Ricostruzioni

Ricostruzioni – Dalle macerie la speranza

Ricostruzioni – Terremoti e guerre
sono le principali cause
di devastazione delle città.
Si è sempre risposto
con pronte ricostruzioni,
ma il vero oggetto della rinascita
sono le relazioni

Ricostruzioni – Mostar deriva da most, “ponte”:
il nome della principale città dell’Erzegovina
è legato all’antica struttura
che unisce le sponde del fiume Narenta.

Ne hanno parlato molto le cronache
del conflitto serbo bosniaco del 1992-1995,
l’ultima grande guerra
combattuta sul suolo europeo,
quando il ponte fu abbattuto dalle cannonate
lasciando la città divisa in due dal corso d’acqua,
nel novembre 1993.

La sua distruzione
è stata l’evidente espressione fisica
di come le ostilità esacerbino le lacerazioni
e minaccino l’identità stessa dei luoghi:

identità che nel caso di Mostar
è rappresentata precisamente da quel ponte
ad arco unico in blocchi di pietra,
eretto nel 1566 dall’architetto Mimar Hayruddin,
su incarico di Solimano il Magnifico.

Un capolavoro di ingegneria
che, coi suoi 30 metri di lunghezza
e 24 di altezza,
è verosimilmente la più grande costruzione
di tal fatta di quell’epoca.

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Il ponte di Mostar distrutto durante la guerra serbo-bosniaca, nel 1993 / nemesismagazine.it

Ricostruzioni – La sua riedificazione com’era e dov’era
e con le sue stesse pietre, fu decisa immediatamente,
sotto l’egida dell’Unesco e con una vasta
partecipazione internazionale (l’Italia ha donato
3 milioni di euro, un quarto della cifra totale),
perché la sua forza simbolica non poteva andare dispersa.

E la sua inaugurazione, avvenuta nel 2004,
è stata anche l’occasione per celebrare l’apertura
di un cammino di riconciliazione – la cui asprezza
è dimostrata dalle difficoltà che tutt’ora permangono,
pure a distanza di anni – tra le diverse genti
dei territori di Bosnia ed Erzegovina:
cristiani, musulmani, serbi, croati, bosniaci…

Ma la rinascita del ponte
ha segnato certamente il desiderio
della comunità nazionale e internazionale
di recuperare un dialogo
che era stato interrotto dal fragore delle armi,

e il nuovo inizio è rappresentato
ovviamente dal ricongiungersi col passato,
grazie al valore simbolico dell’elemento
che unisce laddove c’è divisione,
e permette quindi l’incontro
tra la profondità della storia
e la realtà del presente.

Se di grande importanza sono i monumenti
e i luoghi fisici,
tali e tanti sono tuttavia i problemi coinvolti
nella ricucitura dei rapporti sociali
da richiedere un impegno ancor più vasto e complesso,

poiché le condizioni di vita delle persone,
e dei popoli, e i loro modi di pensare e di relazionarsi,
difficilmente possono tornare a essere
com’erano prima del trauma.

Questo è quanto ha studiato Gruia Badescu,
sociologo dell’Università di Costanza (Germania),
con la sua ricerca
sul dopoguerra nella città di Sarajevo:

«Usualmente ci si riferisce
alla necessità di ripristinare gli edifici.
Ma vi sono anche altre questioni.
Come può una città essere ricostruita
in modo tale che tutti la sentano
veramente come la propria casa?».

In un grande centro come la capitale
della Bosnia ed Erzegovina,
non solo i luoghi fisici
ma anche la composizione sociale
è cambiata totalmente
in conseguenza del conflitto:

molti abitanti sono emigrati,
mentre altri si sono insediati,
accentuando la multietnicità
e multiculturalità del sito,
e questo è divenuto evidentemente
causa di disagio per i vecchi residenti.

Ricostruzioni – Sono poi anche intervenuti immobiliaristi
desiderosi di ricavare ingenti profitti
e hanno promosso centri commerciali
che non necessariamente rappresentano
un valore per la coesione della comunità.

«La ricostruzione – spiega Badescu –
dovrebbe implicare
non solo aspetti tecnici e funzionali,

ma anche l’attenzione
verso i bisogni degli abitanti,
così che sia i vecchi residenti
sia i nuovi arrivati
possano convivere in armonia.

E questo richiede progetti partecipati
in cui ognuno possa far sentire la propria voce».

L’Unesco ha affrontato numerosi casi recenti
di ricostruzioni urbane divenute necessarie,
sia a seguito di conflitti come quelli
che hanno interessato diversi Paesi
del Medio Oriente quali la Siria,

sia a seguito di terremoti,
che sono gli eventi maggiormente distruttivi
dopo gli scontri bellici.

E nel ricostruire le città bisogna, anzitutto,
scrive l’Icomos (Consiglio Internazionale
dei Monumenti e dei Siti,
organismo legato all’Unesco),

«favorire la diversità e la flessibilità,
facilitare i contatti tra persone,
comprendere i fattori umani
e favorire l’integrazione della natura
nell’ambiente costruito

promuovendo e proteggendo gli spazi pubblici»
(cfr. Culture: Urban Future. Global report on culture
for sustainable urban development, 2016).

Ricostruzioni – «La chiave è dunque la capacità di collaborare
e lo si vede bene in Giappone – riferisce Olimpia Niglio,
esponente di Icomos in Italia
e docente di Storia dell’architettura
all’Università Hosei di Tokyo – dove ognuno
si sente responsabile per le condizioni di tutti.

Ad esempio: Kumamoto è stata devastata
da un terremoto nel 2016,
ma di questo oggi in pratica non v’è più traccia.
Una ricostruzione così efficace e rapida
è stata possibile perché qui tutti
si sentono responsabili per lo spazio comune.
Tutti collaborano al fine di conservarlo al meglio.

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Hiroshima dopo l’esplosione della bomba atomica, 6 agosto 1945 / moreto.net
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Veduta notturna di Hiroshima, con il Memoriale della Pace / tomatotravel.com.au

Lo si è visto anche, in modo emblematico,
nelle ricostruzioni postbelliche.

Il Parco della Memoria di Hiroshima, infatti,
conserva testimonianze di com’era la città
prima della bomba atomica del 1945,
e il tessuto urbano è rifiorito
nel segno di un’architettura contemporanea
non estranea alla cultura tradizionale.

Hiroshima e Nagasaki oggi
sono in effetti città dinamiche, moderne
per quanto non immemori.
La capacità di collaborare
permette al Giappone
una straordinaria resilienza».

Gemona dopo il terremoto del 1976 / visitgemona.com
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Gemona, il centro storico / avouslefrioul.com

Ricostruzioni – Anche in Italia non sono mancati momenti
in cui a un grande trauma
si è data una risposta corale ed efficace.

Il terremoto
che colpì il Friuli nel 1976 resta emblematico:
morirono 989 persone,
70mila rimasero senza tetto,
4mila edifici crollarono.

Vi fu l’immediata mobilitazione di tutti:
cittadini, forze armate, polizia, vigili del fuoco,
in una perfetta sintonia tra Stato
e amministrazioni locali,
oltre a un concorso di aiuti dall’estero.

Gemona, all’epicentro del sisma,
è stata ricostruita per anastilosi:
com’era e dov’era.

Altre città poi sono state riedificate secondo progetti
che hanno tenuto conto sia del preesistente,
sia delle più recenti sensibilità architettoniche:
in ogni caso la partecipazione corale
ha fatto sì che la regione sia emersa
dalla crisi rapidamente
e più forte e florida di prima.

Rinascite urbane come queste
potrebbero però apparire casi isolati.
Ma se si osserva il fenomeno
non sui tempi brevi della cronaca,
bensì sulla lunga prospettiva della storia,
si vede che così non è: città e territori
frequentemente sono soggetti a drastici cambiamenti.

Ricostruzioni – Terremoti, uragani e maremoti
hanno sconquassato
decine di luoghi in anni recenti:
da New Orleans ad Haiti,
da Città del Messico all’Aquila.

San Francisco, le rovine della città dopo il terremoto del 1906 / it.wikipedia.org
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San Francisco: veduta di Alamo Square / viaggi-usa.it

Ancora più tragici sono stati eventi
un po’ più lontani nel tempo.

San Francisco infatti fu rasa al suolo
dal terremoto del 1906,
e molto di quello che non fu distrutto dal sisma
fu incenerito dall’incendio che ne seguì.

Morirono 3mila persone
e la metà dei 400mila residenti rimase senza casa.
E se l’intervento delle forze armate
permise una ricostruzione di emergenza
che diede case nuove a tutti,

negli anni successivi
i preparativi per l’Expo del 1915 fecero sì
che fossero privilegiati particolarmente
i grandi interventi architettonici di prestigio,
mentre furono abbattute quasi tutte le casette
approntate per dar ricetto alle famiglie.

A un secolo di distanza alcune di quelle casette
fortunosamente sopravvissute sono state poi restaurate
e, scrivono Marie Bolton e Nancy C. Unger
(Annales de démographie historique 2010/2),
sono apprezzate ovviamente «come testimonianza
dell’impegno a fornire abitazioni adeguate
e dignitose dopo il terremoto».

A differenza della cupidigia
e dell’affanno per il potere,
la solidarietà sempre favorisce
il benessere delle persone e della società.

Il terremoto che colpì Messina
e Reggio Calabria nel 1908
uccidendo metà dei cittadini della prima
e un terzo di quelli della seconda
è considerato la maggiore catastrofe naturale
mai avvenuta sul suolo europeo.

Entrambe le città furono ricostruite
secondo criteri ingegneristici
e architettonici d’avanguardia.

Per i primi soccorsi
vi fu una mobilitazione generale
con la partecipazione anche di unità navali
delle Marine militari di Francia, Spagna,
Germania, Grecia, Russia.

Il disastro naturale unì tanti Paesi:
quegli stessi che pochi anni dopo
la guerra avrebbe divisi.

Ricostruzioni – Infatti, ben più disastrosi delle catastrofi naturali,
gli scontri armati hanno devastato migliaia di città,
nel corso del XX secolo
come anche in questi anni più recenti: da Dresda
a Varsavia, da Berlino a Le Havre,
da Homs a Baghdad.

Stalingrado in rovina dopo la battaglia del 1943 / thevision.com
Ricostruzioni
Stalingrado, oggi Volgograd, la cattedrale Alexandr Nevskij / bbc.com

Durante la Seconda guerra mondiale
Stalingrado fu ridotta totalmente in macerie
e, per quanto abbia cambiato nome
divenendo Volgograd,
ha continuato a vivere
nel ricordo della lunga battaglia del 1942-1943
che fu decisiva per le sorti del conflitto:

la postbellica ricostruzione integrale
ne ha fatto un enorme
e articolato monumento commemorativo.

Anche Le Havre, città francese
distrutta a seguito dei bombardamenti alleati del 1944,
è stata completamente ricostruita negli anni Cinquanta,
secondo un progetto totalmente nuovo
che le ha permesso di tornare a essere
uno dei più dinamici centri marittimi europei.

Dresda dopo i bombardamenti del 1945 / linkiesta.it
Riucostruzioni
Dresda, veduta notturna del centro storico sul fiume Elba / viaggi.fidelityhouse.eu

Ricostruzioni – Dresda rimane un caso esemplare
delle devastazioni portate dalla guerra.

Nel febbraio del 1945
fu sistematicamente colpita
in ondate successive di attacchi dall’aria che,
per quanto non fosse un obiettivo di rilevanza militare,
le scaricarono addosso migliaia di tonnellate di bombe.

Tale fu la distruzione
che lo stesso calcolo del numero delle vittime
è risultato impossibile,
per quanto sia chiaro
che diverse decine di migliaia di persone
rimasero uccise.
Gli edifici finirono quasi tutti in macerie.

La ripresa fu difficile:
la città ricadde nella zona di occupazione sovietica
e non fu raggiunta dagli aiuti postbellici statunitensi.

Ma pian piano è stata ricostruita,
avvalendosi di immagini fotografiche
precedenti alla guerra,
così che gli edifici nuovi
fossero uguali a quelli abbattuti.

Ma non fu tuttavia ricostruita la Frauenkirche:
era l’edificio simbolo della città e le sue rovine
furono infatti conservate come testimonianza e ammonimento
contro il barbaro furore che la guerra scatena.

Solo dopo la riunificazione della Germania nel 1990
si pensò di riedificarla.
E anche in questo caso vi fu un concorso internazionale:
la partecipazione di una ventina di Paesi
permise di raccogliere i centoventicinque milioni di euro
necessari per farla rinascere:

con gli stessi materiali
dell’originale chiesa settecentesca
e la sua stessa forma barocca,
così come questa era raffigurata
in quadri d’epoca e fotografie.

Inaugurata nel 2005,
ha ripreso il suo ruolo di simbolo:
questa volta non solo della città,
bensì anche del desiderio di riconciliazione
e di pace maturato in tutta la popolazione europea.

Ricostruzioni – Ma se in Europa le opere
di ricostruzione postbellica sono concluse,
questo non è vero
per altre parti del mondo.

Per esempio, oggi Baghdad
è ancora un cantiere,
dopo essere stata ripetutamente bombardata nel 1991
e poi ancora nel periodo tra il 2003 e il 2011.

Qui l’Onu s’è impegnata anzitutto
per coinvolgere i giovani nell’opera,
proponendo loro la speranza di un futuro di pace
attraverso il progetto “Promoting the Inclusion
of Conflict- Affected Iraqi Youth Project”,
il cui principale obiettivo
è di aiutarli a collaborare tra loro, per il bene comune.

Perché infatti l’ingrediente fondamentale per ricostruire
quanto è andato distrutto è la buona volontà.
È una lezione che si può leggere ovunque.

Come a New Orleans: la città è stata ricostruita
dopo l’uragano Katrina del 2005
e verso il mare sono stati eretti argini in calcestruzzo
al fine di proteggerla dai rischi di nuove inondazioni.

Ma questi, sostiene Bob Jakobsen,
uno strutturista citato da Usa Today,
«sono pensati per difendere gli edifici,
non le persone»:
le persone si proteggono invece
se c’è capacità di intervenire rapidamente
e in modo solidale.

Perché se le strutture fisiche
sono un necessario strumento di resilienza,
questa si realizza solo se
c’è la fattiva e continua opera umana.

Un nuovo inizio richiede sempre
socialità, collaborazione, solidarietà.
Non a caso l’Unesco ha chiamato Cure
(“Culture in City Reconstruction and Recovery”,
ma di per sé vuol dire semplicemente “cura”)
il suo più recente documento sulla resilienza urbana.

Le città per loro natura
sono luoghi in cui la cura per l’altro
e per gli spazi comuni è,
o dovrebbe essere, di casa.

Lo si nota con evidenza
quando è necessario risorgere dopo una catastrofe,
ma in realtà l’opera di rigenerazione
è sempre necessaria,
e in particolare lo è oggi:

sia per accogliere nuovi cittadini
nell’interminato processo di espansione urbana,
come per migliorare le periferie cresciute troppo in fretta,
oppure per rendere più salubre e sicuro l’ambiente.

Perché le città sempre si muovono,
sempre rinascono su sé medesime,
e sempre si rinnovano.

Leonardo Servadio, «Dalle macerie la speranza», in
“Luoghi dell’Infinito”, gennaio 2022, n. 268, pp. 26-33.

Foto: Mostar: lo Stari Most, il “Ponte vecchio”,
ricostruito nel 2004 / getyourguide.it

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