Gv 1

Gv 1,1-14a – Natale del Signore – Messa del giorno – Anno A

 

Premessa

Gv 1,1-14a – È un Vangelo immenso,
quello che abbiamo appena ascoltato:
ci invita a innalzarci al di là
dei particolari aneddotici e pittoreschi,
al fine di contemplare ciò che sottintende
il mistero della nascita di Gesù
e comprendere meglio il suo significato
e le conseguenze che ha nella nostra vita.

In principio il Lógos

Gv 1,1 – «In principio…»

L’inizio del prologo richiama esplicitamente quello
di Gn 1,1: «In principio Dio creò il cielo e la terra».
A differenza, però, di Gn, questo «In principio»
non segna l’inizio della creazione,
ma va riferito a una dimensione
temporalmente indeterminata,
che precede l’esistenza stessa del tempo,
cioè l’eternità, la dimensione propria di Dio.

In altre parole,
qui non c’è a tema l’origine delle cose
bensì ciò che la precede: prima del principio.

Gv 1,1 – «… era il Lógos»

La prima figura che compare «In principio»
è il Lógos (così nell’originale greco
che, letteralmente, significa “Parola”).
Nella versione italiana, invece, è tradotto
(dal latino) con Verbo.

Gv dice che egli «era»: l’imperfetto del verbo «essere»
solo nel primo versetto risuona per ben tre volte,
con tre accezioni diverse: il primo indica l’esistenza,
il secondo la relazione, il terzo è un predicato.

All’inizio, prima dunque della creazione dell’universo,
il Lógos era, esisteva fuori del tempo, da tutta l’eternità.
Egli era il Lógos di Dio, era rivolto verso Dio,
era Dio stesso.
Egli è il «Figlio unigenito» del Padre (cf Gv 1,14),
che da tutta l’eternità («in principio»)
è «presso Dio» ed è «Dio».

Comincia a profilarsi qui il mistero della Trinità,
anche se in questa fase
i componenti sono solo Padre e Figlio.

Gv 1,3 – «Tutto è stato fatto per mezzo di lui
e senza di lui non è stato fatto nulla,
di ciò che è stato fatto»

Dopo aver parlato del Lógos presso Dio, in se stesso,
ora si parla del Lógos nei confronti della creazione.

L’affermazione fondamentale di questo versetto
è che tutto ciò che ha avuto origine,
l’ha avuta per mezzo del Lógos del Padre.

Sono perciò nell’errore gli gnostici,
i quali considerano la creazione
opera di un demiurgo decaduto
e quindi del tutto negativa.

Se all’origine di ogni cosa vi è il Padre
che opera per mezzo del suo Lógos,
il mondo non è privo di senso
e non può che essere buono.

Gv 1,4 – «In Lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini»

Se il versetto precedente guardava in genere
a tutta la creazione, questo versetto si concentra
sul mondo degli uomini, grazie all’introduzione
dei temi della vita e della luce.

Se tutto il creato ha ricevuto l’esistenza
mediante il Lógos, agli uomini è stata offerta,
oltre alla vita fisica e biologica,
la possibilità di partecipare alla stessa vita di Dio.

Procedendo nel percorso identificativo del Lógos,
Giovanni aggiunge la definizione di «luce»:
«La vita era la luce degli uomini».

L’espressione «luce degli uomini» non ha a che fare
né con la pura vita biologica, né con la luce interiore,
con la razionalità o la coscienza che distinguerebbe
gli uomini dagli animali.

«Vita» e «luce» sono nomi del Lógos,
sono i nomi stessi di Gesù nel Vangelo secondo Giovanni.
Esplicitano entrambi ciò che il Lógos è in se stesso,
ma soprattutto per gli uomini:
vita che diventa luce e luce che indirizza alla vita.

Come senza la luce non è possibile alcun tipo
di vita fisica, così l’uomo non può avere accesso
alla pienezza della vita senza la luce,
quella vera che promana dal Lógos che viene nel mondo.

Gv 1,5 – «la luce splende nella tenebra,
ma la tenebra non l’ha vinta»

Giovanni opera qui il passaggio
dalla preesistenza del Lógos alla sua manifestazione storica,
perché i tempi dei verbi («risplende», «non l’ha vinta»)
trasferiscono il lettore su di un livello temporale
diverso dal versetto precedente,
segnato dall’imperfetto «era».

Concretamente ciò significa
che la luce ha brillato nel mondo con la venuta del Lógos,
ma brilla e continuerà a brillare per gli uomini,
nonostante la tenebra le si sia opposta
e continui a farlo in uno sforzo destinato al fallimento.

Il Lógos si è fatto carne

Gv 1,6-8 – «Venne un uomo mandato da Dio…»

L’evangelista, dopo la contemplazione dell’eternità divina
del Lógos e la sua presentazione come vita e luce dell’uomo,
introduce il lettore in una nuova tappa: quella
della realizzazione storico-terrena della missione di Gesù.
E lo fa attraverso la figura di Giovanni.

Egli è semplicemente un uomo.
L’unica qualifica che si dà di lui
è il suo essere mandato da Dio.
Il suo nome, che corrisponde all’ebraico Yohanan,
vuol dire «Dio ha fatto grazia», «ha usato misericordia».

Giovanni non è definito né Battista, né precursore,
ma «testimone» della luce, che apre alla speranza
e preannuncia la realizzazione.

Gv 1,9-11 – «La vera luce…
stava per venire nel mondo…»

Dopo l’inciso sul Battista, l’evangelista riprende l’inno
e descrive la dinamica di rapporto tra il Lógos
che viene nel mondo e il mondo stesso.

Si afferma anzitutto che questa luce,
che sta per venire nel mondo, è autentica
per l’incommensurabile potenza
della sua partecipazione all’essere di Dio.

Ebbene, questa luce stava per venire nel mondo,
che da questo momento in poi
diventa il teatro dell’azione di Dio nel Figlio.

Qui è ancora celato il modo
in cui la luce viene nel mondo;
soltanto il v. 14 chiarirà che il fatto è avvenuto
in modo mai udito prima: il Lógos è devenuto carne.

Benché fosse nel mondo, «il mondo non lo riconobbe»,
cioè gli uomini non hanno creduto nel Lógos incarnato,
riconoscendolo come luce, anzi lo hanno rifiutato
misconoscendo la sua iniziativa di salvezza.

Al rifiuto del mondo intero,
Giovanni ne aggiunge un altro ancora più grave:
«È vento fra la sua gente ma i suoi non l’hanno accolto»,
chiara allusione alla non accoglienza da parte di Israele.

Gv 1,12-13 – «A quanti però l’hanno accolto…»

Se il comportamento dell’umanità,
e in particolare quello di molti in Israele,
è stato di netto rifiuto del Lógos,
tuttavia, un «resto di Israele» lo ha accolto
e ha dato una positiva risposta al suo messaggio,
stabilendo un novo rapporto con Dio.

L’espressione «figli di Dio», rara nel NT,
appare più volte nel Vangelo secondo Giovanni.

Gv è l’unico autore che distingue nettamente
le due espressioni «Figlio di Dio»,
formula usata solo per Cristo
e «figli di Dio», formula usata solo per i cristiani,
ponendo così una netta distinzione tra la natura
del rapporto filiale con Dio di Cristo
e quello dei cristiani.

In questo versetto
ci sono due elementi da mettere in rilievo.
Anzitutto che la nostra figliolanza
è un dono ricevuto, una grazia di Dio.

Il fatto poi che venga adoperato il verbo «diventare»
e non il verbo «essere», vuol dire che la figliolanza di Dio
non è uno stato che si acquisisca in maniera istantanea
e una volta per tutte, ma un progetto sempre da realizzare.

Come si può accogliere
questo dono della filiazione divina?
«Credendo nel suo nome», ossia «avendo fiducia in lui»,
«affidandosi completamente» alla persona
che porta quel nome.

Anche se sinora non menzionato,
è evidente che il nome storico del Lógos
è quello di Gesù Cristo, come sarà esplicitato in Gv 1,17.

Anche qui il presente del verbo «credere» sottolinea
che il credere non è un atto effettuato una volta per tutte,
ma un processo che è sia premessa,
sia accompagnamento dinamico del divenire figli di Dio.

Gv 1,14 – «E il Lógos si fece carne»

Questo versetto è parallelo con i primi vv. del prologo:
il Lógos era Dio e qui si fa carne; lì era, e qui si fa;
lì era presso Dio, e qui «pose la sua tenda in mezzo a noi».

Giovanni non scrive, come ci saremmo aspettati,
“si fece uomo”, ma “si fece carne”!
La carne indica l’uomo nella sua debolezza,
la debolezza dell’esistenza umana.

L’espressione «pose la sua tenda in mezzo a noi»
sottolinea lo scopo dell’incarnazione:
Dio dimora con il suo popolo
non in modo passeggero, ma stabilmente.

Se nell’AT il luogo ideale
della presenza vivente di Dio
era il tempio o la tenda,
ora la sua presenza è nella vita stessa dell’uomo
e nella carne visibile di Gesù.

Con l’incarnazione Dio non è più da cercare,
ma da accogliere.
È un Dio che non solo è vicino,
ma un Dio che chiede a ogni uomo
di diventare l’unico vero santuario
dal quale irradiare il suo amore,
la sua santità e la sua compassione.

Dio non plasma più l’uomo con polvere del suolo,
come fu in principio, ma si fa lui stesso polvere plasmata.
Il vasaio si fa argilla di un piccolo vaso.

Da allora c’è un frammento di Dio in ogni carne.
C’è santità e luce in ogni vita.
Il Lógos entra nel mondo e porta la vita di Dio in noi.
Ecco la vertigine: la vita stessa di Dio in noi.

Foto: Antonio Balestra, Adorazione dei pastori,
1707 ca, olio su tela (564 cm x 261 cm)
Web Gallery of Art / it.wikipedia.org

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