Mt 11

Mt 11,2-11 – Domenica III di Avvento – Anno A

 

Introduzione

Mt 11 – «Sei tu colui che deve venire
o dobbiamo aspettarne un altro?» (Mt 11,3).

Questa è una domanda due volte sconcertante.

Lo è anzitutto per il personaggio
che se la pone:
non era stato precisamente Giovanni
a riconoscere in quell’umile persona,
venuta da Nazaret a farsi battezzare al Giordano,
il vero Agnello di Dio,
sostanzialmente il Figlio di Dio in persona?

Ma la domanda suona sconcertante
anche perché, oltre a essere fuori luogo,
appare fuori… tempo.

Non è, dunque, l’Avvento il tempo liturgico
in cui la Chiesa rivive l’attesa di Gesù
come colui che doveva venire e di fatto è venuto,
nell’evento di più di duemila anni fa,

e che viene sempre nel sacramento,
al punto che fra poco ripeteremo le parole
che il Vangelo secondo Giovanni
prende espressamente dalle labbra del Battista:
«Ecco l’Agnello di Dio,
che toglie il peccato del mondo»?

Al fine di non rimanere anche noi disorientati
da questa domanda, dobbiamo ricostruire
non solo il contesto storico, esistenziale,
ma anche quello spirituale
da cui quella domanda proviene.

Mt 11 – Contesto storico

L’arresto di Giovanni Battista segna l’inizio
dell’attività pubblica di Gesù (Mt 4,12).

Il lettore, a questo punto del Vangelo secondo Matteo,
non sa ancora la motivazione della prigionia
che sarà svelata più tardi (Mt 14,3-4)
e cioè che Giovanni aveva condannato il concubinato
di Erode Antipa con Erodiade, moglie di suo fratello.

Secondo lo storico Giuseppe Flavio,
il carcere di Giovanni è la fortezza di Macheronte,
a 24 km a sud-est della foce del Giordano
sulla riva orientale del Mar Morto.

Mt 11 – Contesto spirituale

In carcere Giovanni Battista viene a conoscenza
delle «opere del Cristo» (Mt 11,2),
e manda a Gesù una delegazione dei suoi discepoli
con il compito di interrogarlo sulla sua identità:
«Sei tu colui che deve venire
o dobbiamo aspettarne un altro?» (Mt 11,3).

In questa situazione, in effetti,
Giovanni non sa più cosa pensare:
teme di essersi sbagliato, è perplesso.
Perciò va in crisi: una crisi pesante,
perché non è provocata dal carcere,
che pone fine alla sua missione e sfocerà nel martirio,
ma dalle opere stesse di Gesù.

Perché?
Si tenga presente la sua concezione
e la sua aspettativa del Messia
ricordata nel Vangelo di domenica scorsa.

Giovanni, infatti, aveva speso la propria vita
in funzione di «colui che doveva venire».
Ne aveva avvertito l’imminenza,
l’aveva annunziato, battezzato.

Soprattutto aveva predicato il pentimento
e una conversione radicale,
in vista di quel tremendo giudizio
che la comparsa del Messia avrebbe scatenato:
«Già la scure è posta alla radice degli alberi…
Egli tiene in mano la pala e… brucerà la paglia
con fuoco inestinguibile» (Mt 3,10.12).

Invece, niente!
Quando Gesù arriva non scatena alcun giudizio,
né pronuncia alcuna condanna:
niente fuoco né bastone né scure.

Anzi, per sette lunghi capitoli Matteo
non fa che raccontare
come Gesù andasse per città e villaggi
al fine di annunciare la buona notizia
della vicinanza amorevole di Dio;

a predicare la mitezza, a guarire i malati;
e non solo a perdonare i peccatori:
ma perfino a mangiare e bere con loro.

Certo, il Messia compie delle opere.
Ma non sono quelle che si aspettava il Precursore
e, con lui, molta gente del tempo.
Logico, quindi, prima lo sconcerto,
poi il dubbio da parte di Giovanni.

Mt 11 – Una precisazione

Per correttezza e completezza, va ricordato
che alcuni esegeti seguono una linea più morbida,
timorosi di attribuire qualche dubbio a Giovanni.

La domanda, secondo loro,
sarebbe formulata appositamente da Giovanni
perché i suoi discepoli
ascoltino direttamente da Gesù la risposta
e si convincano così della sua identità messianica.
Insomma, il dubbio graverebbe sui discepoli
e non su Giovanni.

Pur rispettando questa interpretazione,
che rimane possibile,
è preferibile pensare che il dubbio
sia soprattutto di Giovanni.

Il dubbio, al pari della tentazione, infatti,
non comporta necessariamente una negatività:
esso è certamente segno di incompletezza
e può essere la strada corretta
al fine di orientarsi alla meta.
Il dubbio denota intelligenza, capacità di porsi
e di porre domande in vista di una soluzione.

Ben venga, pertanto, il dubbio se diventa lo scalino
per salire la scala della comprensione,
e, nel nostro caso, della migliore comprensione
della identità di Gesù.

A questo punto, non solo si spiega la domanda di Giovanni,
ma si capisce anche il perché la Chiesa ci proponga
la sua domanda proprio in questo tempo di Avvento.

Ovviamente noi aspettiamo di celebrare,
nel prossimo Natale, la venuta di Gesù come il Messia,
ma la domanda che ci dobbiamo porre è:
che specie di Messia noi crediamo che sia Gesù?
In altre parole, il nostro tipo di Messia
corrisponde alla vera identità di Gesù?

Mt 11 – La risposta di Gesù

«Andate e riferite a Giovanni
ciò che udite e vedete…
e beato colui che non trova in me
motivo di scandalo» (Mt 11,4-6).

Alla domanda «Sei tu?»,
non segue una risposta diretta,
formulata con uno sbrigativo «sì» o «no».
Gesù, invece, rinvia alle sue opere:

«I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano,
i lebbrosi sono purificati, i sordi odono,
i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo»
(Mt 11,5).

In altre parole, Gesù dice che i suoi gesti
sono evidentemente l’adempimento
dell’attesa anticotestamentaria
della reintegrazione dell’uomo.
Questo è il Messia secondo la profezia di Is 61,1-3
e la realizzazione di Gesù.

Gesù conclude la sua risposta con una beatitudine,
la decima che si incontra nel Vangelo secondo Matteo:
«Beato colui che non trova in me
motivo di scandalo» (Mt 11,6).
Chiaramente un dolce invito a Giovanni
a rivedere le sue convinzioni teologiche.

Mt 11,7-11 – Elogio di Gesù per Giovanni

Se nel Vangelo di domenica scorsa era Giovanni
che parlava di Gesù, il «più forte»,
ora le parti si invertono
ed è Gesù che parla di Giovanni.

Mentre gli inviati di Giovanni se ne vanno,
Gesù si rivolge alle folle e fa l’elogio di Giovanni.
La sua è dunque una testimonianza pubblica
e, potremmo aggiungere, ufficiale.

Il discorso si compone di domande
rivolte agli ascoltatori.
Le prime due sono retoriche,
in quanto contengono già una chiara risposta.

Le folle non sonno andate nel deserto
al fine di vedere una canna agitata dal vento
o un uomo riccamente vestito.

L’inflessibilità di Giovanni non assomiglia certo
al fluttuare di una canna agitata dal vento
e l’austerità della sua vita lo tiene ben lontano
dalla vita mondana di coloro che vivono a corte.
La folla si recava da Giovanni
nella convinzione di incontrare un profeta.

Gesù fa sua questa opinione del popolo e la supera:
«Dunque, che cosa siete andati a vedere?
Un profeta? Sì, io vi dico,
anzi, più che un profeta» (Mt 11,9).

Giovanni, pertanto, è più di un profeta,
perché è il precursore del Messia.
Valgono a supporto le due citazioni bibliche
di Es 23,20 e Ml 3,1 riportate nel testo.
Esse alludono al messaggero ultimo,
mandato a preparare la strada al Messia-Cristo.

Mt 11,11 «Fra i nati di donna…
nessuno è più grande di Giovanni;
ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui».

Il Vangelo di oggi si chiude
con questo versetto, di non facile comprensione,
ma è il più importante perché riporta
la valutazione dello stesso Gesù,
solennemente introdotta da: «In verità vi dico».

Il lusinghiero giudizio afferma che,
Giovanni Battista è il più grande.
Ma subito, un imprevisto «ma» aggiunge
una sorprendente limitazione: «il più piccolo
nel regno dei cieli è più grande di lui».

Potrebbe sembrare un “dare e togliere”,
lasciando alla fine un nulla di fatto.

In realtà, Gesù sta catechizzando i suoi ascoltatori,
aiutandoli a stabilire una corretta gerarchia di valori.
Con la venuta del Messia è iniziato il tempo nuovo
della salvezza definitiva:
chi vi appartiene entra nel dinamismo di una dignità,
che è di gran lunga superiore
alla dignità di essere il precursore.

Qualcosa di analogo avviene
quando una donna esclama:
«Beato il grembo che ti ha portato»,
alla quale Gesù risponde alzando il tiro:
«Beati piuttosto coloro
che ascoltano la parola di Dio
e la osservano» (Lc 11,27s.).

La grandezza di Maria sta più
nell’aver aderito pienamente alla volontà divina,
che nell’aver generato fisicamente Gesù.

Gesù non stabilisce una graduatoria
basata sulla santità e sulla perfezione personale,
ma invita a verificare la superiorità
della condizione del discepolo.
È il legame a Cristo, pertanto,
che fa la differenza di qualità.

Foto: San Giovanni Battista in carcere,
disegno forse di Guercino (Giovanni Francesco
Barbieri, 1591-1666), inchiostro marrone
e inchiostro di ferro gallico con lavaggio marrone
20,5 x 25,6 cm). Dono di Nathan V. Hammer
al Princeton University Arte Museum / christian.art

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