Gv 20-19-31

Gv 20-19-31 – II Domenica di Pasqua – Anno A

 

Gv 20-19-31 – In ognuno dei tre cicli liturgici
(Anno A, B, C), la Chiesa,
nella seconda domenica di Pasqua
(Domenica in Albis
e ora «della Divina Misericordia»),
offre alla nostra meditazione
il brano di Gv 20-19-31.

Questo brano è diviso in due parti
che corrispondono alle apparizioni del Risorto.

Nella prima (vv. 19-23)
Gesù comunica ai discepoli il suo Spirito
e con esso dà loro il potere
di vincere le forze del male.
È lo stesso brano che troveremo
e commenteremo a Pentecoste.

Nella seconda (vv. 24-29) è raccontato
il famoso episodio di Tommaso.

«Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Didimo,
non era con loro, quando venne Gesù» (v. 24)

Gv 20-19-31 – Era da un po’ di tempo
che il Vangelo secondo Giovanni
non parlava di Tommaso.

In Gv 11,16, Tommaso aveva sfidato
(più o meno consapevolmente) i suoi condiscepoli
ad andare a morire a Gerusalemme insieme a Gesù.
In Gv 14,5, Tommaso presenta le sue perplessità
su quale fosse «la via», dimostrando
di non sapere dove stesse andando Gesù.
Poi più nulla fino all’episodio di oggi.

Tommaso è presentato come «uno dei Dodici»,
locuzione adoperata in precedenza solo
per Giuda di Simone Iscaritota (cf. Gv 6,71).
Inoltre, è menzionato
con il suo appellativo greco «Didimo»,
che significa «Gemello».

Gemello di chi? Non si sa.
Possiamo colmare questo vuoto dicendo
che Tommaso è gemello nostro,
gemello di chi dubita, di chi invoca
delle prove per credere.

Ma Tommaso è il nostro doppio
non solo per quello che siamo,
ma anche per quello che siamo chiamati a essere.

Se è vero, in altre parole,
che gli assomigliamo nel dubbio,
siamo invitati ad assomigliare a lui
anche nella fede, perché non va dimenticato
che Tommaso, il discepolo presentato
come un incredulo, è anche colui che
farà la più bella professione di fede.

«Gli dissero allora gli altri discepoli:
“Abbiamo visto il Signore!”» (v. 25a)

Gv 20-19-31 – Maria di Magdala
aveva detto la stessa cosa agli Undici,
tra i quali c’era anche Tommaso (cf. Gv 20,18).
Per la seconda volta, quindi,
Tommaso si sente dire dagli altri
che hanno visto Gesù risorto dai morti.

«Ma egli disse loro: “Se non vedo nelle sue mani
il segno dei chiodi e non metto il dito
nel posto dei chiodi e non metto la mia mano
nel suo costato, non crederò» (v. 25b).

Gv 20-19-31 – Il termine greco hélos («chiodo»)
ricorre solo qui in tutto il Nuovo Testamento;
è l’unico testo che ci informa che nella crocifissione
di Gesù, almeno per le mani, furono usati i chiodi.

L’incredulità di questo apostolo è diventata proverbiale.
A chi manifesta qualche diffidenza si è soliti dire:
«Sei incredulo come Tommaso!».

Eppure, a ben vedere,
non pare abbia fatto nulla di male:
chiedeva solo di vedere
ciò che gli altri avevano visto.
Ma davvero Tommaso è stato l’unico
ad avere dubbi?

Nel Vangelo secondo Marco si dice
che Gesù apparve agli Undici «e li rimproverò
per la loro incredulità e durezza di cuore,
perché non avevano creduto a quelli
che lo avevano visto risuscitato» (Mc 16,14).

Nel Vangelo secondo Luca il Risorto
si rivolge agli apostoli stupiti e spaventati
e chiede: «Perché siete turbati e perché
sorgono dubbi nel vostro cruore?» (Lc 24,38).

Nell’ultima parte del Vangelo secondo Matteo,
si dice addirittura che, quando Gesù apparve
agli Undici su un monte della Galilea
(quindi molto tempo dopo le apparizioni
a Gerusalemme), «alcuni ancora dubitavano»
(Mt 28,17).

Tutti, dunque, hanno dubitato,
non solo Tommaso.
Come mai allora l’evangelista Giovanni
sembra voler concentrare su di lui
i dubbi che hanno attanagliato anche gli altri?

***

Gv 20-19-31 – Quando Giovanni scrive
(verso l’anno 95 d.C.), Tommaso è morto
da qualche tempo. Dunque, l’episodio
non è certo riferito per metterlo in cattiva luce.

Se vengono posti in risalto i problemi di fede
che ha avuto, la ragione è un’altra:
Giovanni vuol rispondere agli interrogativi
sollevati dai cristiani delle sue comunità.

Si tratta di cristiani della terza generazione,
di persone che non hanno visto il Signore Gesù.
Si chiedono: quali sono le ragioni
che ci possono indurre a credere?
Ci sono delle prove della sua risurrezione?
Come mai non appare più?
Sono le domande che anche noi oggi ci poniamo.

Ad esse, Marco, Matteo, Luca rispondono
dicendo che tutti gli apostoli hanno avuto
esitazioni. Non sono arrivati né subito,
né con facilità a credere nel Risorto;
anche per loro il cammino della fede
è stato lungo e faticoso, malgrado Gesù
avesse dato tanti segni che era vivo.

La risposta di Giovanni è diversa:
è Tommaso che ha difficoltà a credere.

***

Gv 20-19-31 – Difficile sapere la ragione
per cui Giovanni ha scelto Tommaso.
Possiamo solo fare una congettura
e tirare una conclusione.

La congettura: per Tommaso il vedere
è ancora a livello sensitivo.
Commette però il comune errore
di creare un’equazione tra esperienza sensitiva
ed esperienza di fede, dimenticando che
si tratta di due piani diversi.

La conclusione: Giovanni prende Tommaso
come simbolo della difficoltà
che ogni discepolo incontra per arrivare a credere.
In altre parole, rende Tommaso rappresentante
di un gruppo: così ha fatto, per esempio,
con Nicodemo e con la Samaritana.

«Otto giorni dopo… venne Gesù…disse a Tommaso:
“Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani;
tendi la tua mano e mettila nel mio fianco;
e non essere incredulo, ma credente!» (vv. 26-27)

Gv 20-19-31 – Dopo otto giorni, quindi ancora
nel giorno di domenica, Gesù appare di nuovo
al gruppo apostolico, presente Tommaso.

Gesù raccoglie la provocatoria richiesta,
espressa con una triplice progressione
(se non vedo, se non metto il mio dito,
non metto la mia mano)
e risponde puntualmente, dimostrando
di conoscere ogni dettaglio della richiesta.

Ma è sicuro che Tommaso
abbia poi toccato quelle ferite?
Il Vangelo non lo dice.
Ed è una strana dimenticanza.

Molto si è discusso se Tommaso
abbia di fatto toccato o no il corpo del Risorto.
Entrambi i punti di vista hanno delle ragioni.
Chi risponde affermativamente
fa leva sui dettagli della richiesta.
Chi nega si avvale del testo
che non parla di un toccare.

Sembra più convincente sostenere che l’apostolo
non abbia portato a termine il suo proposito.
Probabilmente gli sono bastate le parole di Gesù,
così come a Maria di Magdala bastò
sentirsi chiamare per nome (cf. Gv 20,16).

La parole di Gesù: «Non essere più incredulo,
ma credente!», più che un rimprovero
(così inteso da tanti commentatori),
sono un invito carico di bontà
ad entrare in un’altra dimensione.

«Rispose Tommaso: “Mio Signore e mio Dio!» (v. 28)

Gv 20-19-31 – Tommaso reagisce
con una parola stupenda: la più esplicita
e diretta professione di fede nella divinità di Cristo
che incontriamo in tutto il Vangelo.

Infatti, è l’unico caso del Nuovo Testamento
in cui Gesù è chiamato «Dio».
Pur affermandone la divinità in tanti casi,
il Nuovo Testamento ebbe sempre cura
di distinguere Gesù da Dio.

La professione di fede di Tommaso fa parte
di una serie di professioni ricorrenti
nel Vangelo secondo Giovanni,
e ne costituisce la conclusione e il culmine.

All’inizio, i primi due apostoli si rivolgono
a Gesù chiamandolo «Rabbì» (Gv 1,38).
È il primo passo verso la comprensione
dell’identità di Gesù.

Non passa molto tempo e Andrea,
che ha già capito molto di più,
dice a suo fratello Simone:
«Abbiamo trovato il Messia» (Gv 1,41).
Natanaele intuisce subito con chi ha a che fare
e dichiara a Gesù: «Tu sei il Figlio di Dio» (Gv 1,49).

I Samaritani lo riconoscono come
il salvatore del mondo (Gv 4,43),
la gente come il profeta (Gv 6,14),
il cieco nato lo proclama Signore (Gv 9,38),
per Pilato è re dei giudei (Gv 19,19).

Ma è Tommaso a dire l’ultima parola
sull’identità di Gesù: «Mio Signore e mio Dio!»,
un’espressione che la Bibbia
riferisce a JHWH (Sal 35,23).

«Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto,
tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto
e hanno creduto!» (v. 29)

Gv 20-19-31 – Gesù accetta e benevolmente
orienta verso il meglio.
Egli propone la seconda delle due beatitudini
del Vangelo secondo Giovanni,
quella che proclama l’autonomia della fede.

Noi diciamo: «Beati coloro che hanno visto».
Per Gesù, invece, beati sono coloro
che non hanno visto, non perché a loro
costa di più credere
e quindi hanno maggiori meriti,
ma perché la loro fede è più genuina, più pura,
anzi, è l’unica fede pura.

Foto: Gianbattista Cima da Conegliano,
Incredulità di san Tommaso, 1504-1505,
dipinto su tavola (cm 210 x cm 141),
Gallerie dall’Accademia, Venezia /
gallerieccademia.it

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