Eustochia

Eustochia Calafato di Messina (1434-1485) – Clarissa – 20 gennaio – 1

Eustochia Calafato (al secolo Smeralda), è quarta dei sei figli di Bernardo Cofino,
soprannominato Calafato (destinato a diventare il cognome di tutta la famiglia),
commerciante messinese, e di Macalda Romano Colonna, terziaria francescana.

Nell’anno in cui viene alla luce,
la città di Messina è colpita da un’epidemia di peste.
I genitori, per sfuggire alla pestilenza, decidono di recarsi fuori dalla città,
presso il vicino villaggio della SS. Annunziata
ed è lì che la madre Macalda la dà alla luce il 25 marzo 1434.

Smeralda trascorre i primi anni della fanciullezza senza notevoli avvenimenti,
nella casa paterna, affidata alle cure della madre.
Si tramanda che sin da piccola la sua bellezza non passa inosservata.

Nel dicembre 1444, quando Smeralda ha appena undici anni circa,
senza neppure essere interpellata e secondo i costumi del tempo,
il padre la promette sposa ad un maturo vedovo trentacinquenne
di pari condizione sociale ed economica;
ma il concertato matrimonio sfuma
per l’improvvisa e repentina morte del promesso sposo nel luglio 1446.

Anche se non pienamente cosciente di quanto accaduto,
l’evento provoca nella piccola Smeralda un tremendo e comprensibile trauma,
ma la Provvidenza divina che ha ben altri disegni su di lei,
se ne serve per attirare alle cose celesti il suo cuore,
del resto già ben disposto alle più ardite e sublimi decisioni.

Così la morte del promesso sposo spinge soavemente ma fortemente Smeralda
a considerare nella sua vera realtà e alla luce del soprannaturale
la vanità delle cose terrene e dei piaceri mondani,
per cui nonostante reiterate pressioni dei parenti
e le ottime occasioni che si presentano per un nuovo fidanzamento,
rimane sempre tetragona nel rinunciarvi,
decidendo di consacrarsi a Dio nella vita religiosa,
decisione maturata verso l’età di 14 anni.

I parenti però, e specialmente il padre,
non sono assolutamente disposti ad assecondare le sue aspirazioni:
da qui un inevitabile conflitto familiare,
che la spinge anche a tentare una inutile fuga dalla casa paterna,
ma che si risolve dopo qualche tempo a suo favore,
quando verso la fine del 1448,
durante uno dei suoi soliti viaggi commerciali,
il padre muore improvvisamente in Sardegna.

Ma adesso sono le monache a non volerla:
hanno paura di vedersi incendiare il convento,
come i fratelli di Smeralda minacciano di fare.

L’attesa si protrae ancora per un anno, poiché soltanto alla fine del 1449
Smeralda può appagare il suo ardente desiderio
entrando nel monastero delle Clarisse di S. Maria di Basicò in Messina
dove le è imposto il nome di Suor Eustochia: ha circa 15 anni e mezzo!

Fin dal noviziato Eustochia si distingue per la pietà e le spiccate virtù.
Incredibile infatti è l’impegno, lo slancio, l’entusiasmo
con cui Eustochia si accinge a vivere la sua vocazione
dedicandosi alla preghiera, alla meditazione assidua della Passione di Cristo,
alla mortificazione, al servizio delle inferme.

Non paga però di attendere alla sua personale perfezione, Eustochia desidera ardentemente
che tutto il monastero risplenda per l’esemplare osservanza della regola.

Purtroppo proprio in quegli anni la badessa del tempo, suor Flos Milloso,
con progressiva e tenace azione e con scopi non del tutto lodevoli,
sottrae il monastero dalla direzione spirituale degli Osservanti,
e pur non trascurando le necessità spirituali delle suore,
è troppo invischiata ed immersa negli affari terreni e temporali.

Tutto ciò crea un certo disagio e profondo disappunto
nelle suore più sensibili e fervorose tra cui primeggia Eustochia,
e poiché a nulla approdano gli sforzi ed i tentativi
per ricondurre a più severa disciplina la vita regolare del monastero,
Eustochia e qualche altra decidono di cercare altrove quanto manca a Basicò;
maturando il proposito di fondare un nuovo monastero
secondo il genuino spirito della povertà francescana
e sotto la direzione dei Frati Minori dell’Osservanza.

Ottenuta la necessaria autorizzazione pontificia,
Eustochia, con i mezzi forniti dalla madre e dalla sorella,
e la fattiva collaborazione del nobile messinese Bartolomeo Ansalone,
nel 1460 si trasferisce nei locali di un vecchio ospedale adattato a monastero,
dove la seguono la sorella Mita (Margherita) ed una giovane nipote.

Eustochia è sostenuta moralmente da una consorella di Basicò,
suor Iacopa Pollicino, che unica la segue nella difficile impresa
e le rimane fedelmente accanto fino alla morte, superando immensi ostacoli,
sopportando violente avversità e contraddizioni interne ed esterne.

Ben presto altre donne si uniscono al piccolo drappello,
ma per sopravvenute difficoltà materiali e morali,
le suore devono lasciare il vecchio ospedale, trovando generosa ospitalità
nella casa di una congregazione del terz’ordine Francescano,
sita nel quartiere Montevergine dove si trasferiscono agli inizi del 1464.

Con l’aiuto di benefattori
la nuova dimora è convenientemente allargata e sistemata per un monastero.

Ha inizio così il monastero di Montevergine
nel quale ben presto uno stuolo di anime nobili e generose,
tra cui la stessa madre di Eustochia,
chiede di entrare per condividerne la vita povera ed evangelica.

Fattasi cosi madre spirituale delle sue figliole,
ella le istruisce, le educa, le forma alla vita francescana,
spronandole alla meditazione della passione di Cristo,
comunicando loro i frutti delle proprie esperienze ascetiche,
infondendo nei loro cuori l’amore alle virtù
che ella stessa pratica con ammirabile costanza ed eroismo.

Permea tutta la loro vita della spiritualità semplice e generosa del francescanesimo,
imperniata sul Cristocentrismo, sul Cristo cioè amante e sofferente,
e sulla devozione all’Eucaristia, attingendo un sodo e vitale nutrimento
per le quotidiane meditazioni da un’intensa e sentita vita liturgica.

Nel monastero di Montevergine Eustochia si spegne a 51 anni il 20 gennaio 1485,
lasciando una fervente e stimata comunità religiosa di circa 50 suore,
il profumo delle sue virtù e la fama della sua santità.

Qualche giorno dopo la sua sepoltura,
al suo sepolcro e nel suo corpo si manifestano straordinari fenomeni
che danno inizio ad una popolare e vasta devozione verso di lei.

Spinte da quegli avvenimenti e sollecitate da personalità ecclesiastiche e laiche,
le suore di Montevergine scrivono una biografia della loro venerata fondatrice e madre,
mentre la fedele compagna Suor Iacopa Pollicino
ne trasmette toccanti ed ammirabili cenni in due lettere a suor Cecilia Coppoli,
badessa del monastero di S. Lucia di Foligno, nelle quali conferma o completa
quanto di più interessante, prestigioso e virtuoso aveva notato in suor Eustochia.

Il 14 settembre 1782 il Papa Pio VI approva il culto ”ab immemorabili“.

San Giovanni Paolo II, durante una sua visita a Messina,
l’11 giugno 1988, la inscrive nell’albo dei Santi.

Foto: Eustochia Calafato di Messina / facebook.com

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