Abram

Abram – XVII Domenica del Tempo Ordinario – Gn 18,20-32 – Anno C

Contesto storico

Abram è uno dei personaggi
più frequentemente citati nella Sacra Scrittura
(centinaia di volte nell’Antico Testamento
e più di 70 volte nel Nuovo).

Dotato di una genealogia,
come le più celebri personalità,
nasce da Terach ad Ur dei Caldei,
nell’attuale tormentato Iraq meridionale,
assieme ai fratelli Nacor e Aran (Gn 11,10-31).

Successivamente Terach con suo figlio Abram,
la nuora, Sara, moglie di Abram
e il nipote Lot, figlio di Aran
abbandonano Ur dei Caldei,
al fine di andare nella terra di Canaan,
ma arrivati a Carran, vi si stabiliscono (Gn 11,31).

Qui Terach muore all’età di 205 anni (Gn 11,32).
Su ordine del Signore, Abram, a 75 anni,
lascia Carran per la terra di Canaan (Gn 12,1-5):
«Per fede, Abramo, chiamato da Dio,
obbedì partendo per un luogo
che doveva ricevere in eredità,
e partì senza sapere dove andava» (Ebr 11,8).

Abram giunge successivamente
nel paese di Canaan,
e precisamente alle Querce di Mamre,
ad Ebron (Gn 13,7-13).

Qui lo abbiamo trovato,
domenica scorsa,
nell’episodio dell’apparizione
dei tre uomini (Gn 18,1-10).
E da qui si riparte con il brano di oggi,
ascoltato come prima lettura (Gn 18,20-32).

Contesto spirituale

Abram ha raggiunto una tale familiarità con Dio,
da permettersi il “mercanteggiamento di misericordia”,
riportato nella prima lettura.

Il suo cammino di intimità con Dio,
iniziato con la chiamata di Gn 12 (Dio sceglie Abram),
aveva compiuto un ulteriore progresso
in occasione del nome nuovo e dell’Alleanza,
di cui la circoncisione era il segno visibile:

«Abram aveva novantanove anni
Quando il Signore gli apparve e gli disse:

“Ecco la mia alleanza con te:
tu diventerai padre di una moltitudine di nazioni,
e non ti chiamerai più Abram,
ma il tuo nome sarà Abramo…
Questa è la mia alleanza
che dovete osservare… sarà circonciso
ogni vostro maschio”…» (Gn 17,4-5.10sgg.).

L’apice della comunione tra Abram e Dio
è raggiunto tuttavia
nella misteriosa visita di tre personaggi
che precede immediatamente
l’episodio di oggi.

Contesto immediato

Dopo la visita dei tre ospiti
presso la tenda di Abramo,
al fine di recargli la notizia
della nascita di Isacco, suo figlio,
a distanza di un anno (Gn 18,1-15),

quegli uomini si alzano di là
e subito vanno a contemplare dall’alto
il panorama di Sodoma,
mentre Abramo si accompagna
con loro per accomiatarli (v.16).

Per la verità, non è detto nulla di più,
così come nelle parole attribuite al Signore
nei versetti successivi (vv. 17-19)
non emerge chiaramente l’intento di divino
di voler distruggere la città,

ma si menziona la volontà del Signore
di mettere al corrente Abramo,
suo partner nell’alleanza,
di ciò che sta per accadere.

Nel libro della Genesi
il primo riferimento a Sodoma
è contestuale alla separazione
tra Abramo e Lot,
avvenuta in seguito alla lite
tra i rispettivi pastori;

fu così che Abramo propose a Lot di scegliere
un territorio in cui trasferirsi con le sue greggi,
e questi scelse infine il territorio del Giordano,
dove sorgeva la città di Sodoma, abitata
da gente perversa e avvezza al peccato (Gn 13,13).

Inizio del testo

Il brano scelto come prima lettura di oggi
fa riferimento espressamente
alle lagnanze che sono giunte
al cospetto di Dio
contro Sodoma e Gomorra (v. 20):

il termine se`aqah,
reso in italiano con “lamento”,
appartiene, per la verità,
al lessico giuridico,

ed esprime precisamente l’invocazione di aiuto
che interpella i giudici terreni,
e, in caso di mancata accoglienza, Dio,
da parte di chi vede calpestato
il proprio diritto subendo violenza.

All’inizio non è esplicitata
la materia della loro trasgressione,
ma s’insiste sulla gravità del loro peccato.

Al momento,
il Signore intende accertarsi di persona
se le cose stanno veramente così (v. 21);
i verbi «scendere» e «vedere»,
declinati alla prima persona singolare,
denotano in effetti la volontà di Dio
di esaminare il caso prima di intervenire.

La distruzione di Sodoma e Gomorra
non è decisa quindi d’impulso,
ma è l’esito di un’accurata indagine
condotta espressamente dal Signore
al fine di accertare
la colpevolezza degli abitanti.

Abram – Commento1

Mentre i tre uomini
giunti in precedenza presso Abramo
si recano in ispezione a Sodoma,
Abramo resta alla presenza di Dio (v. 22):

si accosta a lui e inizia la complessa trattativa
che lo condurrà a chiedere al Signore
di risparmiare le due città
a riguardo dell’amore dei giusti
che in esse verosimilmente vi dimorano.

Abramo denota abile scaltrezza
e consumata saggezza,
abbassando ogni volta la posta in gioco:
dagli iniziali cinquanta (v. 24)
si arriva a dieci potenziali giusti (v. 32),
per i quali chiede di ottenere
clemenza per le due città.

«Davvero sterminerai il giusto con l’empio?
Forse vi sono cinquanta giusti nella città:
davvero li vuoi sopprimere?
E non perdonerai a quel luogo
per riguardo ai cinquanta giusti
che vi si trovano?…» (vv. 23-24).

Abram – Commento2

Si noti anzitutto che Abramo supplica il Signore
non specificamente per la sopravvivenza
di quelle corrottissime città;
in questo caso, infatti, si sarebbe come schierato
dalla parte del male,
quasi facendosene avvocato presso il Signore!

Egli lo supplica, invece,
in nome sia pure di pochi «giusti»
(da cinquanta scende fino a dieci!)
che si trovassero in quelle città.

La motivazione
sulla quale Abramo fa ovviamente leva
al fine di ingraziarsi la benevolenza divina
concerne il suo diritto:

in effetti, non si conviene a Dio,
l’unico in grado di esercitare la giustizia
senza parzialità e senza errori,
far perire il giusto con l’empio (vv. 23-25)

accomunarli alla stessa sorte,
sarebbe perciò la smentita più clamorosa
della sua rettitudine e imparzialità.

Abramo è consapevole, inoltre,
che la sua richiesta è ardita,
perché egli è solo polvere e cenere
al cospetto di Dio,
e sa di non poter accampare pretese
nei suoi confronti.

Tuttavia, egli prende piano piano coraggio
a causa della disponibilità divina a sorvolare
sul diritto divino di punire seriamente
il peccato degli abitanti delle due città

Il dialogo tra Abramo e Dio
evidenzia inoltre lo spessore di clemenza
che caratterizza l’agire divino:
il Signore in effetti non è un sadico vendicatore,
ma un giudice giusto e misericordioso.

Abram – Commento3

Viene da chiedersi, allora,
perché Abramo si è fermato a dieci.

Geremia ed Ezechiele, invece,
oseranno scendere di più,
intuiranno che Dio perdonerebbe al suo popolo
se incontrasse anche un solo giusto:

«Percorrete le vie di Gerusalemme – dice
il Signore – osservate bene e informatevi,
cercate nelle sue piazze se trovate un uomo,
uno solo che agisca giustamente
e cerchi di mantenersi fedele,
e io le perdonerò» (Ger 5,1; Ez 22,30).

La trattativa di Abramo
non sortirà tuttavia l’effetto sperato
e Sodoma e Gomorra saranno distrutte:

non tanto a causa di irrigidimento
della giustizia di Dio che, anzi,
è pronta a cedere alle implorazioni di Abramo,

quanto piuttosto
a causa della radicale miseria dell’umanità:
essa è infatti peccatrice nella sua totalità,
non c’è un solo giusto
che possa giustificare l’irruzione
della misericordia sulla giustizia divina.

Dio stesso, in effetti,
al fine di accettare la proposta di Abramo,
dovrà inviare all’umanità un giusto autentico,
«Gesù Cristo giusto» (1 Gv 2,1).

Il Figlio di Dio sarà infatti l’Uno,
l’unico innocente, che espierà
e otterrà la salvezza per la «moltitudine».
Ce lo ricorda espressamente san Paolo
nella Lettera ai Colossesi (Seconda lettura di oggi):

«Con lui Dio ha dato vita anche a voi,
che eravate morti per i vostri peccati…
perdonandoci tutti i peccati,
annullando il documento scritto del nostro debito,
le cui condizioni ci erano sfavorevoli.
Egli lo ha tolto di mezzo
inchiodandolo alla croce» (Col 2,13-14).

Foto: Abram0 / dvd.it

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