Ap

Ap 11,19a;12,1-6.10a – Assunzione della Vergine Maria Anno C

Introduzione

Ap – La I Lettura è tratta dall’Apocalisse,
l’ultimo libro del Nuovo Testamento,
composto verso la fine del I secolo,
in un momento difficile per le comunità cristiane
tentate di apostasia a causa dei soprusi,
delle angherie e della persecuzione
cui erano sottoposte.

L’autore che si presenta
col nome di Giovanni (Ap 1,1.4.9;22,8),
si trova sull’isola di Patmos, nel mar Egeo,
confinato verosimilmente a causa
del proselitismo che egli esercitava.

Questi si rivolge
alle sue comunità cristiane
in modo volutamente criptato
al fine di non incorrere
nelle rappresaglie del potere.

Infatti, ricorre a immagini e simboli
che i suoi lettori – che conoscono
l’Antico Testamento –
sanno immediatamente decodificare.

Ap – Sguardo d’insieme del nostro testo

Dopo l’adorazione
e il canto di ringraziamento tributato a Dio
da parte dei ventiquattro vegliardi (Ap 11,15-18),
il tempio di Dio che è nel cielo si apre
e lascia vedere l’arca dell’alleanza (Ap 11,19a).

Nella narrazione dell’Apocalisse
è il simbolo del trono celeste di Dio,
che funge da scenario per la scena
presentataci dalla prima lettura (Ap 12,1-6a).
Infatti, nel cielo,
cioè nel mondo di Dio,
compaiono due segni.

Il primo, qualificato «grandioso»
è «una donna vestita di sole,
con la luna sotto i suoi piedi
e sul suo capo una corona di dodici stelle».
È incinta, e grida a causa delle doglie
e del travaglio del parto (Ap 12,1.2).

Il secondo segno
è «un enorme drago rosso»,
un serpente gigantesco,
dotato di forza spaventosa,
simboleggiata da sette teste,
dieci corna e sette diademi.

Con la coda trascina giù dal cielo
un terzo delle stelle
e le precipita sulla terra.
Poi si pone davanti alla donna
che sta per partorire
e tenta di divorargli il figlio
appena lo abbia partorito (Ap 12,3-4).

Dio allora interviene,
prende il figlio maschio partorito
e lo porta verso il cielo,
mentre la donna cerca rifugio nel deserto
dove Dio le ha preparato un rifugio.

Scoppia allora una battaglia titanica.
In cielo si affrontano
da una parte Michele con i suoi angeli,
dall’altra il grande drago,
colui che è chiamato diavolo, satana,
seduttore di tutta la terra,
con i suoi angeli (Ap 12,7-9).

A dir la verità,
la scena di questo combattimento
non è riportata dalla nostra lettura
che conclude, invece, con il canto di vittoria,
al termine del terrificante scontro:
«Ora si è compiuta la salvezza
e il regno del nostro Dio» (Ap 12,10).

Ap – Chi è il figlio?

Dopo questo sguardo d’insieme (Ap 12-1-6)
siamo in grado di fare
un’analisi più dettagliata del brano.

Ci chiediamo, anzitutto, chi è il figlio maschio
che è dato alla luce? (Ap 12,5).
Il destino che lo attende
e che è riferito con la citazione del Salmo 2,9
non lascia dubbi sulla sua identità.
In tutto il Nuovo Testamento
colui che è chiamato a
«pascere tutte le genti con verga di ferro»
è sempre e solo Cristo.

Chi è la donna?

Ap 12,1-2.5-6 – Se è lui il bambino
che sta per nascere,
allora la donna non può che essere Maria.

È questa l’interpretazione
più semplice e immediata
e, in effetti, Maria è spesso raffigurata
luminosa come il sole,
con la luna sotto i piedi
e una corona di dodici stelle sul capo.

In realtà, al fine di decodificare la donna
sono di prezioso aiuto
alcuni elementi descrittivi.

Anzitutto, con il termine donna,
si indica frequentemente,
nell’Antico Testamento,
il popolo d’Israele (cfr. Ez 34).

Inoltre, le stelle fanno riferimento
alle comunità cristiane e il numero dodici
richiama sia le tribù di Israele
sia il gruppo degli Apostoli.

Infine, la presenza di elementi cosmici (sole,
luna e stelle) richiama alcuni Salmi messianici,
come il 72 e l’89,
che dipingono il regno del Messia.

Dalla combinazione dei dati raccolti,
otteniamo che la donna rappresenta la Chiesa.
In altre parole, raffigura la comunità cristiana
e incarna il resto fedele di Israele.

Ap 12,1 – È rivestita di sole, astro che,
a causa del suo fulgore e della sua magnificenza,
era ritenuto il simbolo di tutto ciò
che è bello (Ct 6,10) e dello stesso Dio (Sal 84,12).

Ossia la comunità cristiana,
amata dal Signore
e colmata dei suoi doni più preziosi,
è splendida perché in lei brilla una luce divina.

Ap 12,1 – La luna, per i popoli
dell’antico Medio Oriente, era il dio
che, per le sue fasi di crescita e calo,
era in rapporto con il mutare del tempo.

Nel nostro testo questo dio-luna
è schiacciato dalla comunità dei credenti.
Nel senso che questa comunità non è soggetta
ai condizionamenti del tempo,
non è in balia delle vicissitudini
di questo mondo transitorio
perché è già nel mondo dell’Eterno.

Ap 12,1 – La corona sul capo indica il trionfo.
Nella prospettiva di Dio,
la Chiesa ha già ottenuto
la vittoria definitiva sul male.

Le dodici stelle mettono in risalto
la sua identità: è il vero Israele
che porta a compimento
le promesse fatte ad Abramo.

Chi è il drago rosso?

Ap 12,3-4 – È il secondo «segno»
che contrasta e insidia il primo:
«un enorme drago rosso» dalle sette teste,
dieci corna e sette diademi.

È il simbolo di tutte le forze ostili a Dio
che si incarnano nei centri di potere.

Hanno tre caratteristiche:
sono perfetti nel progettare il male
(hanno sette teste),
sono mostruosi quanto a forza,
ma non invincibili (hanno dieci corna),
trionfano, ricevono onori
e riconoscimenti (hanno sette diademi).

Queste strutture diaboliche
si oppongono al bimbo
fin dal giorno della sua nascita
e alla donna.

Va chiarito però che la nascita di Cristo
cui fa riferimento il veggente dell’Apocalisse
non è il parto di Maria a Betlemme,
ma la Pasqua. È quello il momento
in cui Cristo, nascendo dal sepolcro,
è apparso al mondo come il Messia di Dio.

Da quel momento le potenze del male
si sono scagliate contro di lui,
ma egli è irraggiungibile:
il Padre lo ha accolto nella sua gloria.

Il drago, inoltre, ha la testa schiacciata,
ossia è definitivamente sconfitto,
ma ancora si dibatte e con la coda
riesce a trascinare sulla terra
un terzo delle stelle del cielo.

Queste non rappresentano gli angeli,
ma i cristiani dell’Asia minore
i quali, sconvolti e disorientati,
non resistono alle seduzioni del maligno,
rinnegano la loro fede e abbandonano
in gran numero le loro comunità.

Ap 12,6 – Infine, la donna che fugge
e cerca rifugio nel deserto
è il popolo di Dio
che non ha ceduto alle lusinghe
e alla forza del drago.

Ap -Prima conclusione

Ap 12,1-6 -A questo punto
una conclusione si impone:
se il bambino è Cristo
e la donna non è Maria,
ma la comunità dei credenti,
allora il figlio-Cristo nasce dalla chiesa.

È precisamente così,
ed è questo il messaggio commovente
che l’autore vuole far giungere
ai cristiani scoraggiati delle sue comunità.

Li invita a prendere coscienza
della loro sublime identità.
Giorno dopo giorno, con fatica, dolore
e in mezzo a prove di ogni genere,
stanno dando alla luce l’uomo nuovo, Cristo,
nella storia del mondo.

Paolo era consapevole
di questa missione materna
quando scriveva ai Galati:
«Figlioli miei,
per voi io soffro ripetutamente
le doglie del parto, finché Cristo
prenda consistenza in voi» (Gal 4,19).

Le violenze, le menzogne,
le crudeltà fanno soffrire,
ma non possono spaventare il credente
perché non sono presagi di morte,
ma ineluttabili doglie di un difficile parto.

Ap – Seconda conclusione

Ap 12,1-6 – Se la donna non è Maria,
ma la comunità, come mai la liturgia
ci propone questo brano nella festa dell’Assunta?

Se tutto quello che si è detto è vero,
rimane altrettanto vero che il testo
descrive la «donna» in termini così realistici,
che non si può negare che qui Giovanni
abbia pensato più direttamente e concretamente
a Maria, la madre di Gesù, facendone
come l’immagine e il «tipo» della Chiesa.

È fin troppo chiaro che qui si parla di Cristo che,
a causa della risurrezione e ascensione al cielo,
si è assiso «alla destra di Dio» (Mc 16,19).

Per questo motivo, a cominciare da S. Agostino,
molti esegeti interpretano questo testo
in chiave «mariologica».
Infatti, secondo il suggerimento
di Isacco della Stella, un santo abate
del XII secolo, ciò che si dice della Chiesa
si può applicare a Maria e viceversa:

«Maria e la Chiesa sono una madre
e più madri…

Nelle Scritture divinamente ispirate,
ciò che si dice in modo universale
della vergine madre chiesa,
lo si intende in modo singolare
della Vergine Madre Maria,

e ciò che si dice in modo speciale di Maria
lo si intende in senso generale
della vergine madre chiesa…».

Ap – Terza conclusione

Ap 12,10 – Il canto finale
«Ora si è compiuta la salvezza…»
è un invito alla speranza.
Malgrado lo strapotere
che ancora ostentano le forze del male,
il credente sa che il drago
è già stato sconfitto
dalla «potenza di Cristo»;

i suoi colpi di coda saranno ancora terrificanti,
ma la testa è stata schiacciata – come Dio
aveva predetto, fin dalle origini del mondo (Gn 3,15).

Foto: Domenichino (pseudonimo di Domenico Zampieri),
dettaglio del soffitto a lacunari con Assunta in Gloria,
olio su rame, 1617, Santa Maria in Trastevere, Roma /
commons.wikimedia.org

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