Mt 3

Mt 3,1-12 – Domenica II di Avvento – Anno A

 

Premessa

Mt 3 – Tutti gli evangelisti presentano
l’attività del Battista come una preparazione
a quella di Gesù.

Ognuno di essi, tuttavia, lo presenta
da un suo punto di vista, e i diversi aspetti
di questa figura singolare ci offrono
altrettanti elementi al fine di riconoscere
la sua straordinaria personalità.
Oggi vediamo come Matteo presenta Giovanni.

Mt 3,1 – «In quei giorni»

Il nostro brano si apre con la formula «In quei giorni»,
che appare soltanto qui, unica volta in tutto il vangelo.

Con questa indicazione temporale,
Matteo crea un collegamento strettissimo
tra i racconti dell’infanzia di Gesù (Mt 1-2)
e la comparsa di Giovanni.
Matteo non vede alcuna cesura tra le due storie
che avvengono più o meno a distanza
di una generazione; al contrario, intende collegarle.

Mt 3,1 – «venne Giovanni il Battista
e predicava nel deserto della Giudea»

Matteo non fornisce dati biografici su Giovanni,
come fa Luca (1,5-25.57-66.80), né lo inserisce
nei giorni della storia universale (Lc 3,1-2).
La sua presentazione di Giovanni è davvero sobria.

Anzitutto, il verbo paragìnomai (venne) con cui Giovanni
appare sulla scena è lo stesso usato per l’arrivo di Gesù
al Giordano (Mt 3,13). Inoltre, Giovanni non è indicato
solo attraverso il suo nome, che significa “Dio fa grazia”,
ma con l’epiteto di baptistés, letteralmente “l’immergitore”,
il «Battista».

Infine, ci viene detto che Giovanni
predica nel deserto della Giudea.
Non si tratta del deserto del Sinai,
ma del deserto della Giudea, a est di Gerusalemme,
che scende gradatamente verso il Mar Morto;
non un deserto di sabbia,
ma un deserto di roccia, montagnoso.

La collocazione non è casuale: infatti per Israele
il deserto è un luogo denso di significati.

Si tratta del luogo del già e del non ancora:
già fuori della schiavitù e non ancora nella libertà.
È il luogo del cammino e del dubbio, dell’ascolto
e della ribellione, della fiducia e del peccato.

Il deserto è il luogo dell’essenzialità
ed è nel deserto che Yahweh ha parlato al suo popolo
anzi lo ha “fatto” suo popolo.

Sotto la guida di Giosuè il popolo aveva attraversato
il Giordano al fine di approdare alla Terra promessa.
Ora, Israele, preparato da Giovanni e guidato da Gesù,
attraverserà il Giordano in vista del «regno dei cieli»,
che è la «nuova terra».

L’attività di Giovanni, pertanto, è quella di predicare.
Che cosa?

Mt 3,2 – «dicendo: “Convertitevi»

Il contenuto della predicazione di Giovanni
è semplicissimo: «Convertitevi».
In greco il verbo è metanoeìn, da cui deriva
il sostantivo metànoia, «conversione».

Occorre, però, togliere al termine «conversione»
l’incrostazione moralistica che vi si è sovrapposta,
al fine di restituirgli il significato originale
di cambiamento di mentalità, inversione di rotta.

È l’esigenza di un ri-orientamento della propria esistenza,
di cui la condotta è semplicemente conseguenza
ed espressione concreta,
al fine di orientarla in direzione di Colui che, solo,
può dare significato alla nostra esistenza.

Gesù riprenderà l’appello di Giovanni
nel suo primo annuncio: «Il tempo è compiuto;
il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete
al Vangelo» (Mc 1,15). Successivamente, affiderà
ai suoi discepoli e quindi alla sua Chiesa lo stesso impegno:
«Nel mio nome saranno predicati a tutte le genti
la conversione e il perdono dei peccati» (Lc 24,47).

Ma perché cambiare mentalità?

Mt 3,2 – «Perché il Regno dei cieli è vicino».

È la prima volta che la formula «Regno dei cieli» appare
nel Vangelo secondo Matteo, peraltro usata soltanto
da questo evangelista.

Tale espressione non va confusa con quella
di «regno nei cieli», che significa regno di Dio.
Matteo, che scrive per una comunità di Giudei,
è attento alla loro sensibilità, e, tutte le volte che può,
evita di usare la parola Dio, che, come sappiamo,
gli Ebrei non scrivono e non pronunziano.

Allora «regno dei cieli» non significa un regno nell’aldilà,
ma la presenza di Dio qui e ora, per cui Dio stesso regna
e libera l’uomo da ogni schiavitù,
lo rende simile a se stesso, rendendolo figlio nel Figlio.

Con quale autorità Giovanni chiede la conversione?
Ossia chi lo autorizza?

Mt 3,3 – «Voce di uno che grida nel deserto»

Questo v., con la citazione profetica di Isaia,
mostra la sorgente di tale autorità.
Giovanni è colui che Dio ha scelto
per gli ultimi preparativi e ha il compito
di facilitare l’incontro tra Gesù e il suo popolo.

L’attività di Giovanni, anzi, tutta la sua persona,
sarà risposta a una vocazione, più che esercizio
di una professione.
Il valore della sua persona è tutto concentrato
nel suo nome che in ebraico significa «Dio fa grazia».

Mt 3,4 – «E lui, Giovanni,
portava un vestito di peli di cammello…».

Questo v. potrebbe sembrare un indugio fotografico,
quasi un tributo da pagare all’informazione
o, peggio, alla curiosità.

La presentazione esterna di Giovanni,
con il suo aspetto stravagante ed eccentrico,
rafforza invece il senso della sua missione.

Egli non concede nulla
che fuoriesca dal minimo indispensabile al fine di
soddisfare i bisogni primari (vestito e cibo),
tutto proteso alla realizzazione della sua missione.

La “fotografia” ci aiuta a capire
che Giovanni impegna tutto se stesso
nella sua missione, senza riservare nulla per sé.
In altre parole, egli, alieno da qualsiasi autoriferimento
e quasi incurante di sé, è un autentico altruista,
perché tutto sbilanciato verso Gesù.

Segue la positiva reazione del popolo
alla predicazione di Giovanni:

Mt 3,5 – «Allora Gerusalemme, tutta la Giudea…»

Non pare neppure ipotizzabile
che i 30.000 abitanti di Gerusalemme – a tanto ammontava
la popolazione della città santa ai tempi di Gesù – e tutta
la popolazione della regione si riversassero sulle rive
del Giordano, in prossimità del deserto.

Siamo chiaramente in presenza di un’iperbole,
figura retorica presente in tutte le letterature,
capace di esprimere con enfasi un’idea.
Al di là della forma, il testo intende rilevare
la benevola e pronta accoglienza
riservata alla predicazione del Precursore.

Mt 3,6 – «E si facevano battezzare da lui
nel fiume Giordano, confessando i loro peccati»

Senza entrare in dettagli e approfondimenti teologici,
si può dire che il battesimo di Giovanni
non ha un valore sacramentale come il nostro battesimo,
né che la confessione dei propri peccati di fatto li perdoni.

I due segni – l’ammissione delle proprie colpe
e l’acqua ricevuta – sono invece corpose espressioni
di volontà di cambiamento.
Le persone sono pertanto preparate da Giovanni
a ricevere Colui che veramente potrà trasformarle.

Mt 3,7-10 – «Vedendo molti farisei e sadducei…»

Il senso profondo del battesimo di Giovanni
è affidato al rimprovero che egli rivolge ai farisei
e sadducei, registrato con parole non tenere
ai vv. 7-10: «Razza di vipere!…».

Il suo battesimo
non va annoverato tra i gesti puramente formali,
né è assimilabile a una di quelle abluzioni rituali
che alcuni osservanti ebrei erano soliti fare.

Il battesimo di Giovanni impegna la vita,
è il segno di quella volontà di cambiamento
che egli aveva richiesto, fino dalla sua prima parola:
«Convertitevi!».

Il poco lusinghiero titolo di «razza di vipere»
condanna i “doppiogiochisti” che non hanno
le condizioni necessarie al fine di accedere
al rito di purificazione.

Né vale la giustificazione della figliolanza abramitica.
L’appartenenza al popolo ebraico
che si riconosce nel suo capostipite Abramo,
non è un talismano da esibire in alcune occasioni,
né, tanto meno, l’equivalente di una polizza assicurativa.

Essere figli di Abramo impegna in una coerenza di vita,
come appunto fece il grande patriarca.
In caso contrario, non c’è possibilità di salvezza.

Giovanni non si ferma qui e incalza.

Mt 3,10: – «da queste pietre
Dio può suscitare figli di Abramo»

I vecchi confini di Israele scricchiolano.
All’orizzonte si presenta un altro Israele,
che non si identifica più
con la comunità nazionale del giudaismo.

Giovanni continua annunciando
che il tempo stringe: «Già la scure…» (Mt 3,10):
pochi colpi e gli alberi cadranno di schianto.
È necessario affrettarsi e non perdersi in tentennamenti.

Le immagini si susseguono: frutti, alberi, scure.
Come la scure colpisce con precisione e inesorabilità,
così nessuno potrà sfuggire al giudizio.

Mt 3,11-12 – «Io vi battezzo nell’acqua…
ma colui che viene dopo di me..»

In questi versetti finali è fornita una sintesi
dell’immagine che Giovanni Battista
poteva avere del «veniente»
che sarebbe arrivato «dietro a lui»:

uno più potente, che avrebbe battezzato
non solo con l’acqua, ma col fuoco,
che avrebbe fatto pulizia dell’aia
e bruciato la paglia con fuoco eterno.

Tutto sommato, emerge una figura messianica
dipinta con toni accesi e violenti.

Si doveva trattare, nelle attese di Giovanni,
di un giudice che non avrebbe usato misericordia,
e che avrebbe portato con sé la soluzione più radicale
e risolutiva del problema del peccato,
ovvero l’estinzione di chi lo compiva.

Sebbene prevalgano le tonalità del giudizio,
Giovanni annuncia un messaggio positivo:
il grano non ha nulla da temere, lo attende il granaio.
L’approdo di chi vive una conversione fruttuosa
è la comunione con Dio.

Mt 3 – Conclusione

La grandezza di Giovanni consiste
nell’indirizzare le folle a Gesù.

Dobbiamo allora raccogliere
il suo prezioso insegnamento di ritirarci,
al fine di lasciare il posto a Colui
che solamente conta.
Dobbiamo altresì orientare a Lui
tutto il nostro essere e tutto il nostro agire.

Foto: Alessandro Allori, Predica del Battista,
1604, olio su rame (41 cm x 47,8),
Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze /
meisterdrucke.it

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