Mt 13-24-43

Mt 13-24-43 – XVI Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

 

Mt 13-24-43 – Continua la lettura
del cosiddetto “Discorso parabolico”
nel capitolo XIII del Vangelo secondo Matteo,
iniziato domenica scorsa,

e troviamo oggi 3 parabole:
quella della zizzania (con la sua spiegazione),
a cui seguono quella del granello di senapa
e quella del lievito.

Queste parabole sono accomunate
dallo stesso incipit:
«Il regno dei cieli è simile a…» (vv. 24.31.33)

La terminologia

Mt 13-24-43 – Il sintagma «Regno dei cieli»
è tipico di Matteo,
e ricorre nel Vangelo odierno sette volte
(sulle trentadue in cui appare
nell’intero Vangelo secondo Matteo).

È difficile dare una definizione
di questa espressione,
perché sembra proprio che Gesù
e il vangelo rifiutino di circoscriverla,
scegliendo il genere parabolico
per trattarne («è simile a…»),
e non un altro tipo di discorso.

Un ulteriore problema nasce
dalla traduzione del primo membro
del sintagma: la parola basileía
– oltre alla più nota idea di “regno” –
può esprimere diversi concetti:
“regalità”, “dominio”, “signoria”.

Particolarmente importante è anche
il secondo membro del sintagma: «cieli»
(ottantadue occorrenze in Matteo
contro le diciotto di Marco e
le trentacinque di Luca),

che è spesso in dialettica con la “terra”
ed è, nella simbolica biblica,
il luogo di Dio, o il modo
in cui ci si riferisce a Dio
con una circonlocuzione.

«Il regno dei cieli è simile a un uomo
che ha seminato del buon seme
nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano,
venne il suo nemico, seminò della zizzania
in mezzo al grano e se ne andò» (vv. 24-25)

Mt 13-24-43 – La parabola della zizzania,
è esclusiva di Matteo, e serve ad illustrare
a cosa assomiglia il «regno dei cieli».

Un uomo ha seminato del buon seme
nel suo campo, ma, mentre tutti dormono,
il nemico di quell’uomo semina zizzania
in mezzo al grano e se ne allontana.

La zizzania è un’erba che non dà frutto,
ma sfrutta il terreno
e finisce per soffocare il buon seme.
Così, ad un certo momento
della crescita del grano,
appare anche quest’erba infestante.

***

Mt 13-24-43 – Si noti anzitutto che ciò accade
mentre si dorme («mentre tutti dormivano»),
ovvero, senza che l’uomo si possa pienamente
rendere conto dell’intervento del nemico
che semina zizzania.

Non che gli uomini siamo stupidi, tutt’altro:
si vuole forse dire che a noi non spetta mai
la comprensione definitiva della realtà.

Infatti, non si conosce il tempo nel quale
il figlio dell’Uomo ha seminato il grano buono,
e la semina della zizzania è compiuta di notte,
che nella Bibbia è spesso il momento
dei sotterfugi e dei ladri, dell’insonnia dei malfattori
ma anche lo spazio in cui avviene qualcosa
di cui non si è pienamente consapevoli.

Ed è di notte
che la zizzania è seminata da un nemico.
Esiste infatti un nemico.
Questo è avvolto dall’oscurità,
non se ne vedono i contorni, ma soprattutto
non si sa da dove venga: c’è e basta,

Ma una cosa è certa:
il nemico non è voluto da Dio,
non viene da lui, perché fa il contrario
di quello che Dio compie, e, anzi,
è proprio definito «il suo nemico» (v. 25).

La parabola però si apre alla speranza:
insistendo nel dire che il campo
è del Seminatore, è davvero suo
(«ha seminato del buon seme
nel suo campo» v. 24)

«Allora i servi
andarono dal padrone di casa…» (vv. 27-30)

Mt 13-24-43 – I servi della parabola,
vista la situazione del campo,
interrogano il padrone sul grano seminato;
e saputo che un nemico ha compiuto
l’operazione di semina della zizzania,
propongono di estirpare quest’erba infestante.

Ai loro occhi
tale separazione è necessaria
affinché il grano possa crescere
senza venire privato
di sostanze vitali e di spazio.

Ma il padrone ha un’altra ottica:
quella dell’attesa paziente di un tempo
in cui si possa separare l’erbaccia
dal buon grano
senza nuocere a quest’ultimo.

«I suoi discepoli si avvicinarono per dirgli:
“Spiegaci la parabola della zizzania”» (v. 36)

Mt 13-24-43 – Letta così, quasi alla lettera,
questa parabola rischia di dirci ben poco
circa il suo riferimento al «regno dei cieli».
In realtà, dietro questo semplice racconto
che parla di campo, di seme e di zizzania,
è nascosto il segreto del nostro mondo
e del «regno dei cieli».

Soprattutto questa parabola si presta facilmente
ad un’attualizzazione nel nuovo contesto
della prima comunità cristiana
che si stava formando.

Si può pensare che qui Gesù reagisca
a tutte quelle tendenze “puriste”
e “puritane” presenti sin dall’inizio.
È normale per molti gruppi,
come quello contemporaneo di Qumran,
crearsi un’identità distintiva
per purezza o osservanza.

Gesù, al contrario,
non va in cerca dei puri,
bensì dei “peccatori”, degli esclusi,
e crea con essi una comunità.

Ecco allora come il suo monito
possa risuonare in mezzo ai cristiani,
ricordando come nel mondo
– e nella Chiesa –
possano convivere tutti,
buoni e cattivi (cf. Mt 22,10).

Essi sono intrecciati l’uno con l’altro
come il grano e la zizzania,
spesso indistinguibili durante la crescita;
solamente “dai loro frutti dunque
li potrete riconoscere” (Mt 7,20).

***

Mt 13-24-43 – Non è ancora giunto
il momento finale e quindi
entrambi devono crescere
sino al raccolto. Insomma,
“Dio concede un supplemento di tempo
per dare una nuova occasione all’umanità
di conoscerlo e a noi di convertirci:

chi ha fretta di condannare il mondo
non vive secondo la logica di Dio
che non è venuto per condannare il mondo
ma per salvare il mondo.

L’intransigenza, il cercare la purezza
a tutti i costi, la rigidità di volere
una comunità composta tutta di giusti
è pericolosa, perché i confini tra bene e male,
tra giustizia e ingiustizia a volte
non sono così netti.

Inoltre, la classificazione buon seme e zizzania
non è riconducibile solo a “noi e gli altri”,
ma anche a ciascuno di noi, in quanto campo
in cui si sviluppano e crescono insieme
buon grano e zizzania.

***

Mt 13-24-43 – La parabola si può anche leggere
come una risposta ad un quesito insistente:
se il Regno dei Cieli è qui,
perché Dio non ha estirpato tutto il male?
Perché lo tollera?

Dio non ha bisogno di difendersi
“dall’accusa di [essere un] giudice
ingiusto” (Sap 12,13), ma vuole
insegnare al suo popolo,
“con tale modo di agire […]

che il giusto deve amare gli uomini”
(Sap 12,19); inclusi quelli
che in apparenza sembrano zizzania,
perché sino all’ultimo
potrebbero essere (legati al) grano fruttuoso.

Prudenza, pazienza, misericordia e rispetto
dovrebbero colorare i nostri atteggiamenti,
ricordando che spetta esclusivamente a Dio,
a tempo debito, il ruolo di giudice
e di separazione. Non a noi.
Purtroppo più volte ciò è stato fatto,
anche in seno alla Chiesa.

Poiché bene e male
sono aspetti presenti entrambi nell’uomo,
un nostro ansioso “perfezionismo”
rischierebbe di sradicare il bene
che abbiamo al nostro interno,
prima del raccolto.

A noi spetta piuttosto uno sguardo
capace di far fruttare il bene che c’è nell’altro,
con un atteggiamento fiducioso
verso ogni piantina
pensando che sia di grano,
anziché avere il sospetto che essa sia zizzania.

Foto: Parabola del grano e della zizzania /
betaniasbar.wordpress.com

Lascia un commento