Giovanni Palatucci

Giovanni Palatucci, «Un caso degno
del Vostro autorevole interessamento»

 

Due lettere inedite di Giovanni Palatucci,
il questore di Fiume
che salvò molte famiglie ebree

Giovanni Palatucci – Compulsando
i 170 fascicoli sugli “ebrei”
della Sezione
per i Rapporti con gli Stati
e le Organizzazioni Internazionali
sul pontificato di Pio XII,
sono riaffiorate due lettere
scritte da Giovanni Palatucci
– che all’epoca
dirigeva l’Ufficio Stranieri
della Questura di Fiume –
e numerose altre
dallo zio vescovo di Campagna,
Giuseppe Maria Palatucci,
per sbrogliare
alcune situazioni delicate
e mettere in salvo
varie famiglie ebree
braccate dai nazifascisti
che confermano – al di là di
ogni ragionevole dubbio –
la piena sinergia tra i due
nell’allestimento di una vera
e propria rete di salvataggio.

Difatti,
in almeno due circostanze,
per la precisione il 18
ed il 29 marzo 1941,
si rivolse personalmente
a monsignor Angelo Dell’Acqua
per “raccomandare ”
due fiumani di origine ebraica,
considerato che
la Sacra Congregazione
degli Affari Ecclesiastici Straordinari
lo aveva incaricato di occuparsi
delle richieste di soccorso
che pervenivano al pontefice
da tutta Europa.

Giovanni Palatucci

Sapendo da tempo
che lo zio era ben introdotto
all’interno dei Sacri Palazzi,
per agevolare queste pratiche
il 21 febbraio
Palatucci aveva pensato
di far precedere la sua richiesta
da una lettera dello zio vescovo
a beneficio di Maurizio Gelles,
un ebreo viennese
che fin dal 1913
risiedeva ad Abbazia
dove gestiva una boutique.

In seguito alla revoca prefettizia
della cittadinanza italiana,
all’indomani dell’entrata in guerra
dell’Italia al fianco
dei Paesi dell’Asse,
il 15 ottobre 1940,
era stato costretto
a chiudere i battenti
e trasferirsi a Treviso
perché in virtù
delle disposizioni ministeriali
lui e la sua famiglia,
in quanto ebrei,
erano diventati apolidi.

Difatti, Gelles
il «6 febbraio 1941
venne chiamato nel gabinetto
(del questore) di Fiume
ed invitato
senza motivazione
e sotto pena
di venire internato
in caso di inadempienza
a lasciare Abbazia
e la Provincia entro 10 giorni».

Tuttavia, in seguito
questo provvedimento
fu revocato e con un
«permesso verbale»
gli fu concesso
di rimanere ad Abbazia
insieme alla moglie
Cecilia Oser
e ai figli Alice e Roberto.

***

Giovanni Palatucci – «Mio nipote,
Dott. Giovanni Palatucci,
V. Commissario di P.S. a Fiume
– scriveva, il 21 febbraio 1941,
monsignor Giuseppe Maria Palatucci –
mi ha pregato di raccomandarvi
una pratica a favore di una persona
e ci tiene che la pratica riesca bene.
E poiché potete assolutamente
fidarvi di lui,
vogliate accontentarlo al più presto».

A quel punto,
il 18 marzo successivo,
il giovane funzionario
della questura di Fiume
decise di rivolgersi personalmente
a monsignor Dell’Acqua
per sottoporgli il caso
di cui era latrice la moglie
di Maurizio Gelles che, nonostante
le sue precarie condizioni di salute
e l’età avanzata,
in «contraddizione (…)
a tale permesso
(… era) stato costretto
ad abbandonare Abbazia»
dal perfido Questore Genovese
con l’intimazione,
in caso di inadempienza,
di essere internato.

«Ecc.mo Monsignore
– scriveva Palatucci al minutante
della Segreteria di Stato –
vi prego di scusarmi
se mi prendo la libertà
di indirizzarmi a Voi,
pur senza avere
l’onore di conoscerVi.
Mi sento in ciò incoraggiato
dalle ottime cose,
che di Voi mi ha scritte mio zio,
Monsignor Palatucci,
di cui mi fo pregio
allegare una lettera di presentazione,
che non mi è purtroppo possibile
rimetterVi di persona.

Vi prego, dunque,
Eccellenza,
di voler ascoltare
con benevolenza
la Signora Gelles,
latrice della presente,
che vi esporrà un caso
veramente degno
del Vostro autorevole interessamento»

Giovanni Palatucci

La richiesta venne presa
in considerazione.
Il Vaticano si attivò
tramite il gesuita
padre Tacchi Venturi
che si adoperò nei confronti
del capo della Polizia Senise
e del prefetto di Fiume
«per (far) ottenere (a Gelles)
il permesso di ritornare
presso la sua famiglia in Abbazia».

Purtroppo,
le speranze delusero le aspettative,
in quanto il placet
dal famigerato prefetto Testa
non giunse a causa
di «ulteriori accertamenti
(che) hanno confermato la necessità
di mantenere, almeno per il momento,
il provvedimento adottato
nei suoi confronti».

A quel punto
Gelles fu costretto a restare
a Treviso
almeno fino alla fine
di maggio del 1943,
dopodiché riuscì a procurarsi
un visto d’immigrazione
e il 10 marzo 1948,
a bordo del piroscafo Nea Hellas
si trasferì a New York
dove risiedeva il figlio Ernesto.

***

Giovanni Palatucci – Il 29 marzo 1941
il commissario Palatucci
scrisse un’altra lettera a Dell’Acqua,
stavolta a beneficio dell’amica fiumana
di origine ebraica Anna Herskovits,
nel tentativo di farle ottenere un visto
per l’espatrio negli Stati Uniti.

«Rev.mo Monsignore – scriveva –
recentemente, incoraggiato
da una lettera di presentazione
di mio zio, Mons. Palatucci,
mi son preso la libertà
di segnalare alla Vostra bontà
il caso di una Signora (la moglie
di Maurizio Gelles, ndr).

Ora oso nuovamente
indirizzarmi a Voi,
per venire in aiuto della mia amica,
Signorina Herskovits.

La Signorina è in procinto
di partire per gli U.S.A.
ma incontra difficoltà
per la concessione
del visto consolare portoghese.
Della cosa si è già interessata
la benemerita Opera S. Raffaele,
che, a mezzo del Rev. P. Turowski,
aveva, qualche settimana fa,
fatto conoscere che
il visto era già stato accordato
dalle competenti Autorità portoghesi.

Giovanni Palatucci

Successivamente,
è benevolmente intervenuta
anche S.E. Mons. Camozzo,
Vescovo di Fiume,
che ha avuto la bontà
di voler caldeggiare la pratica
anche presso V.E. con la lettera,
che mi fo pregio unire.

Poiché, però, a tutt’oggi
il visto non è stato concesso,
mentre quello americano
è di imminente scadenza (6-4 p.v.),
la Signorina
ha particolare interesse
di ottenere il rilascio
entro il 3 corrente al più tardi.

Diversamente,
si troverebbe nella necessità
di ripetere le lunghe pratiche,
le cui difficoltà
sono note all’E.V.,
per ottenere la rinnovazione
del visto americano,
con il rischio
di non conseguire lo scopo,
in dipendenza
dell’attuale stato di emergenza.

La specialissima situazione
della mia amica
– concludeva fiducioso
il giovane funzionario –
mi spinge a chiedere per lei
l’autorevole Vostro interessamento».

***

Giovanni Palatucci – Per questo caso
si era dunque adoperato attivamente
anche il vescovo di Fiume,
Ugo Camozzo,
che, il 2 aprile,
aveva allacciato contatti
con l’ambasciatore straordinario
e plenipotenziario del Portogallo
presso la Santa Sede,
Carneiro Pacheco,
per il rilascio del “visto di transito”
per la penisola iberica.

Fu così che
Anna Herskovits riuscì
ad avere il “passaporto rosso”
riservato agli apolidi
e trasferirsi
dapprima a l’Avana
e, poi, il 19 maggio 1943
a Nutley nel New Jersey,
dove ottenne anche
la naturalizzazione
il 30 luglio successivo
aggiungendo al suo cognome
quello di “Ercoli ”
come, del resto,
aveva già fatto il fratello Nicolò.

Quanto detto
è suffragato anche
dalla testimonianza della sorella
Elsa Herskovits Blasich,
che alcuni anni fa
dichiarò di aver «conosciuto
il dott. Giovanni Palatucci
in casa dei miei genitori
a Fiume nel ’38. (…)

Mia sorella Anna
ha potuto emigrare nel ’42
solo perché aiutata
dal dott. Palatucci
ad ottenere il passaporto “rosso”
riservato agli apolidi.

Mio padre Samuel
e mia madre Laura Stark
nel settembre ’43
avvertiti tempestivamente
da Palatucci che
i rastrellamenti dei tedeschi
erano già in atto
poterono salvarsi».

Giovanni Preziosi, «“Un caso
degno del Vostro interessamento”.
Due lettere inedite
di Giovanni Palatucci,
il questore di Fiume,
che salvò molte famiglie ebree»,
in “L’Osservatore Romano”,
giovedì 22 febbraio 2924, p. 9.

Foto: Giovanni Palatucci,
il questore di Fiume
che salvò molte famiglie ebree /
osservatoreromano.va

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