Mt 5-13-16

Mt 5-13-16 – Domenica V del Tempo Ordinario – Anno A

 

Mt 5-13-16 – Il Vangelo odierno funge da cerniera
tra il brano delle «Beatitudini» (domenica scorsa)
e ciò che segue
(i Vangeli delle prossime due domeniche),
ed è fondamentale tener presente ciò perché,
se preso da solo,
esso risulta estremamente enigmatico.

Questo fatto non deve stupirci
in quanto siamo noi, oggi,
a leggerlo come brano a sé stante,
ma nell’opera evangelica esso è parte
di un unico discorso, il discorso della montagna,
che Matteo propone come caratterizzato
da un’accentuata «unità».

Alcuni esegeti arrivano, infatti,
con una certa ragionevolezza,
a considerare i versetti
immediatamente precedenti (vv. 11-12)
come l’inizio del nostro brano
anziché come l’ultima delle beatitudini.

Mt 5-13-16 – La questione del destinatario

Si diceva, all’inizio, che questo Vangelo
fa da cerniera tra ciò che lo precede
e ciò che lo segue,
ma, nello stesso tempo,
si differenzia rispetto ad essi:

non continua nello stile delle beatitudini,
né tantomeno si concentra esplicitamente
sulla legge (tema centrale nei Vangeli successivi).

D’altra parte,
il nostro brano ha con il suo contesto
un legame molto stretto

In effetti, si nota subito che il discorso
è rivolto esplicitamente
agli stessi interlocutori dell’ultima beatitudine
(continua infatti l’uso della seconda persona plurale)

e inoltre si conclude anche con un richiamo
alle «vostre opere buone»
con cui si sposta l’attenzione sull’agire cristiano
e quindi sulla Legge
(tema centrale dei Vangeli successivi)

Mt 5-13-16 – A chi si rivolge Gesù

A chi si sta rivolgendo Gesù?
Chi sono questi «voi» del nostro brano
ma anche dell’ultima beatitudine?

In Mt 5,1, prima dell’inizio
del discorso della montagna, si è letto:
«Vedendo le folle, Gesù salì sul monte:
si pose a sedere e si avvicinarono a lui
i suoi discepoli».

Quindi il «voi» può fare riferimento
alle folle in genere,
oppure al solo gruppo dei discepoli/apostoli.

Per evitare di complicare il ragionamento
si può qui anticipare che il «voi»
dell’ultima beatitudine,
e quindi del nostro brano,
è riferito ai discepoli

Limitiamoci, pertanto, a notare
che l’ultima delle beatitudini
mal può essere applicata alle folle
come gruppo indistinto:

la persecuzione e la falsa accusa
molto più facilmente sono riferite
a persone singole o a gruppi
di persone ben definiti
(come le prime comunità cristiane).

La parola «discepoli» in Mt compare,
per la prima volta, all’inizio
del «Discorso della montagna» (5,1),
e a loro si riferisce l’ultima beatitudine
che non può essere considerata “attraente”
visto che parla di persecuzioni,
oltraggi e calunnie.

Certamente non sono queste avversità
a costituire la missione del discepolo,
d’altra parte, sono presentate
più come una certezza per il discepolo
(si pensi anche al richiamo ai profeti
alla fine della beatitudine)
che come una possibilità più o meno remota.

Perché queste persecuzioni, oltraggi e calunnie
sono date quasi per scontate per i discepoli,
e perché Gesù
accosta il trattamento a loro preannunciato
a quello ricevuto dai (veri) profeti?

La risposta è nel nostro brano
ed è espressa con due immagini:
quella del sale e quella della luce.

Chi sono i discepoli?

Mt 5-13-16 – «Voi siete il sale della terra» (v. 13a)

La prima immagine, quella del sale,
non è per molti di immediata comprensione.

Il sale ha una sua funzione, dice Gesù,
quella di insaporire,
e può svolgere la sua funzione
solo perché ha un suo “specifico” sapore:
il salato.

Proprio perché il suo sapore è “specifico”,
nell’assurdo caso in cui lo perdesse,
con nessun’altra cosa glielo si potrebbe restituire
e diverrebbe quindi inutile.

Così è il gruppo dei discepoli
(Gesù parla al plurale):
questi non possono che avere un “sapore specifico”,
che li differenzia da chi discepolo non è
(e quindi non ha quel sapore).

Il discepolo è sale «della terra»,
in quanto è sulla terra
che svolge la sua missione
ed è rispetto agli altri uomini della terra
che manifesta la sua peculiarità.

Questa diversità tra i discepoli e gli altri
provoca quello che Gesù annuncia
nell’ultima beatitudine: disprezzo, calunnia,
persecuzione a causa del nome di Gesù.

In questo trova la sua motivazione
anche il richiamo ai profeti
che hanno subito la stessa sorte
perché si sono mantenuti fedeli a Dio
e alla missione che aveva loro affidato
ed erano per questo scomodi
(cf Ger 26,7-10; Am 7,10-17).

Lo specifico del discepolo
è ciò che provoca l’avversione degli altri,
ma, allo stesso tempo, è
ciò che ne giustifica la missione:
se – anche a motivo della persecuzione –
rinunciasse alla sua missione,
sarebbe «inutile».

Mt 5-13-16 – «Voi siete la luce del mondo» (v. 14)

La seconda immagine, quella della luce,
si affianca alla prima e la integra.

Precedentemente Mt – citando Is 8,23-9,1 –
aveva usato l’immagine della luce
per indicare l’azione di Gesù che illumina
«il popolo che abitava nelle tenebre» (Mt 4,16).

Ora nel nostro brano,
quella stessa immagine è usata per i discepoli
che diventano partecipi della missione del Maestro
che li ha chiamati e costituti come discepoli
(cf Mt 4,18-25).

Anche per loro, non solo per Gesù,
vale la doppia profezia di Isaia
«io ti renderò luce delle nazioni»
(Is 49,6 e anche Is 42,6).

I discepoli, “come e con” il loro Maestro,
siano chiamati ad essere luce del mondo,
ossia devono essere immediatamente riconoscibili
come discepoli di Cristo,

e la loro missione deve essere “pubblica”
il loro non può essere un discepolato privato,
intimistico, così come non ha senso, è inutile,
una lampada posta sotto il moggio.

Mt 5-13-16 – «Così risplenda la vostra luce…» (v. 16)

Nell’ultimo versetto del nostro brano
è sintetizzato l’insegnamento di Gesù:

il richiamo all’aspetto “pubblico” del discepolato
(immagine della luce) è esplicitato
dall’uso dei verbi «risplendere» e «vedere»,
mentre la sottolineatura delle «opere buone»
richiama lo specifico del discepolato
(immagine del sale).

Queste opere sono espressione
degli atteggiamenti espressi nelle beatitudini,
sono le opere che esprimono la fede
e la partecipazione alla missione del Maestro
(primo povero in spirito, primo perseguitato ecc.).

Le opere buone sono l’espressione fattiva, pratica,
della fede e dell’amore.
Questo è lo specifico del discepolo:
vivere le beatitudini in pienezza e con amore,
non per mostrare se stessi ma per la gloria di Dio.

O il discepolo assume questo programma di vita
o semplicemente non può essere considerato tale;
la serietà di questo discepolato diverrà evidente
nel prosieguo dei prossimi due Vangeli
(si pensi, ad esempio, all’amore per il nemico).

Il discepolo, pertanto, è chiamato a vivere
in pienezza la sua vita sulla terra (di cui è sale)
e nel mondo (di cui è luce) differenziandosi,
per la bontà delle sue azioni,
dagli altri per guidarli a Dio.

Non c’è contrapposizione
tra questo ultimo versetto e l’invito
a compiere le buone azioni nel segreto
di Mt 6-1-8, perché differente,
anzi addirittura opposta,
è la motivazione alla base dell’azione:

qui è ben specificato
che il discepolo agisce per la «gloria di Dio»,
mentre in Mt 6,1 si parla di azioni compiute
«per essere ammirati da loro [dagli uomini]».

Per questo commento
mi sono ispirato principalmente
a «Servizio della Parola»,
8 gennaio – 19 febbraio 2023,
n. 544, pp. 125-129.

Foto: Henrik Olrik, Sermon on the Mounth /
pinterest.jp

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