Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Giovanni Paolo I visto da Falasca2
Profondo perché semplice

 

Luciani fece propria la scelta teologica
del “sermo humilis” di Agostino,
in “Illustrissimi” e in tutto il suo magistero:
una straordinaria chiarezza
fondata su una grande cultura letteraria

Giovanni Paolo I visto da Falasca2 – Tra le carte
dell’archivio privato di Albino Luciani,
in uno dei suoi quaderni autografi,
è presente anche il resoconto dell’udienza privata
che egli ebbe con Giovanni XXIII
nell’imminenza della consacrazione episcopale,
il 21 dicembre 1958.

È una delle rare pagine
che Luciani redige in forma diaristica,
essendo questo un genere
che risulta pressoché estraneo
al corpus delle sue carte.

È scritta con la sua tipica grafia minuta,
in stile telegrafico,
caratterizzato da parole abbreviate,
siglate a volte,
che sembrano ricordare gli attuali sms.

Vi è annotata l’ora d’inizio dell’udienza:
«21 dom. h. 11,35 dal Papa».
E nel riportare i momenti salienti dell’incontro
sottolinea una particolare nota esortativa
rivoltagli da Giovanni XXIII
nel corso del colloquio.

Trascritta letteralmente,
conservando la frammentarietà dell’appunto,
la nota dettata dal papa è la seguente:

«+ chi fa capire
che la gran scienza sono le parole facili
-limitarsi –
le parole difficili lasciano il tempo che trovano
+ efficaci le parole semplici…».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

L’insistenza di Giovanni XXIII sulla parola,
sulla comprensibilità quindi della predicazione,
in questa circostanza,
appare un imperativo nel quale si legge
quasi una sorta di traditio lampadis,

una consegna di papa Roncalli
nei confronti del neo vescovo Luciani,
tanto più significativa se si pensa
che proprio di lì a breve il papa
avrebbe annunciato il Concilio.

Concilio che si sarebbe appunto aperto
con la riforma liturgica,
ossia con il recupero della parola,
di quell’oralità
che sembrava essere stata esiliata dalla Chiesa:

ritornare alla lingua parlata
dopo tanti secoli
significava ritornare alle fonti,
ritornare al Vangelo.

Questa breve
ma rilevante annotazione di Luciani
porta quindi a considerare
i canoni linguistici da lui adottati,

che sono caratterizzanti
il suo magistero episcopale e petrino,
e attraverso i quali si esprime
la sua particolare fisionomia di pastore.

Giovanni Paolo I viso da Falasca2

Nel 1965 il futuro Giovanni Paolo I,
allora vescovo di Vittorio Veneto,
trovandosi a dover spiegare la “grazia attuale”
ai suoi preti, con rara efficacia descrittiva
paragonava il desiderio di Dio
con il desiderio di avere una bella automobile,

procedendo con quella che in retorica
si chiamerebbe “definizione per comparazione”,
ma che nel suo vocabolario
è disarmante quotidianità.

La stessa che in un passo più avanti,
nel ricordare la necessità del raccoglimento,
gli fa dire: «Silenzio con gli uomini.
Macbeth diceva: “Ho ucciso il sonno”.
Mi pare che abbiamo ucciso il sonno anche qui,
con tutto questo fracasso, con tutti questi rumori.
Si stenta ad avere un po’ di quiete.

Andando a Lourdes,
alla stazione di Milano
ho visto una cosa strana.
Sapete che fracasso lì,
quanti fischi, quanti treni.

Sono trentotto binari m’han detto,
alla stazione centrale.
Ebbene c’era un facchino
che s’era messo un sacco sotto la testa:
era lì disteso […]. Come faceva a dormire?
Aveva fatto la sua zona di silenzio».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Non è che un accenno, questo,
di quell’agio che Albino Luciani
aveva a correlare la fede al mondo,
a piegare tutto al sermo humilis.
Macbeth ai facchini.
E non solo Macbeth ai facchini.

Questo brano appartiene
alla raccolta di circa ottocento testi
che costituisce attualmente
il corpus edito, ma incompleto,
dei suoi scritti: omelie, discorsi,
lettere, udienze, articoli, interventi,

compresi i testi che costituiscono
il suo magistero pontificio, i suoi saggi,
a cominciare da Catechetica in briciole,
pubblicato nel 1949, e la fortunata silloge
di quaranta epistole immaginarie
pubblicata nel 1976, dal titolo Illustrissimi.

In questo corpus,
dagli anni Quaranta fino agli ultimi scritti
relativi alle udienze pontificie,
è mantenuto pressoché invariato
il medesimo registro.

E si resta sorpresi di fronte al disinvolto
quanto inusuale piegarsi
di citazioni scritturali e patristiche
alle voci vive e idiomatiche
dei personaggi
delle commedie goldoniane o di Molière,

o ancora,
quelle dei dottori della Chiesa
ai personaggi di Rabelais, di Cervantes.

Così la voce di san Tommaso d’Aquino
si trova unita a quella di Pantagruel,
quella di sant’Agostino a Sancio Panza
o quella di san Francesco di Sales a Pinocchio,

accanto a un affollato caleidoscopio
di personaggi storici, pittori, scultori, registi,
giornalisti, poeti e autori di ogni epoca,
della letteratura classica latina e greca,

di quella italiana – da Dante a Manzoni,
da Trilussa a Pasolini e Buzzati -,
di quella tedesca, castigliana, francese, russa,
con i grandi scrittori da Gogol’ a Pasternak,
di quella angloamericana con Scott, Twain,
Shaw, Dickens, Chesterton.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Un interattivo mescolarsi
di umile e sublime, sacro e profano,
tanto naturaliter da far sì che il lettore
quasi non s’accorga dell’innovativa
quanto inaspettata teologia
fatta a base di code e di schiene di elefante
tratte dalle Favole di Tolstoj,

come nella lettera a Gioachino Belli
in Illustrissimi, o del disinvolto incedere
di san Bernardino da Siena
a braccetto con la scrittrice statunitense
Willa Cather e il suo romanzo
Shadows on the Rock,

del quale Luciani,
alla ricerca del suo mot juste,
occhieggiava l’incipit in un articolo
sul giornale diocesano già nel 1943.

E il solo dato che la Cather,
scomparsa nel 1947, divenne nota
al di là delle frontiere statunitensi
solo più tardi, non può che far riflettere
sul guardare oltre e lontano
del sacerdote veneto,

portando inevitabilmente
a riconsiderare anche il nucleo originario
della sua formazione,
che stantii cliché relegano entro il cerchio
di una pieve montana del Bellunese
e delle alte mura
di un seminario post-tridentino.

Il dato infatti rivela un interesse precoce
non solo verso la narrativa,
in particolare angloamericana,
e come egli raggiunse presto
un grado di maturità culturale
ben superiore a quello di un corso scolastico
svelando una natura da enfant prodige.

Il ricco e profondo repertorio
di studi umanistici, letterari e artistici,
uniti alla competenza nelle discipline
acquisita da Luciani
nella tradizionale formazione ecclesiastica,

dimostra la forte capacità speculativa
di analisi e di sintesi
e uno spiccato senso di rielaborazione
dei termini incontrati nelle sue vaste letture.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

A fronte di queste osservazioni
va rilevata l’assoluta singolarità
del suo codice gestuale e linguistico
sgorgante da una cultura vastissima
e versatile che unisce in felice,
geniale sintesi nova et vetera.

E non secondaria appare
la familiarità di Luciani
con la dimensione letteraria,
o meglio, la letterarietà
che si esplicita nella sua opera,

e che non si configura come aspetto marginale,
ma come canone connotativo caratterizzante
l’intera sua produzione orale e scritta,
e si offre anche
quale cardine interpretativo privilegiato.

Ciò è confortato anche dalla non estraneità
di Luciani a certe istanze critiche
umanistico-letterarie che, in particolare
negli anni veneziani, lo vedevano presiedere
«assiduo ed attentissimo»,
come rilevava Vittore Branca,
gli incontri presso la Fondazione Cini.

Ma è ancor più legittimato dal fatto
che non costituzioni
o esortazioni apostoliche, né encicliche
sono state il lascito del suo breve pontificato,

ma un testo squisitamente letterario,
Illustrissimi, dallo stesso papa Luciani riveduto
e corretto e ridato alle stampe
proprio in quei trentaquattro giorni.

La quarta edizione, esce, infatti,
con l’imprimatur papale
siglato pochi giorni prima della morte.

«È il suo testamento umano,
spirituale e pastorale»
scrisse nella presentazione postuma al volume
l’editore Angelo Beghetto,
allora direttore del “Messaggero di sant’Antonio”.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

L’aveva intuito Jean Guitton,
il filosofo caro a Paolo VI, che, all’indomani
della salita di Luciani al soglio di Pietro,
su “Le Figaro”, il 28 agosto 1978, aveva scritto:

«Ascoltando poco fa in piazza San Pietro
il primo Angelus di Giovanni Paolo I,
ho ritrovato l’arte dell’omelia,
quella che i padri greci definivano
arte di conversare semplicemente
con gli uomini […].

Ho preso visione del testo
della sua Catechetica in briciole
e del suo Illustrissimi dove ho ritrovato
il sapore di quello scrittore nato
che è Albino Luciani.

Il termine sapore
riassume l’impressione di saggezza,
di scienza e di sapidità lasciatami
dagli scritti e dalle parole
di questo pastore incomparabile.

Vi si intuiscono quel misto di humour
e di amore che lo affratellano a Dickens
e a Mark Twain, i suoi autori preferiti…».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Guitton, in sostanza,
rilevando nel nuovo pontefice
il carattere dello scrittore
aveva puntato l’attenzione
sulla centralità del linguaggio
e sulla scelta di un linguaggio comprensibile
e leggibile come frutto di elaborazione e di arte.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

La selezione degli autori dialettali,
i personaggi dei romanzi,
il consistente numero di scrittori angloamericani,
i riferimenti a Dante, sono del resto indicativi
di precise scelte linguistiche,
delle quali la colloquialità è la prima.

“Conversare”, come Luciani indica
nella lettera dell’epistolario indirizzata
a Giochino Belli, è la cifra distintiva
non solo di Illustrissimi:

è la prima delle linee programmatiche
del linguaggio lucianeo,
una forma colloquiale «senza predicozzi,
senza pose, senza parole scelte o altisonanti»,
senza «conciossiacosaché».

A questo allude proprio
nella parte conclusiva della lettera al Belli,
in cui indica chiaramente
la strada piana della parola parlata:

«Quanto meglio se,
almeno in conversazione,
al posto delle difficili parole,
usassimo parole semplici e facili,
magari prese a prestito
dalle favole di Tolstoj
o dai vostri sonetti».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

In sintesi, la forma dell’accessibilità,
perché la conversazione
consente l’accessibilità,
come ribadisce nella lettera
a Bernardino da Siena:

«Pensava che, in tempi
in cui parole irte di ismi nebulosi
sono usate ad esprimere perfino
le cose più facili di questo mondo,
fosse opportuno mettere in risalto
il fraticello che aveva insegnato:

“Parla chiarozzo acciò che chi ode,
ne vada contento e illuminato,
e non imbarbagliato”».

La parola chiara, che apre e illumina,
è il secondo elemento cardine
dell’ossatura linguistica lucianea.

I canoni fondanti
di chiarezza e semplicità della lingua,
il primato della parola
nel suo statuto comunicativo e relazionale,
costituiscono dunque le coordinate portanti
del suo sermo e un richiamo costante
nei suoi scritti.

Colloquialità, accessibilità, chiarezza sono,
in definitiva per Luciani,
le condizioni stesse che consentono
di andare incontro agli uomini.

Nella lettera al musico Casella
egli dichiara piena adesione a Dante.
Anzi: Dante diventa paradigma perché
«è andato incontro al mondo,
ha accolto tutte le lingue»,
la sua Commedia è scritta in lingua corrente.

Quindi, per Luciani,
l’Alighieri è attuale,
fin tanto da affermare:
«Dante è con il Concilio».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

E come per Dante, anche per Luciani
non è questione di stile,
è questione di sermo humilis,
cioè di universalità,
e dunque, al contempo,
di perenne contemporaneità,
di immersione nel divenire del mondo.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2
Stefano di Giovanni, detto Sassetta, Sant’Agostino, tempera, oro, argento e vernice su tavola (44,5 cm x 37,2 cm), Collezione Fondazione Francesco Federico Cerruti per l’Arte, Castello di Rivoli – Museo d’arte Contemporanea, Rivoli, Torino / castellodirivoli.org

Universalità
che trova esplicito fondamento
nella valenza teologica
espressa da sant’Agostino,
suo referente e maestro per eccellenza
del sermo humilis.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Nel De praedestinatione sanctorum
Agostino condensa il significato
del sermo humilis in due termini:
utilia et apta.

Con utilia intende il rispetto
e l’amore che si devono a Dio
e alla Parola di Dio,
con apta il rispetto e l’amore
che si devono all’uomo.

Secondo Agostino, pertanto,
la verità deve essere posta “con delicatezza”,
suaviter, perché si deve adeguare
sia alla natura stessa della verità,
che è «amorosa e soave salvezza»,

sia tanto più alle possibilità
di ricezione dell’uditore
perché questi la possa ricevere.

In questa prospettiva s’intesse l’opera
di Luciani e il suaviter
diviene significativamente ricorrente negli scritti
proprio in quanto riflesso dell’animus stesso
dell’autore nei confronti dei suoi interlocutori,
come disposizione verso di loro.

La sua ripresa, infatti,
si configura quale chiave di scrittura
ma anche criterio-guida dei suoi riferimenti:
quelli che, a partire da Agostino,
hanno meglio realizzato nella predicazione
il porsi all’interlocutore “con soavità”.

Primo fra tutti Francesco di Sales,
padre della spiritualità moderna
e patrono dei giornalisti, il quale,
facendo anche sapienter et leniter
uso della penna,
è modello congeniale a Luciani.

Sapienter et leniter che egli non di rado
intesse con la finezza dello humour
e con l’hilaritas, quella che Agostino
ritiene componente necessaria della catechesi
e che Tommaso d’Aquino raccomanda
come “eutrapelia”.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

In definitiva si può dire
che l’asserto terenziano: “Homo sum,
humani nihil a me alienum puto”
(Sono un uomo,
nulla di ciò che è umano mi è estraneo)

e quello agostiniano:
“Inde quippe animus pascitur unde laetatur”
(Nutre l’anima solo ciò che la rallegra)
sono le ragioni ultime di un linguaggio
che è comprensivo e comprensibile:

utilia et apta, perché sermo humilis
è anche caritas e lieta novella,
nell’accezione agostiniana.

Si tratta pertanto di un percorso
dal quale emerge limpidamente
la consapevolezza di vivere
anche il gesto linguistico
come atto creativo,
sorretto dal desiderio di recuperare incisività
al linguaggio pastorale.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Secondo quindi la deliberata scelta teologica
di un linguaggio accessibile,
nel segno di quel sermo humilis
canonizzato da sant’Agostino,
le quattro udienze generali sull’umiltà,
la fede, la speranza e la carità
tenute in Vaticano durante il pontificato

restano un esempio preclaro
di quanto fosse efficace l’oralità lucianea
alla luce del Vangelo,
nel solco del Concilio Vaticano II.

E sulla base di Agostino
la scelta del suo sermo si configura
quale atto d’amore verso Dio
e verso gli uomini.

Per Luciani, Francesco di Sales,
proclamato dottore della Chiesa,
è stato «le véritable réformateur
de la chaire chrétienne»,
il vero riformatore
dell’insegnamento cristiano, perché

«universis Christis fidelibus iter
ad eum facile commonstravit»,
ha mostrato facile,
come accessibile a tutti,
la via verso Cristo.

Ed è proprio in questo tracciato
che vanno collocati e riconsiderati
lo spessore della sua opera
e la valenza storica del suo pontificato.

Solco nel quale certamente Giovanni Paolo I
si staglia come erede di una conciliazione
di cristianità e umanesimo
che abbraccia la funzione del papa,
come egli stesso afferma
nel suo radiomessaggio del 27 agosto 1978
citando Ignazio d’Antiochia:

«La funzione del papa
è quella che presiede alla carità universale,
operando sempre per la reciproca conoscenza,
da uomini a uomini».

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Dunque Luciani
è stato il primo pontefice
ad aver costantemente adottato
nei suoi interventi
uno stile colloquiale.

La specificità del suo peculiare linguaggio,
l’uso delle diverse lingue,
le numerose discordanze
riscontrate nelle pubblicazioni dei testi
del suo magistero rendevano doverosa
un’attenzione filologica

e la trascrizione dalle registrazioni
di tutti i suoi interventi,
che non era mai stata effettuata.

Il corpus integrale dei testi
e dei documenti di Giovanni Paolo I
nei trentaquattro giorni del suo pontificato
è oggi pubblicato per la prima volta
a cura della Fondazione Vaticana
Giovanni Paolo I.

Il volume (Il Magistero)
propone la sinossi completa
degli interventi scritti e pronunciati,
con l’apparato critico delle note
e le trascrizioni
che ne costituiscono la genesi,

tratti degli appunti autografi
del block notes e dell’agenda personali
– una comune agenda in similpelle blu
contrassegnata dalla sigla “AL”,
già utilizzata a Venezia nel corso del 1978
e usata come quaderno di lavoro –
utilizzati nel corso del pontificato.

Giovanni Paoli I visto da Falasca2

Nell’agenda e nel block notes
si trova la genesi del suo magistero:
le tracce degli interventi
e i rimandi alle citazioni di tutte e quattro
le udienze sulle tre virtù teologali,
fede, speranza e carità,

precedute dall’udienza sull’umiltà,
gli schemi preparatori destinati
a due incontri con i fedeli,
l’udienza al clero di Roma,
tutte le minute dei suoi discorsi
prima degli Angelus domenicali.

«Q. [Quella] vecchietta cieca…»,
«Ia = la fede…»: così ad esempio
negli appunti autografi
dell’agenda personale a pagina 283
e nel foglio 8 manoscritto del block notes,
usati durante i trentaquattro giorni
del suo pontificato.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2
Pio XII con Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri (4 luglio 1943) / vaticannews.va

Si riferiscono ai versi vernacolari
della poesia La guida di Trilussa
per l’originale apertura
dell’udienza generale
di mercoledì 13 settembre 1978

a introduzione del colloquio
sulla virtù teologale della fede,
a cui seguono lo schema
e una più dettagliata minuta dell’udienza.

E seppure fino a quel momento,
mai un papa aveva iniziato un’udienza generale
con i versi di un poeta dialettale,
La guida non era tuttavia una novità per Luciani.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Variamente ripresa negli scritti
a partire dal 1959,
aveva già costituito l’incipit
di una sua conferenza
ai laureati cattolici nel 1960,

poi nuovamente ripresa ad incipit
nella lettera immaginaria
indirizzata al poeta romanesco
in Illustrissimi.

L’inizio dell’utilizzo
dell’agenda personale da papa
è segnato da Giovanni Paolo I
semplicemente con la dicitura “Roma”
e la data in calce “3-9-78”.

Sono le pagine 275-292,
secondo il numero di foliazione
attribuito nel corso dell’inventariazione
del Fondo archivistico di Albino Luciani,
inventariato e acquisito come patrimonio
dalla Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I.

Una fonte privilegiata
per indagare quella “officina del testo”
così cara ad una delle più intense stagioni
delle discipline filologiche:

il farsi cioè di un pensiero
e di un tema e le sue oscillazioni,
nelle riprese e nelle molteplici varianti
della sua stesura, dove le dinamiche
del costruirsi progressivo del testo
offrono le chiavi più autentiche
della sua interpretazione.

Perché nulla, da Albino Luciani,
è mai lasciato all’improvvisazione.

Giovanni Paolo I visto da Falasca2

Come rilevato dallo stesso Giovanni Paolo I
nel suo block notes del pontificato:
«Discorsi: Catechesi leggerli recitarli
+ correggere bozze
– catechesi p. 14 droit de la verité? p. 38»,

che è attestazione esplicita
di un metodo operativo
seguito nell’elaborazione degli interventi,
non solo, come si è visto,
nel corso del pontificato.

Grazie a un lavoro decennale di ricerca
e di studio delle fonti
è dunque oggi possibile
prendere atto in modo diretto
della genesi del magistero
di Giovanni Paolo I.

Punta di un iceberg
di una solida formazione teologica
maturata nel solco del Concilio Vaticano II:

una geniale sintesi di sacro e profano,
di nova et vetera, di erudizione e chiarezza
che arriva a tutti,
perché è magistero piantato
nella radicale scelta teologica
di un linguaggio semplice,
conversevole e accessibile,

di quel sermo humilis
canonizzato da sant’Agostino
che è comprensivo del mondo
e degli uomini
ed è con essi dialogante e comprensibile
affinché il messaggio della salvezza
possa giungere a chiunque.

Quanto basta per rovesciare definitivamente
un cliché di elementarità,
troppo spesso impresso
nell’immaginario dipinto della figura
e dell’opera di Giovanni Paolo I,
che ha funestato l’emergere e il riconoscimento
della sua caratura magisteriale.

Stefania Falasca, «Profondo perché semplice»,
in “Luoghi dell’Infinito”, Mensile di Itinerari
Arte e Cultura di “Avvenire”, settembre 2022,
n. 275, pp. 30-37.

Foto di apertura: Giovanni Paolo I, in
“S.S. Giovanni Paolo I – Albino Luciani” /
facebook.com

Lascia un commento