
il ricordo delle miniere
del deserto orientale nubiano
scomparve.

E dopo gli arabi
una seconda corsa all’oro

***

Oro della Nubia – Col passare
dei secoli il mito dell’oro nubiano
non affievolì.
La persistente leggenda
dell’Eldorado nubiano
si spiega col fatto che,
nell’Egitto faraonico,
la Nubia era la grande produttrice
del metallo prezioso.

È sufficiente ricordare
quanto è scritto
negli Annali di Thutmosi III
(1479-1425 a.C., XVIII din.),
incisi su una parete
del tempio di Karnak
all’altezza del sesto pilone:
negli anni 34, 38 e 41 di regno
la sola regione desertica di Wawat,
nel cuore del deserto nubiano,
aveva prodotto
8.542 deben d’oro,
ovvero ben 777 chili
(un deben,
antica unità di peso egizia,
corrispondeva a 91 grammi)

Oro della Nubia

All’inizio del XX secolo,
dopo la conquista del Sudan
da parte dell’esercito anglo-egiziano
del generale
Horatio Herbert Kitchener,
non meno di quindici società
ottennero concessioni minerarie
per lo sfruttamento dell’oro nubiano
e allo scopo fu costituita
la Sudan Gold Field Limited;
così, tra il 1901 e il 1903,
alcune delle antiche miniere
furono riaperte.

Ben presto ci si rese conto, però,
di quanto fossero state accurate
le ricerche
svolte dagli antichi “sementi”
(i prospettori inviati nel deserto
dai faraoni
alla ricerca del prezioso metallo):
nessun filone
di una certa importanza
era sfuggito
alle loro indagini…

***

Oro della Nubia – Lo sfruttamento
di questo minerale,
così importante per il tesoro reale,
e la successiva
“prima corsa all’oro”
(quella del medioevo arabo)
avevano quasi completamente esaurito
le vene aurifere più superficiali.

Molte imprese di prospezione
furono costrette a fermarsi
e solo l’insediamento minerario
di Umm Nabari
riuscì a mantenersi attivo
per qualche anno (fino al 1914),
grazie alla vicinanza di un pozzo d’acqua
e della ferrovia
Wadi Halfa-Khartoum.

Oro della Nubia

La miniera di Gobeit,
pochi chilometri dal mar Rosso,
ebbe maggior fortuna,
tanto che la trovammo ancora attiva
durante le nostre missioni
degli scorsi anni Ottanta.
Ma anche questa fu chiusa
subito dopo.
E ancora una volta
la terra dell’oro
venne dimenticata.

Nel deserto alla ricerca
della memoria dell’oro

Oro della Nubia – Quando,
agli inizi degli anni Ottanta,
chiedemmo al
National Corporation
for Antiquities and Museum
di Khartoum l’autorizzazione
(al nome del Ce.R.D.O)
di effettuare
missioni storico-archeologiche
nel deserto orientale sudanese,
ci venne chiesto
cosa pensavamo di trovare
tra quelle sabbie e quei monti desolati
in quello che veniva definito
un immenso “vuoto archeologico”!.

Comunque,
ottenemmo in concessione
un’area di ricerca
di oltre 90 mila chilometri quadrati,
circa le dimensioni dell’Irlanda.

***

Oro della Nubia – È impossibile
elencare qui
tutti i ritrovamenti effettuati, soprattutto
nelle prime cinque missioni
(dal 1989 al 1994).

Agli inizi
visitammo le rovine
degli insediamenti più recenti,
quelli della citata
“seconda corsa all’oro”:
Umm Nabari e Gobeit,
con le monumentali attrezzature
del XX secolo per la frantumazione
del quarzo aurifero e i vasti accumuli
di polvere quarzifera
come scarto di lavorazione.

Incontrammo ancora
arabi intenti a lavare
queste scorie alla ricerca
di minuscole particelle d’oro dimenticate
(il tutto sotto il controllo dei Beja
che continuavano a ritenersi
i soli padroni del territorio…).

Ma il nostro programma
era di ritrovare e censire
le miniere più antiche,
quelle che risalivano
alla “prima corsa all’oro”
successiva alla conquista araba
della Nubia
e, ancor più,
quelle di epoca faraonica.

Rilevammo oltre cento
insediamenti minerari
per un arco temporale
di almeno due millenni.

Territori nubiani
segnati
dall’attività mineraria

Oro della Nubia – Il nostro
programma di ricerca
ci portò a indagare
su tutte le fasi di estrazione dell’oro
che avevano interessato
il deserto nubiano.

Mortai litici
con i pesanti percussori di pietra
per frantumare il quarzo aurifero.
Macine a sfregamento,
le più antiche (forse di epoca egizia),
e macine a rotazione
di epoca più recente
(tolemaica e medievale araba),
sempre utilizzate per polverizzare
i frammenti di quarzo…

Antico riparo realizzato con pietre a secco e a pianta circolare nel deserto nubiano / museocastiglioni.it

Tutto giaceva ancora intorno
ai sommari ripari dei minatori:
semplici muri di pietre a secco
alti mezzo metro.

E poi capanne a pianta circolare
o quadrata,
isolate o aggregate,
sovente incuneate
negli uidian (plur. di wadi)
che le proteggevano dai venti.

Piccoli villaggi
che potevano ospitare
poche decine di minatori.
Ma anche
grandi insediamenti pianificati,
come Alaar,
con due raggruppamenti di edifici,
tagliati da un asse viario.

Oro della Nubia

Quasi tutte le miniere
avevano una o più
“tavole di lavaggio”
per recuperare
le pagliuzze d’oro più piccole,
annegate nella polvere di quarzo.

Uno degli insediamenti più importanti
lo scoprimmo nel febbraio 1993:
una vasta area aurifera
lungo il wadi Elei,
in una vallata
di dune e colline
di scisto sfaldato.

I segni di sfruttamento
si estendevano per diversi chilometri.
Frammenti ceramici in superficie
consentirono
una provvisoria datazione
dell’insediamento
al Medio Regno egiziano
(1994-1650 a.C.).

Oro della Nubia
Fortezza principale di Berenice Pancrisia / laciviltaegizia.org

Un mondo complesso
quello minerario,
dove esistevano strutture difensive,
come Fort Murrat
o nel jebel Abu Dueim,
per il controllo delle piste
e dei punti di estrazione.

***

Oro della Nubia – Numerose
anche le tombe,
purtroppo in gran parte saccheggiate.

La maggioranza delle profanazioni
era abbastanza antica
e risaliva forse
alla “prima corsa all’oro”,
dal momento che per i minatori
i corredi funebri erano sicuramente
la più facile e meno faticosa
fonte di arricchimento.

Quasi tutte le sepolture
in vicinanza delle miniere
risultavano depredate,
soprattutto le monumentali tombe
a piattaforma circolare,
come quelle delle necropoli
nel cratere di Al Hofrah,
a pochi chilometri
da Berenice Pancrisia,
forse il cimitero reale
del regno Beja preislamico.

***

Oro della Nubia – Anche
i graffiti sulle rocce
furono importanti
per ricostruire la storia
della “prima corsa all’oro”:
alcuni riproducevano cammelli
insieme a cavalieri e fanti,
forse scene di battaglie
tra Beja e minatori arabi,
oppure spedizioni punitive
per i saccheggi perpetrati
dai Beja nella valle del Nilo.

Le rappresentazioni
di carovane di dromedari,
montati da uomini,
raffiguravano invece i pellegrini
che, come scriveva Idrisi,
transitavano dalle miniere
del wadi el-Allaki
per procurarsi
«gli otto dinari in oro»
che permettessero loro di raggiungere
i luoghi santi del credo islamico.

Oro della Nubia
Berenice Pancrisia – wadi el-Allaki, Archivio Angelo e Alfredo Castiglioni, Museo Castiglioni / museocastiglioni.it

L’attuale travolgente
terza corsa all’oro

Oro della Nubia – Nel 1989,
esplorammo,
con Giancarlo Negro e Luigi Balbo,
l’intero percorso
del wadi el-Allaki,
che secondo lo storico al-Yaqubi,
custodiva grandi miniere d’oro.

Quasi alle sue sorgenti,
scoprimmo i ruderi
di un’antica città
che i Beja chiamavano Deraheib,
“Rovine” e che la successiva
ricerca storico-archeologica
individuò come Berenice Pancrisia,
città “tutta d’oro”
ricordata da Plinio il Vecchio:
«Berenicem alteram,
quae Panchrysos cognominata est…».

Un ritrovamento
che l’egittologo francese
Jean Vercoutter
non esitò a definire
«una delle grandi scoperte
dell’archeologia».

***

Oro della Nubia – Dobbiamo riconoscere
che già nel 1990, profeticamente,
il responsabile
delle nostre prime missioni nel deserto
per il Dipartimento sudanese
delle Antichità, Karim Sadr, scriveva:
«Esiste il pericolo
che le ricerche del Ce.R.D.O.
condotte dai fratelli Castiglioni,
inducano persone,
in possesso dei mezzi necessari,
a penetrare nel deserto nubiano
per scoprire tesori da tenere per sé».

E infatti, purtroppo,
la bramosia del prezioso metallo
e i nuovi strumenti
che la tecnologia mette a disposizione
hanno scatenato
la “terza corsa all’oro”.

Oro della Nubia

È soprattutto l’oro alluvionale
che viene cercato dai minatori di oggi.

Nel corso dei millenni
l’erosione eolica e fluviale
ha intaccato
le rocce metamorfiche precambriane
che separano la valle del Nilo
dal mar Rosso,
e l’oro si è accumulato
sotto forma di pepite
nella sabbia delle zone pedemontane.

Il lavoro dei moderni cercatori
è notevolmente facilitato
rispetto a quello degli antichi:
con i metal detector
si individuano gli strati auriferi
e poi è sufficiente rimuovere
la sabbia superficiale
accumulata dal vento
con piccoli escavatori.

Come nel periodo medievale islamico,
migliaia di arabi hanno invaso di nuovo
il deserto orientale nubiano
per setacciare le sabbie…

***

Oro della Nubia – Durante le nostre ricerche
alla fine degli scorsi anni Novanta,
nella zona sud-occidentale
del deserto nubiano,
ai bordi delle catene montuose
che separano le pianure dal mar Rosso,
fra il jebel en-Nigeim e il jebel Komotit,
abbiamo trovato un insediamento
dove ancora oggi vengono sfruttate
le vene aurifere.

Ma qui i minatori
utilizzano sovente gli stessi utensili
che recuperano nelle vicinanze
di antichi punti di estrazione
probabilmente risalenti
alla “prima corsa all’oro” araba,
per cui il danno per l’archeologia
non è così grave: in pratica,
tecnica di ricerca delle vene aurifere
e metodo di estrazione
sono in tutto simili
a quelle dell’antichità.

Invece, il danno per la memoria
arrecato dall’attuale corsa all’oro
è grande.
Il deserto, che dovrebbe essere percorso
dagli archeologi per continuare la lettura
di un “libro” ancora incompleto,
è ora invaso da una moltitudine di gente
(sarebbero duecentomila
gli improvvisati minatori)
scatenata da un miraggio di ricchezza.

Come ben sappiamo,
ogni palata di sabbia asportata
da un sito archeologico
è una pagina strappata
da un libro unico.
Togli abbastanza terra
e il libri diventerà illeggibile…

Alfredo e Angelo Castiglioni,
«Oro della Nubia.
Quella crudele corsa infinita», in
“Archeologia viva”, gennaio-febbraio 2014,
n. 163, pp. 40-47.52-53.

Foto di apertura: Alfredo e Angelo Castiglioni
sullo sfondo delle rovine del wadi el-Allaki /
museocastiglioni.it

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