Pietro e Cornelio

Pietro e Cornelio – VI di Pasqua – At 10,25-27.34-35.44-48 – B

Pietro e Cornelio. Il fatto narrato nella I Lettura accade a Cesarea,
la splendida capitale fondata da Erode il grande.
In questa città risiede il procuratore romano
e vi staziona una forte guarnigione militare.

Uno dei comandanti del presidio si chiama Cornelio,
il centurione che, come il suo collega di Cafarnao (Lc 7,1-10),
coltiva un profondo rispetto per la religione d’Israele.

Prega, elargisce elemosine,
tuttavia questo ancora non basta per essere associato
agli eredi delle promesse fatte ad Abramo.
Non si è sottoposto alla circoncisione e quindi rimane un impuro,
inavvicinabile dai pii israeliti e Pietro è uno di questi.

Pietro è un tradizionalista.
Evita i contatti con gli stranieri, per non essere indotto in idolatria.
Difende la propria identità religiosa, tenendo presente
che una nitida linea di demarcazione lo separa dai pagani.

Osserva con scrupolo i divieti e le prescrizioni insegnategli dai rabbini,
ma, trascorsi alcuni anni dalla Pentecoste,
gli eventi cominciano a far vacillare le sue certezze.

Un dubbio, sempre più insistente, lo tormenta:
le discriminazioni, imposte dai rabbini in nome di Dio,
sono davvero volute da Dio?

Non sa cosa fare. Brancola nel buio.
Decidere è sempre recidere e, nel caso suo,
vuol dire tagliare con il passato, la sua mentalità, la sua cultura,
oppure recidere con l’irrompente novità dello Spirito
che lo manda là, dove c’è una famiglia che lo aspetta in preghiera.

Pietro cede all’impulso dello Spirito
e, con sei discepoli, si dirige verso Cesarea.

Incontro di Pietro con Cornelio

Cornelio attende Pietro, gli va incontro
e l’accoglie gettandosi ai suoi piedi per adorarlo,
ma Pietro reagisce: «Alzati – esclama -: anch’io sono un uomo!».

Rifiuta l’ossequio, anche se si tratta di una normale manifestazione di rispetto.
Ricorda bene con quale insistenza e con quanta chiarezza
Gesù aveva condannato la ricerca di onori e la smania dei primi posti (Lc 22,24-27)
e non vuole che simili cerimoniali, ai quali tanto tengono gli scribi,
siano introdotti nella comunità cristiana.

Continuando a conversare con Cornelio,
entra in casa e, trovate riunite molte persone, dice loro:
«In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone…» (v. 34).

Non tutto gli è ancora chiaro,
ma comincia a capire una verità fondamentale della comunità cristiana:
non esistono due categorie di persone, quelle pure e quelle impure,
per Dio tutti gli uomini sono sue creature, tutti sono suoi figli.

Pietro non è responsabile della sua chiusura mentale,
è solo vittima di una concezione atavica
che lo induce a pensare in modo esclusivista.

Lo Spirito si incarica di sconvolgere questo schema
e mostra che può scendere sui pagani
prima ancora che sia loro amministrato il battesimo.
Con il suo dinamismo irresistibile, lo Spirito testimonia la libertà
dell’amore incondizionato di Dio che raggiunge ogni uomo,
anche se non appartiene all’istituzione Chiesa.

Gli accompagnatori di Pietro si meravigliano
che anche sopra i pagani scenda lo Spirito Santo.
E Pietro conclude: «Forse che si può proibire che siano battezzati
con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?»,
e ordina che siano battezzati nel nome di Gesù Cristo.

Commento: Dio ci anticipa

Dio è sempre in anticipo sugli itinerari, le scoperte,
perfino sulle nostre decisioni degli uomini:
«Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi…» (Gv 15,16).
Soprattutto Dio ci precede nell’amore:
«In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio,
ma è Lui che ha amato noi» (1 Gv 4,10).

Pietro, infatti, scopre che lo Spirito arriva largamente in anticipo
rispetto alle sue visite canoniche nella casa di Cornelio
e nel mondo dei pagani: «Sto rendendomi conto che Dio
non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia,
a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto» (vv. 34-35).

Per quanto affrettiamo il passo,
arriviamo inevitabilmente in ritardo agli appuntamenti di Dio.
Le nostre novità – per cui gonfiamo il petto e diamo fiato alle trombe –
appaiono «sfasate» rispetto alle iniziative divine.

Il coraggio della Chiesa, del cristiano, non è quello del conquistatore
che si avventura in terre sconosciute e apre strade nuove.
È fondamentalmente il coraggio, elementare, di chi cerca di raggiungere Dio
in quei territori che Lui ha occupato da tanto tempo
e dove ci aspetta con pazienza.

Non illudiamoci! Non «portiamo» Dio sulle nostre spalle.
Quando arriviamo là, Lui è già presente.
E noi dobbiamo semplicemente testimoniare
questa presenza precedente, e produrne i segni.

Forse dovremo avere un po’ più di pudore,
quando gargarizziamo orgogliosamente termini come «aperture».
In realtà, le nostre aperture sono più che altro minuscole feritoie
da cui possiamo intravvedere, ahimè!, senza essere colti da vertigini,
il campo infinito in cui l’amore di Dio conduce il suo gioco.

Commento: «Alzati: anch’io sono un uomo» (v. 26)

C’è un altro atteggiamento di Pietro che va sottolineato.
Mentre sta per andare da Cornelio,
«questi andandogli incontro, si gettò ai suoi piedi per adorarlo».
Ma Pietro lo rialza dicendo: «Alzati: anch’io sono un uomo!».

1. Con questa frase Pietro esprime il rifiuto
di un atteggiamento “clericale” di prevalenza.
Rinuncia apertamente a ogni mentalità di privilegio,
non pretendendo avere altre garanzie
all’infuori della Parola che gli è affidata.

2. Non sono che un uomo. E quindi non ho bisogno di ossequi formali,
di manifestazioni riservate ai grandi e ai potenti.
Destrina pure a Dio, all’unico avente diritto, l’adorazione.
Non posso sostituirmi a Dio.
Né, tanto meno, ho il diritto di dominare la tua coscienza,
calpestare la tua libertà.

Ti voglio in piedi («Alzati!»), dipendente dall’Unico Signore,
e perciò sovranamente libero.
Non ti devi «consegnare» a me,
né io ho il diritto di essere il tuo «padrone»,
neppure nell’ambito della fede.

Si noti che su questa stessa linea, nella sua I Lettera,
Pietro si farà premura di avvertire severamente i pastori
a non «spadroneggiare sulle persone» a loro affidate (5,3).

3. «Anch’io sono un uomo!», e perciò creatura debole, fragile, tentata.
Proprio come te. E non un eroe inossidabile.
Non sono che un uomo! Perciò “bisognoso” dell’amore compassionevole di Dio.

Pietro, con questa frase,
ci fa capire che l’amore è tanto più convincente,
quanto più è debole, disarmato, povero.

Non illudiamoci di “stupire” il mondo
con le nostre imprese grandiose.

Lo stupore può nascere soltanto di fronte a uomini
che, puntando tutto, esclusivamente, sull’amore,
lasciano intravvedere le meraviglie di quel Dio
il quale risulta vittorioso nel suo gioco – che è la cosa più seria nel mondo-
servendosi di mezzi che sembrano sempre “perdenti”.

Foto: Bernardo Cavallino, San Pietro e il centurione Cornelio / pinterest.it

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