Zaccheo

Zaccheo – Lc 19,1-10

Zaccheo e la sua conversione sono raccontanti solo dall’evangelista Luca.

Il brano può essere diviso in due parti: la prima narra l’accaduto (vv. 1-6), la seconda lo valuta (vv. 7-10). La ricerca caratterizza la prima parte: all’inizio Zaccheo cerca Gesù, poi i ruoli si invertono. Nella seconda abbiano una triplice valutazione: quella della gente, quella di Zaccheo e quella di Gesù stesso.

Il vangelo di oggi inizia presentando il Maestro che entra in Gerico e attraversa la città accompagnato dalla folla e dai discepoli (v. 1). All’entrata della città ha appena curato un mendicante cieco che lo supplicava: «Signore, che io riabbia la vista» (Lc 18,35-43: vangelo di ieri). Ora chi cerca di vedere è un uomo chiamato Zaccheo.

Il suo nome, abbreviazione di Zaccaria, significa ‘il giusto’, ‘il puro’, noi tradurremmo Innocenzo. Il suo nome sembra una beffa del destino, perché egli è pubblicano (esattore di tasse a nome dell’occupante romano) e ricco, due qualifiche che gravano sulla sua reputazione come una spada di Damocle. I pubblicani, infatti, sono considerati dai Giudei strozzini, ladri, peccatori e Zaccheo non solo è un pubblicano, ma è capo dei pubblicani. Luca inventa addirittura un vocabolo per definirlo meglio: lo chiama arcipubblicano – un termine che in greco non esiste – come dire arciladro. Altro che giusto, puro! Oltre al nome, l’evangelista nota un altro particolare: è piccolo di statura. Non si tratta di una banale informazione sul fisico di Zaccheo. È l’immagine di come egli appare agli occhi di tutti: uno sgorbio insignificante, un fastidioso puntino nero in una società immacolata, uno degli esclusi dal banchetto del regno di Dio.

«Zaccheo cercava di vedere chi fosse Gesù», vuole cioè vederlo in faccia, non accontentandosi del ‘sentito dire’. Il suo desiderio non si può dire estemporaneo o fugace, perché «cercava», tempo imperfetto, denota un’azione che si prolunga nel tempo. Nemmeno si lascia bloccare dalle difficoltà della sua bassa statura e della folla. Egli le supera con l’ingegno e la ricerca di mezzi idonei. Anche qui vale il proverbio: «Volere è potere». Zaccheo dimostra che molte difficoltà cessano di essere tali e possono essere superate con la tenacia, con l’intuito e con l’aguzzare l’ingegno.

Zaccheo corre avanti per precedere il corteo che sta attraversando la città e trova rifugio su un albero, specificato come sicomoro. Si tratta di una pianta mediterranea che ha il frutto simile a un fico e foglie larghe come quelle di un gelso e da qui il nome sicomoro (‘sico’ = fico e ‘moro’ = gelso). L’albero permette una facile ascesa, perché ha un tronco basso; le foglie larghe garantiscono a Zaccheo un sicuro rifugio. La postazione è quindi ottima.

A questo punto tutto l’episodio è articolato sul «vedere». Zaccheo che cerca di «vedere», ma non ci riesce, perché la folla glielo impedisce. E allora si arrampica su un albero « per poter vedere Gesù». Ma, più che vedere, «viene visto». Gli altri che «vedono male», prima e dopo («vedendo ciò, tutti mormoravano…»). Ma che cosa vedono in lui? Vedono il peccatore, l’odioso e avido esattore delle imposte, il ladro. Per loro, Zaccheo è un «poco di buono» e basta. E sarebbe sempre stato quel poco di buono. Un uomo, dunque, definito, fissato, sistemato nei suoi aspetti deteriori. Ma Gesù vede «diverso». Il suo è uno sguardo che non si ferma alla crosta dei difetti, la rompe, penetra in profondità. E proprio lì, in quella zona di mistero che i curiosi e i malevoli non hanno mai saputo esplorare, Gesù trova… un altro. Scopre uno che deve ancora nascere, venire alla luce. Scopre un Zaccheo nuovo. Inventa un Zaccheo inedito. Il vero Zaccheo.

Quando giunge sul luogo dove questi si trova, Gesù alza lo sguardo e dice: «Zaccheo scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua» (v. 5). Nessuno della folla ha pronunciato questo nome perché Zaccheo è «l’impuro». Solo Gesù lo chiama: «Zaccheo-puro!».

Dall’alto Zaccheo cerca di vedere Gesù, ma ora è Gesù che, dal basso, lo vede per primo. Di fronte al peccatore Gesù alza sempre lo sguardo, perché la sua posizione è quella del servo che ha umiliato se stesso «facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,7-8). Anche quando rimane solo con l’adultera Gesù alza il capo verso di lei (Gv 8,10), la guarda dal basso perché chi ama non si atteggia mai a giudice.

«Io devo – dice – fermarmi a casa tua». Devo, è per me una necessità interiore (un po’ il nostro “me toca…”.

Il racconto si conclude con una cena. La corsa in avanti di Zaccheo (v. 4) e i verbi di movimento (entrare, attraversare, correre, salire, scendere in fretta) che caratterizzano la prima parte del racconto (vv. 1-7) hanno come meta la casa del peccatore dove Gesù è diretto e «prende dimora» (v. 7). Con la sua venuta ha inizio la festa e il banchetto del regno di Dio annunciato da Isaia.

Osserviamo chi è dentro e chi è fuori, chi fa festa e chi è triste. Dentro dovrebbero esserci i «giusti», invece essi sono tutti fuori a mormorare, a rodersi dalla rabbia perché non concordano con il tipo di invitati con cui Gesù ha voluto che fosse riempita la sala. Dentro ci sono gli «impuri» per i quali Gesù è venuto. C’è Zaccheo, il capo dei peccatori, colui per il quale con c’era speranza di salvezza perché pubblicano e ricco (v. 2). Gesù stesso ha appena detto che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli» (Lc 18,25). Eppure, ciò che è impossibile per gli uomini diventa possibile per l’intervento di Dio (Lc 18,27).

La salvezza non avviene in modo automatico: è offerta, sì, gratuitamente, ma Zaccheo deve accoglierla nella sua casa.

A questo punto ecco che l’amore genera altro amore: Zaccheo, amato gratuitamente, si rende conto che esistono altre persone che hanno bisogno di amore. Si ricorda dei poveri. «Signore, – dice a Gesù – io do la metà dei miei beni ai poveri e, se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto» (v. 8). A differenza di quello che ha fatto con il notabile ricco (Lc 18,18-23), a Zaccheo Gesù non chiede di «vendere tutto e di distribuire i suoi beni ai poveri». Non gli rivolge alcun rimprovero, non pone alcuna condizione. Gli chiede solo di essere accolto.

Zaccheo non è ammesso al banchetto del regno perché è buono, diventa buono dopo, quando si trova coinvolto nella festa. Si converte quando scopre che Dio gli vuole bene malgrado sia un impuro, un povero, un piccolo, anzi, proprio perché piccolo.

La scoperta di questo amore gratuito è la luce che dissipa le tenebre che avvolgono la sua vita e che gli fanno capire che solo l’amore e il dono sono fonte di gioia.

Foto: Gesù vede Zaccheo / gbabulkova.blogspot.com

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