Gv 14-1-12

Gv 14-1-12 – V Domenica di Pasqua – Anno A

 

Contesto

Gv 14-1-12 – Il Vangelo di oggi è tratto
dal primo dei tre discorsi di addio
pronunciati da Gesù durante l’ultima cena.
Sono chiamati così perché in essi
Gesù sembra dettare le sue ultime volontà,
prima di affrontare la passione e la morte.

La liturgia ce li fa meditare dopo la Pasqua
per una ragione molto semplice:
un testamento è aperto e acquista il suo significato
dopo la morte di chi lo ha dettato.

Le parole pronunciate in quella circostanza da Gesù
non erano riservate solo agli apostoli là riuniti,
ma rivolte ai discepoli di tutti i tempi
e il momento più adatto per comprenderle
e meditarle è proprio il tempo di Pasqua.

«Gesù disse ai suoi discepoli:
“Non sia turbato il vostro cuore”» (v. 1)

Gv 14-1-12 – Gli apostoli sono riuniti
attorno a Gesù nel cenacolo.
Egli li ha informati sul tradimento di Giuda
e sul rinnegamento di Pietro e, come non bastasse,
annuncia anche la sua «partenza» (cfr. Gv 13,33).

Gli apostoli rimangono profondamente colpiti.
Smarrimento e paura piombano dentro la comunità,
che comincia a percepire la sensazione
di un tragico avvenimento.

Gesù avverte questo turbamento e,
nel disorientamento,
un pericolo per la loro fede.
Per questi motivi li esorta a non agitarsi
e preoccuparsi.

È interessante notare
che questa piccola comunità di discepoli
è qui interpellata come un unico cuore
(Giovanni, infatti, parla di cuore,
non di “cuori”, al plurale).

Nella vita cristiana
il rischio di vivere la propria fede
in modo individualistico
è sempre in agguato.

Io e il mio Dio, io e il mio rapporto con i sacramenti,
o io e il mio ruolo all’interno della comunità cristiana.
Dio e le mie paure, Dio e le mie gioie, e così via.
Gesù, in questo passaggio, evidenzia
la natura comunitaria del discepolato cristiano.

«Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (v. 1b)

Gv 14-1-12 – L’unico rimedio valido
contro il turbamento e l’angoscia è la fede.
Gesù chiede ai suoi discepoli
di superare il grave momento, non tanto
aderendo con la mente alle sue parole,
quanto credendo con il cuore e la vita
al Padre e a lui.

Come non ammirare la tenera
e consolante pedagogia di questo nostro Maestro!

Avere fede in Dio è una cosa buona, necessaria,
ma può non essere sufficiente.
Dio, talvolta, può sembraci così lontano,
così silenzioso!

Gesù ci incita a fidarci anche di lui
Egli è Dio, ma è anche nostro fratello,
molto vicino e comprensivo
per aver condiviso la nostra sorte.

«Nella casa del Padre mio» (v. 2a)

Gv 14-1-12 – Gesù, in questo caso,
parlando di casa del Padre mio,
non intende riferirsi al Tempio.
Parla della «comunità cristiana»,
il luogo dove si raduneranno
i veri adoratori del Padre, coloro cioè
che lo adoreranno «in spirito e verità» (cfr Gv 4,24).

Tale casa, pertanto, non è un edifico,
ma una «relazione».
È un altro saggio
della divina pedagogia del Maestro!

La prima immagine che Gesù disegna
è quella di una casa.
C’è un luogo in principio a tutto,
un luogo caldo, familiare, che ci appartiene,
una casa il cui segreto basta a tranquillizzare
e confortare il cuore.

«Non sia turbato il vostro cuore»: là abita Qualcuno,
che ha desiderio di noi, nostalgia di noi,
che non sa immaginarsi senza di noi
e ci vuole con sé.

Perché l’amore conosce molti doveri,
ma il primo è di essere assieme all’amato,
di non restare separati:
«perché siate anche voi dove sono io» (v. 3),
e «nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio»
(Rm 8,39).

«Vi sono molti posti…
io vado a prepararvi un posto» (v. 2b-c).

Gv 14, 1-12 – Anche qui
una lettura eccessivamente individualistica,
sentendo parlare di posti, ha inteso che Gesù
prepara per i suoi discepoli una sorta di attico
a “cinque stelle” in paradiso.

Il senso delle parole di Gesù è diverso,
molto più concreto e attuale per noi
e per la vita delle nostre comunità.

Il termine greco che qui è tradotto con posti
è di origine profana e si riferisce a un luogo
di soggiorno temporaneo e confortevole
dove trascorrere la notte.

Nella «comunità cristiana» vi sono molti posti
preparati da Cristo stesso, vi sono cioè
molte forme di vita comunitaria
dove gli uomini di ogni tempo, razza, cultura
ed estrazione sociale possono trovare accoglienza:
«Io vado a prepararvi un posto» (v. 2).

La comunità cristiana, allora, in tutta la ricchezza
delle sue innumerevoli forme di attuazione,
è, per così dire, il soggiorno temporaneo
che Gesù ha riservato per i suoi discepoli.
Soggiorno temporaneo, non residenza definitiva.

La Chiesa è il grande dono che Gesù ha fatto
a quanti desiderano seguirlo nel segmento
di storia umana che ciascuno ha a disposizione;
e la comunità cristiana esiste perché il proprio cuore
sia orientato verso una sempre maggiore comunione
con Gesù e con il Padre.

«Quando sarò andato… verrò di nuovo…
e del luogo dove vado, conoscete la via» (vv.3-4)

Gv 14-1-12 – Gesù dice che deve percorrere
un «cammino» difficile e aggiunge
che i suoi discepoli dovrebbero conoscere
la «via», perché ne ha parlato diverse volte.

E spiega: percorrerà egli stesso, per primo,
il «cammino», poi, una volta compiuta
la sua missione, tornerà e prenderà con sé
il discepoli, infonderà loro il suo coraggio
e la sua forza, in modo da renderli capaci
di seguire i suoi passi.

Ora è chiaro qual è la «via»: è il cammino
verso la Pasqua, percorso difficile
perché esige il sacrificio della vita.

Gesù ne ha parlato diverse volte,
ma i discepoli si sono sempre mostrati restii
a capire. Quando accennava al “dono della vita”,
preferivano distrarsi, pensare ad altro.

E anche questa volta gli apostoli non comprendono
il senso delle parole di Gesù, per la loro tendenza
a materializzare ogni sua affermazione.
Così, ad es., per essi la «via» è uno spazio materiale
su cui muoversi per arrivare a una determinata meta;
non sospettano minimamente
che possa essere Gesù stesso!

Di qui la domanda di Tommaso: «Signore,
non sappiamo dove vai
e come possiamo conoscere la via?» (v. 5).
Ma ecco la sorprendete risposta del Maestro:

«Io sono la via, la verità e la vita.
Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (v. 6)

Gv 14-1-12 – Siamo davanti
ad una delle affermazioni cristologiche più dense
del Vangelo secondo Giovanni: a Tommaso,
che cerca qualcosa di diverso da Cristo
per arrivare al Padre, Gesù rimanda a se stesso.

È lui il “crocevia” per arrivare a Dio, e lo è
perché è una stessa cosa con il Padre,
come dirà tra poco a Filippo:
«Io sono nel Padre e il Padre è in me» (v. 10)…
«Se non altro, credetelo per le opere stesse» (v. 11).

Come risulta da tutto il contesto,
anche se Gesù si presenta come «verità e vita»,
l’accento è piuttosto sull’idea di «via»:
«Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me».

«Verità» e «Vita», perciò, non sono tanto la meta
a cui Gesù conduce (la meta è il Padre!),
quanto la ragione per cui
egli può proclamarsi la «via».
In altre parole,
egli è la «via» perché è la «verità e la vita».

Sant’Agostino chiosa così:
«Rimanendo presso il Padre, egli è la verità
e la vita; incarnandosi, è diventato via»
(Tract. in Joann., 9).

***

Gv 14-1-12 – Tutto questo però è troppo grande
perché i discepoli lo accettino senza difficoltà.
Infatti Filippo chiede a Gesù: «Signore,
mostraci il Padre e ci basta» (v. 8).

Questo offre a Gesù, l’occasione di fare
delle affermazioni anche più strabilianti:

«Da tanto tempo sono con voi
e tu non mi hai conosciuto, Filippo?
Chi ha visto me, ha visto il Padre.
Come puoi chiedermi: “Mostraci il Padre”?
Non credi che io sono nel Padre
e il Padre è in me?

Le parole che io vi dico non le dico da me,
ma il Padre che è in me compie le sue opere.
Credetemi: io sono nel Padre
e il Padre è in me. Se non altro,
credetelo per le opere stesse» (vv. 9-11).

***

Gv 14-1-12 – Nella sua risposta,
Gesù indica il modo per «vedere Dio»:
occorre guardare a lui.
Egli è il volto umano che Dio ha assunto
per manifestarsi, per stabilire un rapporto
di intimità, di amicizia,
e di comunione di vita con l’uomo.

Per conoscere il Padre
non si devono fare ragionamenti,
non vale la pena perdersi
in sottili disquisizioni filosofiche,

basta contemplare Gesù,
osservare ciò che fa, dice, insegna
perché così fa il Padre.
Le opere che Gesù compie
sono quelle del Padre.

C’è un momento in cui il Padre
manifesta pienamente il suo volto:
è sulla croce.
Lì c’è la rivelazione somma
del suo amore per l’uomo.

«Chi ha visto me ha visto il Padre»,
afferma Gesù.
Ma questo «vedere» non si riduce allo sguardo
di chi ha presenziato agli eventi, ai fatti,
ai gesti concreti da lui compiuti.

È uno sguardo di fede che è richiesto,
uno sguardo capace
di andare oltre alle apparenze,
oltre il puro dato materiale,
uno sguardo che colga nelle opere di Gesù
la rivelazione di Dio
Questo «vedere» equivale a «credere».

Foto: Icona SS. Trinità / byzant.it

Lascia un commento