Mt 24

Mt 24,37-44 – Domenica I di Avvento – Anno A

 

Avvertimento

Mt 24 – Il linguaggio impiegato nel Vangelo di oggi
può dar luogo a interpretazioni stravaganti
(o addirittura a farneticazioni) sulla fine del mondo
e sui castighi di Dio; può anche essere ridotto
all’invito a stare sempre pronti, perché la morte
può giungere improvvisa e cogliere impreparati.

Queste interpretazioni hanno origine
dalla mancata comprensione
del genere letterario “apocalittico”,
che era molto usato al tempo di Gesù,
ma che è piuttosto alieno
dalla nostra mentalità e cultura.

Se poi, al fatto che il genere apocalittico
è attualmente per noi difficilmente comprensibile
si aggiunge il modo ardito con cui, a volte,
la liturgia taglia i testi biblici,
le cose si complicano ulteriormente.

Così le parole di Gesù,
estrapolate dal loro contesto,
appaiono piuttosto minacciose,
persino capaci di spaventare;
cosa che certo non rientrava nelle sue intenzioni
né corrispondeva al suo stile.

Mt 24 – Contesto

Il nostro testo è tratto
dal cosiddetto «discorso escatologico» di Matteo
(capp. 24.25), sulle realtà ultime
e il senso stesso della storia.

È l’ultimo dei cinque discorsi
del Vangelo secondo Matteo,
che insieme ai passi paralleli di Mc e Lc
è conosciuto come «apocalisse sinottica».

Ai suoi che lo invitano ad ammirare il tempio
come emblema di bellezza e di eterna durata (Mt 24,1)
Gesù reagisce pronunciandone la fine (Mt 24,2).

Stupiti, i discepoli gli rivolgono allora due domande:
quando accadrà questo?
e quali saranno i segni premonitori? (Mt 24,3).

Invece di soddisfare la loro curiosità,
Gesù coglie l’occasione
per una grande istruzione sul futuro.

Mt 24,2: «Gesù disse ai suoi discepoli»

Il nostro cammino di discepolato
riprende con l’inizio di un nuovo anno liturgico;
e fin dall’inizio di questa «ripresa» liturgica,
la Chiesa, proponendoci questo brano di Matteo,
ci esorta a concentrarci sul nostro essere discepoli,
con tutto ciò che questo comporta
a livello personale e sociale.

Il Vangelo odierno è particolarmente «forte», anzi,
in certo passaggi l’impressione che esso suscita
è quella di un’ombra minacciosa
che si allunga su ogni persona.

Può il Vangelo essere così cinico
da esprimersi così soltanto per spaventarci?
Non credo proprio.

In realtà, si tratta di una tecnica letteraria
attraverso la quale il lettore è obbligato
a prendere in seria considerazione
la temperatura della nostra passione per Gesù.

Mt 24,37: «Come fu ai giorni di Noè»

Gesù ci rimanda a un particolare momento
della rivelazione biblica:
il racconto del diluvio (Gn 6,5-7,24).

L’attenzione non è però su Noè,
ma sull’atteggiamento interiore
dei suoi contemporanei.

Il nostro compito, allora, sarà quello di capire
che cosa, un tale atteggiamento, può insegnare
a coloro che desiderano essere
discepoli di Cristo ai giorni nostri.

Mt 24,38: «Nei giorni che precedettero il diluvio
mangiavano e bevevano, prendevano moglie
e marito, fino a quando Noè entrò nell’arca»

È interessante a questo proposito
il cambio di accento operato da Gesù
rispetto al testo di Gn 6,12.

Là, infatti, si sottolineava la corruzione
e la violenza dei contemporanei di Noè,
quali cause scatenanti la punizione divina.

Gesù invece
parla di gesti assolutamente normali,
anzi buoni e perfino doverosi,
come mangiare, bere, sposarsi, lavorare.

Segno evidente
che non intende attirare l’attenzione
su peccati particolari,
quanto piuttosto sull’unico grande pericolo.
quello di lasciarsi travolgere dalle cose,
dimenticando il rapporto con Dio.

Il richiamo di Gesù è quindi
sulla scarsa percezione e gestione dell’esistenza;
sull’ignoranza o indifferenza nella ricerca
dell’essenziale: quel Dio che magari
lamentiamo lontano, o addirittura assente,
ma soltanto perché nell’economia del quotidiano
non c’è posto per lui.

Mt 24,39. «non si accorsero di nulla
finché venne il diluvio e travolse tutti»

Il problema, secondo Gesù,
è che i contemporanei di Noè,
occupati com’erano
a risolvere i loro problemi quotidiani,
«non si accorsero di nulla
finché venne il diluvio»,
il quale, purtroppo, li «travolse tutti».

Il Vangelo di oggi vuole sottolineare
la distrazione con cui i discepoli di Cristo
possono vivere il loro presente.

Il rischio è quello di vivere l’enorme preziosità
del momento presente che ci viene dato
in maniera superficiale, distratta,
«di corsa», sempre con il piede sull’acceleratore,
non accorgendoci che Noè ha già terminata l’arca.
costruita con legno di cipresso (Gn 6,14).

Per i discepoli di Cristo, ciò potrebbe voler dire
che essi vivono la loro quotidianità
senza accorgersi che il Padre
ha già costruito l’arca che è in grado
di salvarci dai flutti del nostro peccato,
delle nostre debolezze, delle nostre infedeltà.

Quest’arca è Gesù,
«il Figlio dell’uomo»,
costruita con il legno della croce.

Mt 24,40-41: «Uno verrà portato via e l’altro lasciato…
una verrà portata via e l’altra lasciata».

Che significa?
Non è importante che cosa si fa,
ma come lo si fa.

L’aneddoto dei tre operai lo spiega bene.
Ci sono tre operai che stanno spaccando pietre.
A chi chiede loro cosa stiano facendo,
il primo risponde: “sto spaccando pietre”;
alla stessa domanda il secondo dice:
“sto costruendo una cattedrale”;
e il terzo: “sto salvando l’umanità”.

Anche se stanno facendo la stessa cosa, la fanno
in “modo” diverso: il primo mostra di considerare
quel lavoro di poco valore; il secondo confessa
la soddisfazione di guadagnarsi da vivere;
ma solo il terzo comprende il significato e il fine
del suo lavoro, trasformando così un’umile opera
in un progetto di valore utile alla collettività.

È il “come” che li differenzia:
un “come” che per il cristiano si traduce
con il fare tutto con amore (cf 1 Cor 16,13-14).

Mt 24,42-44: «Vegliate dunque»

La parte finale del testo è esortativa
e con tre imperativi dice
in che cosa consista la vigilanza: “vegliate”,
“cercate di capire” (lett.: “sappiate”), “siate pronti”.

La motivazione, anch’essa tre volte ripetuta,
è sempre l’ignoranza del giorno
e dell’ora in cui il Signore verrà.

Conclusione

L’accenno che Gesù fa di Noè,
permette pure di fare una considerazione.

Cos’è che ha salvato l’umanità dal diluvio?
L’arca, certo.
Ma ciò è stato reso possibile dal fatto
che almeno un uomo sulla terra, Noè,
non distratto da mille altre cose,
ha ascoltato la Parola di Dio
e l’ha messa in pratica:

«Noè eseguì tutto;
come Dio gli aveva comandato, così egli fece»
(Gn 6,22).

Ebbene, sì!
Ascoltare e vivere la Parola di Dio
contiene in sé la possibilità di collaborare con Dio
nel salvare il maggior numero di persone
da una vita oppressa dalla mancanza di senso.

Sappiamo due cose:
la prima, che l’umanità è già stata salvata da Cristo;

la seconda, che, facendo attenzione
a non lasciarci distrarre dal conformare la nostra vita
sulla Parola di Dio, noi diventeremo come tanti Noè
che collaborano con Dio, costruendo un’arca
capace di galleggiare sulle acque del non-senso
che sta inondando il nostro tempo.

E ciò affinché la Sua salvezza si estenda,
attraverso la nostra testimonianza,
a tutta l’umanità.

Foto: Simon de Myle,
L’arca di Noè sul monte Ararat,
570, Olio su tavola (114cm x 142cm),
Collezione privata / meisterdrucke.it

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