Gv 10-1-10

Gv 10-1-10 – IV Domenica di Pasqua – Anno A

 

Premessa

Gv 10-1-10 – La IV Domenica di Pasqua
è detta Domenica del Buon Pastore,
perché in ognuno dei tre anni del ciclo liturgico,
è proposto un brano tratto dal capitolo 10
del Vangelo secondo Giovanni.

Oggi riflettiamo sulla prima parte
di questo capitolo (vv. 1-10), dove, però,
il tema di Gesù Buon Pastore
non è sviluppato, ma solo accennato:
l’immagine centrale, infatti, è quella della porta.

Subito dopo il nostro brano,
nel suo lungo discorso ai Giudei,
Gesù proclamerà:
«Io sono il Buon Pastore» (v. 11);
oggi egli si presenta, per due volte,
come la porta (v. 7).

A questa immagine se ne aggiungono altre:
il recinto, i ladri e i briganti, il guardiano
e le pecore.
Chi sono, chi rappresentano,
qual è il significato della «similitudine»?

***

Gv 10-1-10 – Premetto una nota esplicativa
sulle usanze dei pastori della Palestina.

L’ovile era un recinto
circondato da mura di pietra
sulle quali erano posti fasci di spine,
o lasciati crescere rovi per impedire
alle pecore di uscire e ai ladri di entrare.

Poteva trovarsi davanti a una casa,
oppure essere costruito all’aperto
lungo il pendio di una collina:

in questo secondo caso, generalmente,
era utilizzato da più pastori,
che vi introducevano le loro pecore
(in genere pochi capi) durante la notte;
uno di loro vegliava, mentre gli altri dormivano

Dire, però, – come fa Luca nel racconto
della nascita di Gesù – che chi montava di guardia
«vegliava», non è del tutto esatto.

In realtà, armato di un bastone,
costui si posizionava all’entrata del recinto
– che non aveva porta – si accoccolava,
e in quella posizione, sbarrando l’accesso,
diveniva egli stesso «porta».

In genere si appisolava, ma la sua presenza
era sufficiente per dissuadere i predoni
dall’accostarsi al recinto.
Al mattino, quando ogni pastore si presentava
al recinto, egli conosceva le sue pecore
e le sue pecore immediatamente
ne riconoscevano passo e voce.

Partendo da questa esperienza di vita
del suo popolo, Gesù imposta
una «similitudine»,
che non è immediatamente chiara.

Cominciamo col dividerla in due parti,
una espositiva (vv 1-6) e l’altra esplicativa (vv. 7-10).

La parte espositiva

Gv 10-1-10 – È importante chiarire
alcuni particolari lessicali.

La parola “recinto” traduce il termine greco aulé.
I LXX (traduttori dell’Antico Testamento in greco)
quasi mai utilizzano questo termine
per indicare un recinto di pecore,
ma il vestibolo del Tempio (cfr. Es 27,9).
Giovanni lo riproporrà in 18,15 per indicare
il cortile del sommo sacerdote.

La parola greca thyroròs, tradotta con «guardiano»,
non è mai usata per indicare il custode dell’ovile,
ma spesso il custode delle porte del Tempio.
Il termine ladro è usato da Giovanni
anche per Giuda il traditore, e brigante per Barabba.

Questi particolari sono un sintomo
che il nostro brano possiede una ricchezza
che va oltre il significato di superficie.

L’inizio «in verità, in verità vi dico»
possiede già un messaggio.
In Giovanni, tale formula introduce
una rivelazione e lascia subito intendere
che quanto Gesù si accinge a dire
appartiene al mondo delle realtà
che l’uomo non può capire o scoprire da solo.

Seguono alcune frasi particolarmente interessanti
per la “struttura concentrica” con cui sono composte.

I vv. 1-3a presentano due personaggi per contrasto
e descrivono il movimento dell’entrata
nel recinto delle pecore:
il «pastore delle pecore» che entra per la porta
e il «ladro-brigante» che non entra per la porta;

i vv. 3b-5 ripresentano gli stessi opposti personaggi
con il movimento dell’uscita:
il «pastore» che è seguito e ascoltato dalle pecore
e l’«estraneo» che non è seguito e ascoltato.

***

Gv 10-1-10 – Tenuto conto
delle osservazioni lessicali riferite precedentemente
si può pensare a una non troppo sotterranea polemica
con quanti hanno svolto un ruolo di pastori del popolo,
senza esserlo per dignità e impegno.
La critica a simili pastori aveva trovato ampia eco
in pagine memorabili come Ger 23 e Ez 34.

Infatti, in mancanza di indicazioni
sulla presenza di nuovi interlocutori,
si deve ritenere che il discorso di Gesù
sia indirizzato a quei giudei che nel capitolo precedente
avevano espulso il cieco nato dalla sinagoga (Gv 9,34).

Ancora più concretamente: chi è il “ladro”
e il “brigante” a cui si riferisce Gesù?

Al tempo di Gesù non mancavano certo i “pastori”.
Erano i capi religiosi e i capi politici
che si atteggiavano a guide premurose del bene
del popolo, ma in realtà cercavamo soltanto
il proprio interesse;

i loro obiettivi erano il prestigio personale,
il dominio, lo sfruttamento;
i loro metodi, la menzogna e la violenza.

Non erano pastori autentici,
per questo un giorno Gesù, di fronte alle folle,
si commosse
«perché erano come pecore senza pastore».

***

Gv 10-1-10 – A noi però interessa maggiormente
cogliere i tratti di Gesù Pastore.
La grande liberazione rappresentata
dal libro dell’Esodo è lo sfondo teologico
che occorre tenere presente per comprendere
il messaggio che Gesù vuole comunicarci
con questo testo.

Infatti, come l’esodo si svolge attraverso
un uscire, un camminare e un entrare,
così l’azione di Gesù buon Pastore
è descritta secondo tre momenti principali.

Anzitutto «egli chiama le sue pecore,
ciascuna per nome, e le conduce fuori» (v.3).

Gv 10-1-10 – Da dove sono condotte fuori le pecore?
Il testo parla di un «recinto delle pecore» (v.1),
non di un ovile.
Si è detto che nel Vangelo secondo Giovanni
e nell’antica traduzione greca dell’AT
il termine “recinto” indica più che altro
il vestibolo o l’atrio del Tempio (cfr. 2 Cr 6,13).

Israele, quando si recava al tempio a pregare,
si considerava come un gregge che Dio raduna
nei propri atri: «Noi siano suoi, suo popolo
e gregge del suo pascolo. Varcate le sue porte
con inni di grazie, i suoi atri con canti di lode»
(Sal 100,3-4).

In questo modo Giovanni vuole alludere
alla condizione spirituale che vivevano
molti contemporanei di Gesù
e che troppo spesso si trasformava in una sorta
di “recinzione religiosa” dentro la quale
conducevano una vita di fede
legata unicamente a prescrizioni e divieti.

Gesù si presenta come l’unico buon pastore
in grado di liberarli da questa schiavitù
pseudo-religiosa, anzi di «cacciare fuori»
(così il senso letterale dell’originale greco,
reso nel nostro testo con “condurre fuori”).

***

Gv 10-1-10 – Quanta tenerezza in quel
«chiama le sue pecore, ciascuna per nome» (v. 3).

Per Gesù non esistono masse anonime;
egli si interessa a ciascuno dei suoi discepoli,
tiene conto delle doti, dei pregi
e delle debolezze di ognuno:
«porta gli agnellini sul petto e conduce
pian piano le pecore madri» (Is 40,11).

Capisce le nostre difficoltà, non forza i tempi,
non impone ritmi insostenibili, rispetta e aiuta.

«Cammina davanti a loro» (v. 4)

Gv 10-1-10 – È questo il secondo momento
dell’azione di Gesù Pastore.
Gesù si pone a capo della fila di pecore
che escono dal recinto.

In questo modo, Gesù si comporta esattamente
come si è comportato Dio con il suo popolo
nel deserto: «Il Signore stesso vostro Dio,
che vi precede, combatterà per voi» (Dt 1,30).

Dove le conduce?
Secondo la teologia di Giovanni,
la metà di Gesù è il Padre.
Gesù conduce i suoi discepoli
verso la scoperta di un Dio che è Padre,
di un Dio che conosce le sue creature
“una per una” e che desidera soltanto che
«abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».

Com’è auspicabile che questo tempo pasquale
possa essere il momento propizio
per lasciarci condurre dal Vangelo
oltre la ritualità delle nostre cerimonie religiose
e scoprire in esse la presenza di un Dio
paziente e misericordioso.

«Ma essi non capirono di che cosa parlava loro» (v. 6)

Gv 10-1-10 – Il nostro testo parla di «similitudine»,
in greco paroimìa, che è un genere letterario particolare,
simile, ma non identico, alla parabola.
La similitudine ha una parte illustrativa
che di solito non è capita,
a cui fa seguito una parte esplicativa.

È ciò che incontriamo infatti
nella seconda parte del nostro brano.

All’inizio di questa seconda parte incontriamo
di nuovo «in verità, in verità vi dico»
come già all’inizio della prima,
per riprendere lo stesso argomento,
ora con parole più esplicite.

***

Gv 10-1-10 – Gesù si presenta prima
come la «porta delle pecore», poi come la «porta».

Se si tiene presente il chiarimento dato sopra,
potremmo dire che egli è il pastore
che si posiziona sull’entrata come «porta».
La porta ha una duplice funzione:
lasciar passare i padroni di casa
e impedire l’ingresso agli estranei.

Sono queste due funzioni che sono sviluppate,
in altrettante allegorie, da Gesù.

Egli è colui che di fatto decide
chi può avere accesso alle pecore
e chi deve stare lontano dal gregge (vv. 7-8).

Può passare, ed è riconosciuto
come vero pastore, colui che ha assimilato
i suoi stessi sentimenti
e le sue medesime disposizioni
nei confronti delle pecore,
chi è disposto cioè a donare la vita
come egli ha fatto.

Chi sono i ladri e i briganti,
ai quali è interdetto l’accesso alle pecore?
Non certamente i profeti e i giusti dell’AT.

Ladri erano i capi religiosi e politici
del suo tempo, che sfruttavano, opprimevano
e causavano ogni sorta di sofferenza al popolo.

Banditi erano gli zeloti, i rivoluzionari
che volevano costruire una società
più libera e più giusta.
Coltivavano ideali nobili, ma ricorrevano
a metodi sbagliati, fomentavano l’odio per il nemico,
predicavano il ricorso alla violenza e l’uso delle armi.

Chi agisce in questo modo
non ha gli stessi sentimenti
e le stesse disposizioni di Gesù:
non passa attraverso la porta

«Io sono la porta» (v. 9).

Gv 10-1-10 Negli ultimi due versetti (9-10)
viene ripresa questa contrapposizione.
In un drammatico crescendo è descritta
l’opera del ladro: rubare, uccidere, distruggere.
Tre verbi che riassumono le opere di morte.

L’azione del pastore è antitetica:
viene per portare vita e vita in abbondanza.
Ecco allora il terzo e ultimo elemento
dell’azione liberatrice di Gesù: l’entrare.

Dove devono entrare le pecore liberate
e condotte fuori? «Io sono la porta:
se uno entra attraverso di me, sarà salvo» (v. 9).
Si tratta di entrare attraverso la «porta-Gesù»
in un nuovo «recinto», dove vivere in pienezza
il nostro battesimo, e questo recinto è lo stesso Gesù.

La comunione di vita con Gesù è il nuovo recinto,
il nuovo Tempio, la nuova possibilità offertaci
per poter avere una vita piena in piena libertà:
«entrerà e uscirà e troverà pascolo» (v. 9).

Ecco perché Gesù si presenta come il buon pastore,
quello vero, quello che ci voleva.

***

Gv 10-1-10 – Dopo esperienze storiche negative
in cui i pastori, supplenti di Dio, hanno rivelato
grettezza e incapacità, Dio riprende il suo ruolo
nella persona del Figlio.

Scoprire allora Gesù come “ nostra casa”,
come luogo dove sperimentare in pienezza
l’amore del Padre, per poter respirare a pieni polmoni
la libertà e la bellezza di essere sue pecore,
cioè discepoli di un Pastore che ha dato
la propria vita per ciascuno di noi.

Questo è il messaggio e l’augurio
che Giovanni ci fa oggi con questo suo brano.

Foto: Cristo buon Pastore, mosaico
prima metà del V secolo d.C.
Lunetta sopra l’ingresso,
braccio settentrionale del
Mausoleo di Galla Placidia, Ravenna /
analisidellopera.it

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