Lc 2

Lc 2,1-14 – Natale del Signore – Messa della notte – Anno A

 

Premessa

Lc 2,1-14 – Il Vangelo della notte di Natale
presenta due momenti su tre
del racconto della nascita di Gesù.
Comprende, infatti, i vv. 1-7,
relativi alla nascita di Gesù nel suo contesto storico,
mettendo in scena Giuseppe, Maria e il bambino,
e i vv. 8-14 con l’apparizione angelica ai pastori.

Il terzo momento (vv. 15-20)
che si legge nella Messa dell’aurora,
è la conclusione del racconto,
ossia l’incontro dei pastori con il bambino.

Lc 2,1-5 – Il contesto storico

Il Vangelo di questa notte
inizia con un’ambientazione storica e geografica ben precisa.

È il tempo in cui a Roma regna Ottavio,
pronipote ed erede di Giulio Cesare.
Dopo gli interminabili orrori delle guerre civili,
egli ha finalmente ristabilito ovunque la pace.
Le sue vittorie e la magnificenza del suo regno
gli valgono già in vita il titolo di Augusto.
cioè «degno di venerazione».

A Priene, in Asia Minore,
è stata rinvenuta un’iscrizione, databile nell’anno 9 d.C.
in cui si dispone che l’anno abbia inizio il 23 settembre,
giorno della nascita di Augusto,
definito «salvatore di tutto il mondo».

È l’epoca d’oro della storia di Roma cantata da Virgilio.
Ma è anche il tempo del censimento di tutta la terra,
censimento che, dal punto di vista storico,
presenta non poche difficoltà.

Cesare Augusto vuole contare i suoi sudditi.
Tutti devono recarsi nella propria città di origine.

Da altre fonti, si sa che il decreto di Augusto,
in Palestina, ha l’effetto di produrre terrorismo,
disordini e insicurezza.
La successiva introduzione della tassazione
segna l’ora della nascita del movimento zelota,
che nel 66 d.C. porterà alla rivolta contro Roma.

Lc 2,1-4 – Prime considerazioni

Sebbene censire sia il segno
di un potere incondizionato sul popolo,
e cioè averne il pieno controllo,
Luca rivela che Augusto è un mero esecutore
di un piano superiore, che prevede la nascita
del Messia a Betlemme.

Inizia così, in modo misterioso,
il legame tra Roma e il Cristianesimo.

Pure offrendoci alcuni riferimenti storici,
peraltro, non sempre precisi,
Luca palesa un interesse più teologico che storico:
in sostanza vuole dirci che Gesù,
non si è solamente «incarnato»,
ma anche «storicizzato».

È cioè entrato a far parte di una storia concreta:
la nostra; fatta di volti riconoscibili
e di avvenimenti, piccoli e grandi.

C’è poi una contrapposizione persino polemica:
mentre il potere divinizza se stesso
al fine di dominare meglio gli uomini,
Dio si umanizza al fine di salvarli.

Lc 2,4 – Contesto geografico

Dopo aver menzionato il tempo di Cesare Augusto,
Luca indica il luogo in cui Gesù è nato: Betlemme.
È una città (in realtà un villaggio di pastori)
dei monti della Giudea.

Luca, inoltre, sottolinea che
«Giuseppe era della casa e della famiglia di Davide»
e che «salì in Giudea
alla città di Davide, chiamata Betlemme».

E qui c’è una sorpresa.
Nella Bibbia la città di Davide
è sempre stata Gerusalemme,
la capitale dove questo re ha iniziato il suo regno.
Secondo Luca, invece,
la città di Davide è Betlemme.

Perché? A Betlemme Davide era pastore,
a Gerusalemme era re;
e Luca vuol far comprendere
che colui che sta per nascere
non avrà i tratti del re,
ma i tratti del pastore.

Lc 1,6-7 – Il racconto della nascita

Dopo la precisazione di tempo e di luogo,
che costituiscono la cornice del Natale,
Luca racconta con estrema concisione
la nascita del bambino.

Tre brevi farsi descrivono il momento della nascita
e il comportamento di Maria.
Maria «partorisce» (come annunciato dall’angelo in 1,31),
a differenza di Elisabetta che «genera» (cf 1,13),
in quanto in Maria non c’è concorso di padre.

Maria dà alla luce il suo «figlio primogenito»:
questa annotazione biblica non comporta
la presenza di altri figli: si vedano i privilegi e i compiti
per il primo figlio indicati dalla legge di Israele (Lc 2,22-40).

Infine: «Lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia».
«Lo avvolse in fasce» è la cura per una nascita ordinaria,
nessun privilegio per il Figlio di Dio che, pertanto,
condivide in tutto la nostra condizione umana.

Il verbo «deporre», inoltre, ritorna alla fine del Vangelo
per il corpo morto di Gesù,
deposto in un sepolcro scavato nella roccia (Lc 23,53).

Lc 2,7 – «perché non c’era posto per loro nell’alloggio»

Se si tiene presente
quanto fosse sacra in Oriente l’ospitalità,
è del tutto inverosimile che Maria e Giuseppe
siano costretti a trovare riparo in una grotta
perché rifiutati dalle famiglie del luogo.

Il termine usato nel testo originale
non si riferisce all’albergo o al caravanserraglio,
ma una camera (verosimilmente l’unica)
della casa in cui Giuseppe e Maria
sono stati accolti.

Non era conveniente che il parto avvenisse
in una stanza che non offriva un minimo di riservatezza
(è questo verosimilmente il senso dell’espressione:
«non c’era posto per loro»).

Come doveva accadere alle partorienti povere,
anche Maria fu introdotta nell’angolo più interno
e recondito dell’abitazione,
quello in cui solitamente trovavano posto
anche gli animali.

Anche se il testo evangelico non parla del bue
e dell’asino (che sono stati suggeriti
alla pietà popolare da un testo di Is 1,3:
«Il bue conosce il proprietario
e l’asino la greppia del suo padrone»),
non è improbabile che vi fossero.

Luca sottolinea questi dettagli
al fine di mostrare che Dio – come è solito fare –
sovverte e i valori e i criteri di questo mondo.

Il Dio che gli uomini, anche oggi, si aspettano
è forte e terribile, capace di seminare il panico
e di farsi rispettare.
Ma questo non è Dio, è un idolo,
è la proiezione dei nostri meschini sogni
di grandezza e potere.

Il Dio che si manifesta in Gesù
è precisamente l’opposto: debole, indifeso,
si affida alle mani di una donna.

Questo non è un momento di passaggio
della sua rivelazione, una parentesi infelice
in attesa di riprendere successivamente
tutto il suo abbagliante splendore e tutta la sua forza.

In Gesù, adagiato nella mangiatoia,
è invece presente in pienezza il vero, eterno Dio,
«scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani»
(1 Cor 1,23).

Lc 2,8-14 – L’umile rivelazione della salvezza

Luca adesso sposta l’attenzione fuori da Betlemme,
all’aperto, nei campi e i personaggi sono altri:
i pastori e gli angeli

Lc 2,8 – «C’erano in quella regione alcuni pastori che,
pernottando all’aperto…
facevano la guardia al loro gregge».

Se questa vuole anche essere un’informazione,
allora Gesù non è nato in inverno
perché il gregge era custodito all’aperto
da marzo a fine ottobre.

Ma a noi non interessa molto sapere
in quale mese Gesù è nato.
Più importante è identificare chi sono coloro
che per primi riconoscono nel bambino,
avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia,
il Messia, il Salvatore.
Sono i pastori.

Come mai proprio loro?
Non perché spiritualmente meglio disposti.
Tutt’altro. A quell’epoca, secondo il Talmud,
uno dei testi sacri dell’ebraismo,
nessuna condizione al mondo
è disprezzata come quella del pastore.

I pastori, lontani dalla società civile, non erano pagati,
vivevano di furti, non avevano diritti civili.
Non potendo andare in sinagoga o al tempio
al fine di purificarsi, erano l’emblema,
l’immagine del peccatore impuro.
Per loro non c’era salvezza.

È a loro che è inviato il messaggero celeste,
non alle autorità religiose, civili e militari.

Lc 2,9 – «La gloria del Signore li avvolse di luce».

Luca smentisce tutta la teologia preesistente,
di un Dio che giudica, che minaccia o che castiga.
Quando Dio si incontra con i peccatori
non fa altro che avvolgerli con la sua luce,
la luce del suo amore.

Ma i pastori non lo sanno,
e infatti, scrive l’evangelista «furono presi da grande timore»,
perché sapevano quello che li aspettava,
«ma l’angelo disse loro:
“Non temete: ecco, vi annuncio un grande gioia”».

E qual è la grande gioia?
Che «nella città di Davide è nato per voi»,
è nato chi? Il giustiziere, il messia castigamatti?
No, «un Salvatore, che è Cristo Signore».

A noi questo annuncio ormai dice poco o nulla.
Se tenessimo presente che all’epoca le parole
«buona notizia», «salvatore» e «signore»
erano quelle della campagna imperiale
al fine di celebrare il genetliaco di Cesare Augusto,
capiremmo il capovolgimento che l’angelo sta facendo.

Quel bambino nella mangiatoia
è il vero salvatore, è Dio.
L’uomo cerca di farsi dio con l’apoteosi
e Dio si fa uomo con l’incarnazione.

Lc 2,13-14 – «Una moltitudine
dell’esercito celeste lodava Dio…»

Gli angeli ricordano la nascita di Gesù
e ne dichiarano il duplice effetto:

nell’alto, è la gloria di Dio,
gloria fatta di potenza e bontà luminosa
nei confronti degli uomini;
sulla terra, questo porta la pace,
che è pienezza di vita e di armonia per gli uomini,
che sono oggetto di compiacimento di Dio.

L’errata traduzione in passato
era «agli uomini di buona volontà».
Quindi era una traduzione che era basata sul merito:
le persone che meritano ricevono,
quelle che non meritano non ricevono.

No, l’amore di Dio, che si manifesta
nel desiderio che gli uomini siano pienamente felici,
riguarda tutta l’umanità
perché ogni uomo è amato dal Signore.

Non c’è nessun uomo – questo è il messaggio –
qualunque sia la sua condizione, il suo comportamento,
che possa sentirsi escluso dall’amore di Dio.

Foto: Francesco Salvatore Fontebasso,
Adorazione dei pastori, 1759,
Museo Diocesano Tridentino /
cultura.trentino.it

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