Mt 11-25-30

Mt 11-25-30 – XIV Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

 

Contesto

Mt 11-25-30 – All’inizio della vita pubblica,
Gesù ha suscitato parecchi entusiasmi
e ha avuto un notevole successo.
Presto però sono cominciati i conflitti,
le incomprensioni e le ostilità.

Molti discepoli, sconcertati dalle sue proposte,
si sono scoraggiati e lo hanno abbandonato (Gv 6,66).
Persino i suoi familiari
si sono sempre mostrati piuttosto diffidenti (Gv 7,5).
Con lui è rimasto soltanto
un gruppo sparuto di discepoli.

Il Vangelo di oggi
costituisce l’epilogo di un capitolo
carico di tensioni e polemiche.

Si è aperto
con la crisi di fede del Battista
che ha inviato alcuni discepoli
a chiedere a Gesù: «Sei tu
colui che deve venire
o dobbiamo aspettarne un altro?» (Mt 11,3);

è continuato
con il pesante giudizio di Gesù
sulla sua generazione (Mt 11,16-19)
e con le minacce: «Guai a te, Corazin!
Guai a te, Betsàida!» (Mt 11,21-24).

A metà della vita pubblica
il bilancio non poteva
che essere considerato deludente.
Di fronte a un simile fallimento
noi avremmo lasciato cadere le braccia,
Gesù invece si rallegra e benedice il Padre
per quanto è accaduto.

«In quel tempo, Gesù disse» (v. 25).

Mt 11-25-30 – Il Vangelo di oggi
è introdotto da una formula solenne,
che serve a sottolineare l’importanza
di quanto verrà detto.

Letteralmente bisognerebbe tradurre:
«In quel tempo rispondendo Gesù disse».
Ciò che Gesù dirà
è una risposta all’atteggiamento di coloro
che si chiudono al suo annuncio.

«Ti benedico, Padre,
Signore del cielo e della terra» (v. 25)

Mt 11-25-30 – Si tratta
di una delle poche preghiere di Gesù
riportate dai vangeli, e in cui
rivela la sua intimità con il Padre.

Nel nostro brano
il termine Padre è utilizzato
per ben cinque volte.

Dovrebbe essere l’equivalente
dell’aramaico «Abbà»,
che ritroveremo sulla bocca di Gesù
nella drammatica preghiera dell’orto
(cfr. Mc 14,36)

ed esprime
la confidenza affettuosa dei piccoli
verso il loro papà; qualcosa come «papà mio,
papy», che gli Ebrei non hanno mai usato
nelle loro preghiere.

Gesù, nonostante il contesto di rifiuto
e di chiusura che sembra sul punto
di soffocare la Buona Novella,
riesce a vedervi
l’agire misericordioso del Padre.

È l’invito ad avere sempre
uno sguardo sulla realtà
capace di andare oltre le apparenze,

uno sguardo che sa vedere
in ogni situazione della propria vita,
anche quella più fallimentare,
un Dio Padre capace
di agire indipendentemente
dalle condizioni oggettive
che si vengono a creare.

«perché hai tenuto nascoste queste cose
ai sapienti e agli intelligenti
e le hai rivelate ai piccoli» (v. 25)

Mt 11-25-30 – Oggetto della rivelazione divina
è un generico «queste cose» che prende
contorni definiti e consistenza al v. 27.

Prima di aprirne il contenuto,
sono precisati i destinatari:
i «piccoli» posti in chiara opposizione
«ai sapienti e agli intelligenti».

Sono categorie antitetiche
che si differenziano grandemente,
per il loro rapporto con Dio.
I primi piacciono a Dio,
come lascia intendere il v. 26,
gli altri no.

***

I «sapienti» e gli «intelligenti»
sono spesso citati insieme nella Bibbia
e, molte volte, in senso peggiorativo.

Sono coloro che si professano
ricercatori devoti della sapienza,
che pensano addirittura
di averne il monopolio, mentre, in realtà,
si arrovellano in stoltezze
e si dilettano con vane disquisizioni.

Si tratta di quelle persone
che si sentono in grado
non solo di giudicare Giovanni Battista
come un indemoniato (Mt 11,18),

ma anche ergersi a giudici
del comportamento di Gesù stesso:
«Ecco un mangione e un beone,
amico dei pubblicani e dei peccatori» (Mt 11,19).

I «piccoli», invece, sono coloro
che hanno fatto esperienza
delle proprie fragilità,
della difficoltà a vivere con coerenza
la propria giornata;

si caratterizzano
per la loro capacità di accogliere
con gratitudine e umiltà
la semplicità e l’apparente povertà
delle parole del Vangelo.

«Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te» (v. 26)

Mt 11-25-30 – Poi Gesù aggiunge
che questo fatto rientra
nel progetto del Padre.

Questa affermazione di Gesù
veicola una rivelazione enorme.

È profondamente radicata la convinzione ù
che Dio sia amico solo dei buoni e dei giusti,
che prediliga chi si comporta bene
e sopporti a fatica chi pecca.
Ma questo è il Dio creato dai «saggi»
e dagli «intelligenti», è il prodotto
della logica e dei criteri umani.

Il Padre di Gesù, invece.
va a riprendersi coloro
che noi gettiamo nella spazzatura,
predilige chi è disprezzato,
chi non è considerato da nessuno,

i peccatori pubblici (Mt 11,19)
e le prostitute (Mt 21,31)
perché sono i più bisognosi
del suo amore.

Probabilmente, san Paolo
pensava a queste parole di Gesù
quando ebbe a dire che:

«Dio ha scelto
ciò che nel mondo è stolto
per confondere i sapienti,
Dio ha scelto
ciò che nel mondo è debole
per confondere i forti» (1Cor 1,27).

«Nessuno conosce il Figlio se non il Padre,
come nessuno conosce il Padre se non il Figlio
e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (v. 27)

Mt 11-25-30 – Questo versetto dà contenuto
al generico «queste cose» menzionato al v. 25.

Il vero e unico accesso a Dio è possibile solo
per Cristo, con Cristo e in Cristo,
qui presentato come il «Figlio»
in intima comunione con il Padre.

Il verbo conoscere nella Bibbia
non significa aver incontrato
o contattato alcune volte una persona,
vuol dire «avere avuto di lei
un’esperienza profonda».
Viene impiegato, per esempio,
per indicare il rapporto intimo
che intercorre fra marito e moglie (cf Lc 1,34).

Una conoscenza piena del Padre
è possibile solo al Figlio.
Tuttavia, egli può comunicare
questa sua esperienza a chi vuole.

Chi avrà la disposizione giusta
per accogliere la sua rivelazione?
I «piccoli», naturalmente.

«Venite a me, voi tutti, che siete affaticati
e oppressi, e io vi ristorerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi
e imparate da me, che sono mite
ed umile di cuore, e troverete ristoro
per le vostre anime. Il mio giogo infatti
è dolce e il mio carico leggero» (vv. 28-30)

Mt 11-25-30 – L’imperativo «venite a me»
dà l’intonazione a tutto il resto.
Andare da lui significa mettersi al suo seguito
e quindi essere alla sua scuola.
Non invita a una semplice aggregazione,
ma all’adesione al suo ideale di vita.

La legge di Dio è sì un giogo
e il saggio Siracide raccomandava al figlio:
«Introduci i tuoi piedi nei suoi ceppi,
il collo nella sua catena; piega la tua spalla
e portala… alla fine troverai in lei il riposo»
(Sir 6,24-28),

ma la religione predicata dai maestri d’Israele
l’ha trasformata in un giogo opprimente.
Per causa sua i poveri non solo
si sentono disgraziati in questo mondo,
ma anche rigettati da Dio
ed esclusi dal mondo futuro.

A questi poveri, smarriti e disorientati,
Gesù rivolge l’invito a liberarsi
dalla paura e dalla religione angosciante
che è stata inculcata in loro.
Accogliete – raccomanda – la mia legge, quella
che si riassume in un unico comandamento:
l’amore al fratello.

Non propone una morale più facile
e permissiva, ma un’etica
che punta diritta all’essenziale
e non fa sprecare energie
nell’osservanza di prescrizioni
«che hanno una parvenza di sapienza»,
ma che in realtà non hanno alcun valore.

Il suo giogo è dolce.
Anzitutto perché è il suo:
non nel senso che è stato lui a imporlo,
ma perché è lui ad averlo portato per primo.

È alla volontà del Padre
che Gesù si è sempre inchinato;
l’ha liberamente abbracciata,
mentre non si è mai lasciato imporre
precetti umani.

«Imparate da me che sono mite
e umile di cuore!» (v. 29).

Mt 11-25-30 – Forse questa affermazione
ci lascia un po’ perplessi
perché sembra un’autocelebrazione,
meritata, certo, ma poco opportuna.
Queste parole sono tutt’altro
che una vanteria!

«Imparate da me» significa semplicemente:
non seguite i maestri che la fanno da padroni
sulle vostre coscienze,
che predicano un Dio che non sta
dalla parte dei poveri, dei peccatori, degli ultimi
e insegnano una religione che toglie la gioia
con le sue pignolerie e assurdità.

***

Il Vangelo di oggi
è motivo di riflessione
sia personale che comunitaria.

Qual è il Dio in cui crediamo:
è quello dei «sapienti»
o quello rivelatoci da Gesù?

Per chi è segno di speranza la nostra comunità:
per chi è convinto di meritare i primi posti
o per chi si sente indegno di varcare
la soglia della chiesa?

Foto: Bambini che assemblano un puzzle /
cartoongroupitalia.it

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