Affaticati e oppressi

Affaticati e oppressi – Matteo 11,28-30
Giovedì della XV settimana fra l’anno

Affaticati e oppressi -Il Vangelo di oggi
è molto breve,
ma ricco di contenuto.

Affaticati e oppressi

«Venite a me, voi tutti,
che siete affaticati e oppressi…» (v. 28).

Di quali affaticati e oppressi si tratta?

La Palestina, in cui Gesù vive e opera,
non è un paese tranquillo.

L’occupazione romana
e la rapacità dei possidenti locali
contribuiscono infatti a creare una massa di diseredati;
e quei pochi che pure hanno
un piccolo appezzamento di terra
o una bottega artigianale,
vivono un’esistenza difficile.

Ci sono poi,
oltre a questi «affaticati»
a causa della vita grama che conducono,
anche gli «oppressi» moralmente.

Come in ogni periodo
in cui è in corso un grande trapasso storico,
molti si interrogano sulla validità
delle antiche tradizioni anche religiose,
su cui fino ad allora
è stata fondata la vita della nazione.

«Venite a me, voi tutti,
affaticati e oppressi»

In questo clima di grandi incertezze,
e perciò di grandi insicurezze,
sorgono vari movimenti religiosi,
che si propongono di salvare
l’antica cultura, che per secoli
è stata l’anima della nazione.

Tra questi movimenti
si distinguono per profondità spirituale,
soprattutto quelli dei farisei e degli scribi,
e quelli dei battisti e degli esseni.

Il popolo, indeciso tra tanti gruppi,
è allettato con inviti di questo genere:
«Venite da noi!
Vi insegneremo le Scritture divine
e sarete salvi», oppure:
«Non siete soddisfatti della vostra vita?
Venite con noi
e farete l’esperienza di una vita nuova».

È in questo contesto
che va letto l’invito di Gesù,
contenuto nel Vangelo di oggi.

«Venite a me, voi tutti,
che siete affaticati e oppressi
e io vi ristorerò».

Gesù senza dubbio
ha conosciuto la fatica dell’uomo,
capisce, inoltre, per averle provate,
le nostre stanchezze,
lui che agli Apostoli stanchi
ha amorevolmente detto:
«Venite, riposatevi un po’».

E certo il fatto di essere capiti
dà già sollievo,
apre uno spiraglio di serenità.

Sono – siamo – in molti oggi
a sentirci affaticati e oppressi
e tutti, in certi momenti,
ci troviamo in situazioni di tribolazione.

Il Signore le permette
perché, come leggiamo nella prima lettura,
ci rivolgiamo a lui:
«Signore, nella tribolazione ti abbiamo cercato,
a te abbiamo gridato nella prova» (Is 26,16).

È il volgersi a lui che, per la verità,
impedisce che ogni dolore,
di qualsiasi tipo,
rimanga sterile, inutile.

«Prendete il mio giogo sopra di voi
e imparate da me»

Tuttavia c’è una condizione:
«Prendete il mio giogo sopra di voi …».

È una condizione certamente sconcertante:
per riposare occorre infatti caricarsi di un giogo!

Il giogo richiama ovviamente il lavoro faticoso
dei campi, con i buoi aggiogati all’aratro;
come può, dunque, essere premessa di ristoro?

Ma il giogo di Gesù è giogo d’amore.
Se infatti rimaniamo soli
i nostri sforzi sono del tutto vani
e al dolore si affianca la disperazione,
perché non vediamo il senso delle nostre fatiche.

Se invece accettiamo il suo giogo,
esso dà senso a tutte le fatiche,
le rende feconde e soprattutto sappiamo
di camminare verso la pienezza
della luce e della vita.

Per di più, il suo giogo è dolce.
Anzitutto perché è il suo:
non nel senso che è stato lui a imporlo,
ma perché è lui ad averlo portato per primo.

È alla volontà del Padre, infatti,
che Gesù si è sempre inchinato;
l’ha liberamente abbracciata,
mentre non si è mai lasciato imporre
precetti umani.

«Imparate da me,
che sono mite e umile di cuore»

A parte che anche «imparare»
è sforzo, richiede fatica…
ci domandiamo che cosa imparare?
Il greco usa un’espressione molto più forte:
«Imparate me»;
occorre, dunque, «imparare Gesù»,
perché è mite e umile.

Forse quest’ultima affermazione
ci lascia un po’ perplessi
perché ci sembra un’autocelebrazione,
meritata, certo, ma poco opportuna.
Queste parole sono tutt’altro che una vanteria!

Tutta la sua vita, il suo essere stesso di Gesù
è sostanzialmente un atto di umiltà,
perché, come dice san Paolo,
lui che era Dio rinunciò alle sue prerogative
e fu uomo uguale agli altri uomini
e si umiliò al punto di sottomettersi
all’obbedienza della morte,

un’obbedienza umiliante
come l’esecuzione capitale
mediante crocifissione,
come si usava per i delinquenti.

Davanti alla stupefacente umiltà di Dio
sorge la domanda: “Ma come è possibile”?
La risposta dà una spiegazione
che invece di dissolvere lo stupore
lo accresce ulteriormente:
“Queste cose fa l’amore”.

Se Dio è Amore,
non deve perciò stupire l’eccesso di amore
che si esprime nella sua umiltà,
perché l’amore trascende i criteri
di ciò che si dice ragionevole.
E nella “kenosi” di Dio
non c’è neppure l’ombra della ragionevolezza.

Conclusione

A dire il vero
lo stile di vita di Gesù è certo esigente.
Il suo programma include anche rinunzie
e ci chiede quantomeno di caricarci la croce.
Però, nello stesso momento,
egli ci promette il suo aiuto.

Ci carichiamo, sì, la croce,
ma in sua compagnia: «Io vi ristorerò».
Come il Cireneo aiutò lui a portare
la croce sulla via del Calvario,
così egli aiuta noi
a superare le nostre lotte e difficoltà.

E soprattutto non dimentichiamo
che quando è l’amore a muoverci,
ogni carico diventa davvero leggero.

Foto: Venite a Me / lalucedimaria.it

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