Gv 11-1-45

Gv 11-1-45 – V Domenica di Quaresima – Anno A

 

Premessa

Gv 11-1-45 – Il racconto della risurrezione di Lazzaro
occupa quasi tutto il cap. 11
del Vangelo secondo Giovanni-

Eppure la parte dedicata al miracolo
è brevissima, due versetti soltanto (vv. 43-44);
il resto è costituito da una serie di dialoghi
che hanno lo scopo di aiutare il lettore
a cogliere il vero significato
del segno operato da Gesù.

L’antefatto (vv. 1-4)

Gv 11-1-45 – Giovanni presenta
i protagonisti della vicenda.

Sorprende come prima di menzionare
il nome dell’uomo chiamato Lazzaro
si faccia cenno alla sua malattia.

Dopo il nome dell’uomo,
si indica il luogo in cui vive: Betania,
un villaggio che si trova a poco meno
di tre chilometri da Gerusalemme.

Per identificare meglio
il luogo in cui abita Lazzaro,
Giovanni aggiunge
che si tratta dello stesso villaggio
delle sorelle Maria e Marta (v. 1).

Sorprende il fatto che Marta
non sia menzionata per prima
come avviene, invece, nei vv. 5 e 19.

Tale inversione è dovuta al fatto
che Giovanni vuole anticipare
la notizia dell’unzione di Gesù
da parte di Maria, e spingere il lettore
a ricercare la motivazione di tale azione,
che verrà narrata in seguito.

Ne risulta una famiglia piuttosto strana.
Non ci sono i genitori,
non si parla di mariti, di mogli, di figli,
ma solo di fratello e sorelle.

Inoltre, la famiglia di Betania scompare
senza lasciare alcuna traccia
nel Vangelo secondo Giovanni
e non compare più in tutto il resto del NT.

Nella simbologia giovannea, i tre
formano non solo un nucleo familiare,
ma una piccola comunità che crede in Gesù,
in cui non sono ammessi né superiori
né inferiori, ma solo fratelli e sorelle.

Dopo la presentazione di questa famiglia,
si dà l’avvio all’azione con l’iniziativa
delle sorelle di mandare qualcuno
a informare Gesù.
Questi è con i suoi discepoli
presso le rive del Giordano,
nella regione della Perea (cfr. Gv 10,40).

La notizia recapitata è lapidaria:
«Colui che tu ami è ammalato» (v. 3).
Non occorrono nomi né particolari:
la relazione di profondo amore
che lega Gesù a Lazzaro e la notizia
del suo essere gravemente infermo
possono bastare.

L’atteggiamento di Gesù (vv. 4-6)

Gv 11-1-45 – Invece di reagire emotivamente,
Gesù coglie una realtà trascendente
al di là della grave malattia: «Questa malattia
non è per la morte, ma per la gloria di Dio,
affinché, per mezzo suo, sia glorificato
il Figlio di Dio» (v. 4).

Anche nell’episodio del cieco nato,
Gesù diede una simile risposta: la cecità
è perché «si manifestino le opere di Dio».
I miracoli di Gesù non sono solo
gesti di carità verso chi ha bisogno,
ma fondamentalmente sono segni per le fede
e rivelano un Dio-amore.

Dopo aver ribadito i rapporti
di profonda intimità tra Gesù e i fratelli di Betania,
Giovanni registra un atteggiamento di Gesù
umanamente inspiegabile: invece di andare
dall’amico gravemente ammalato,
si ferma ancora due giorni nella località
oltre il Giordano, dove si era rifugiato (v. 6).

L’indicazione cronologia, se collegata con quanto
sarà detto più avanti, al v. 17, fa capire
che quando Gesù
riceve il messaggio di Marta e Maria,
Lazzaro era già morto.

All’evangelista, tuttavia, non interessa
evidenziare le ragioni relative all’atteggiamento
di Gesù in questa occasione, ma cogliere
la motivazione teologica che sta dietro
alla decisione del Maestro.

Egli si metterà in cammino verso Betania
quando ciò rientrerà nel progetto
e nella volontà del Padre, perché questo
andare a Betania coinciderà con il suo esodo
verso la croce e la gloria, come è sottolineato
giustamente dalle parole di Gesù stesso
che seguono nel testo.

Dialogo di Gesù con i discepoli (vv. 7-10)

Gv 11-1-45 – «Andiamo di nuovo in Giudea» (v. 7)
Il terzo giorno Gesù decide di mettersi in cammino.
Si noti, però, che in questo invito non si parla
di recarsi da Lazzaro.

Giovanni vuol mettere in risalto che questo
è l’ultimo viaggio di Gesù in Giudea
e, conseguentemente, che egli intende riprendere
il suo ministero a Gerusalemme
fino al giorno in cui là troverà la morte.
A questo esodo di sofferenza sono
chiamati anche i discepoli

La discussione, infatti, che questi avviano con Gesù,
si muove proprio in questa direzione: «Maestro,
poc’anzi i giudei cercavano di lapidarti,
e tu vai ancora là?» (v. 8).

Alla preoccupazione-incomprensione dei discepoli
Gesù risponde spostando l’angolo di visuale:
«Non sono dodici le ore del giorno? Se uno cammina
di giorno non incontra ostacolo, perché vede la luce
di questo mondo. Ma se uno cammina di notte
incontra ostacolo, perché gli manca la luce» (vv. 9-10).

Con un linguaggio figurato Gesù porta la sua riflessione
sul suo ministero e sulla sua missione nel mondo.
Sa che egli deve operare tra gli uomini,
nel tempo propizio, come lo è la luce durante il giorno.
Quando poi verranno le tenebre non sarà più possibile
svolgere la sua missione.

Incomprensione dei discepoli sulla morte (vv. 11-16)

Gv 11-1-45 – Il dialogo di Gesù con i discepoli
ritorna adesso sull’argomento principale,
che è la morte dell’amico Lazzaro: «Lazzaro,
il nostro amico, si è addormentato,
ma vado a svegliarlo» (v. 11).

Gesù indica la ragione del suo rimettersi in cammino
con un linguaggio volutamente equivoco,
che non è afferrato dai discepoli: egli conosce che
l’amico comune dorme e deve essere ridestato
dalla morte: la morte non è la fine di tutto,
ma solo un momento passeggero come il sonno.

I discepoli intendono le parole di Gesù
in senso materiale: «Signore, se si è addormentato,
si salverà» (v. 12), come a dire, se Lazzaro dorme,
il sonno lo aiuterà a ristabilirsi fisicamente.

Giovanni gioca con il verbo «si salverà»
(sòzo = liberare da un pericolo mortale):
i discepoli pensano alla guarigione dalla malattia;
Gesù allude, invece alla vera salvezza
che solo lui può dare (cfr. v. 13).

Ancora sul tema della morte

Gv 11-1-45 – Di fronte all’incomprensione dei discepoli,
Gesù parla chiaramente della morte di Lazzaro
per fugare ogni dubbio o malinteso.
Poi svela il valore salvifico
che l’evento di questa morte assumerà per loro.

Se Gesù fosse stato a Betania
in occasione della malattia mortale dell’amico,
certo egli avrebbe operato un miracolo,
come aveva già fatto altre volte, come ad es.,
quando mutò l’acqua in vino
o guarì il figlio dell’ufficiale regio
(cfr. Gv 2,1-11; 4,46-54).

Ma, in questo caso, i discepoli avrebbero visto
ancora un altro prodigio e nulla più.
Qui, invece, Gesù gioisce per i suoi discepoli
e ne esplicita la motivazione:
«Lazzaro è morto ed io sono contento per voi,
perché voi crediate io non ero là» (vv. 14-15).

Gesù si rallegra non per la morte di Lazzaro,
ma di non essere stato a Betania
al momento della morte, perché i suoi discepoli
progrediscano nella fede.

Nel segno della risurrezione di Lazzaro, infatti,
i discepoli potranno fortificare la propria fede in Gesù
non più solo come Messia, ma come
signore della vita e vincitore della morte.

Inattesa giunge l’esortazione a seguire Gesù
da parte di Tommaso: «Andiamo anche noi
a morire con lui» (v. 16).

Della promessa di risvegliare Lazzaro
dal sonno della morte e della gioia di Gesù
perché la fede dei discepoli sia rafforzata,
pare che Tommaso non abbia compreso nulla.
Eppure dimostra tanta generosità e irruenza,
simili, per molti versi, a quelle di Simon Pietro
(cfr. Gv 13,37; Mc 10,38-39).

Gesù arriva a Betania

Gv 11-1-45 – Gesù arriva a Betania.
Lazzaro è nella tomba già da quattro giorni (v. 17).

Data la breve distanza di Betania da Gerusalemme
«molti giudei erano andati da Marta e Maria a far loro
le condoglianze per la morte del fratello» (v. 19).
Le visite di circostanza per la morte di un congiunto
erano raccomandate dalla tradizione giudaica
e in genere duravano sette giorni (cfr. Sir 22,11).

«Marta, appena seppe che veniva Gesù, gli andò incontro.
Maria, invece stava seduta in casa» (v. 20).

Comprensibile è il diverso atteggiamento
delle due sorelle, anche stando alla descrizione
di Lc 10,38-42.
Marta più dinamica e piena di iniziativa;
Maria, invece, più calma e dedita all’ascolto
delle persone venute a confortarle.

Dialogo tra Marta e Gesù

Gv 11-1-45 – Le parole che Marta rivolge a Gesù,
anche se contengono una nota di tristezza
per la sua assenza, manifestano nello stesso tempo
una grande fiducia in lui e nella sua opera
sempre ascoltata da Dio.

Con grande senso di misura e piena di confidenza,
Marta non fa forza sulla sua amicizia
o su motivi di merito nei confronti di Gesù,
ma solo nell’atteggiamento di amore e di amicizia
che questi ha verso di loro:

«Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto;
ma so che anche ora,
qualunque cosa tu chiederai a Dio,
Dio te la concederà» (vv. 21-22).

La fede della donna è ancora imperfetta,
perché legata alla presenza fisica di Gesù,
al suo potere taumaturgico
e alla sua preghiera di intercessione.

Gesù, invece, la vuole condurre
ad una fede totale in lui: «Tuo fratello risorgerà» (v. 23).
Il dialogo, a questo punto, si apre
sul tema della risurrezione.

Marta, come gli ebrei del suo tempo, eccetto i sadducei,
ne professa la certezza ad opera di Dio,
ma questa riguarda un futuro lontano,
quello della fine dei tempi: «So bene che risusciterà
nella risurrezione dell’ultimo giorno» (v. 24).

Le parole di Gesù

Gv 11-1-45 – La risposta di Gesù alle parole di Marta
contiene un invito a passare da una fede imperfetta
ad una fede piena.
Gesù afferma, anzitutto, che egli è la fonte
della risurrezione e della vita: «Io sono la risurrezione
e la vita» (v. 25); inoltre, presenta il dono della risurrezione
come una realtà attuale, presente e non solo futura.

Le parole successive di Gesù
sviluppano ulteriormente questa affermazione
Il tema della «risurrezione» è spiegato da
«Chi crede in me, anche se fosse morto, vivrà» (v. 25b)
e quello della «vita» è sviluppato da
«Chiunque vive e crede in me, non morirà mai» (v. 26).

Ma di quale morte e vita parla Gesù?
Egli parla della morte e della vita
sia in senso fisico, sia in senso spirituale.
La prima soluzione ha la sua immediata applicazione
nel fatto concreto di Lazzaro; la seconda va riferita
in genere alla vita e alla morte a cui è soggetto ogni uomo.

La risposta di Marta

Gv 11-1-45 – Di fronte a questo messaggio di Gesù,
Marta è sollecitata a dare una risposta:
«Credi tu questo?» (v. 26c).

Marta non solo crede
che Gesù è il Figlio di Dio che viene nel mondo,
ma va al nocciolo della questione:
è perché il Figlio è venuto che la vita,
il riscatto dalla morte e il germe della risurrezione
sono qui, nel nostro mondo:

«Sì, Signore, credo fermamente che tu sei il Messia,
il Figlio di Dio, colui che deve venire nel mondo» (v. 27).

Marta non poggia la sua fede nell’uomo taumaturgo,
ma solo sulla parola di colui che ella riconosce «Messia»,
«Figlio di Dio», «colui che deve venire nel mondo».
Questi tre titoli, attribuiti a Gesù,
esprimono la fede adulta di Marta.
Ella è matura per vedere e comprendere
quello che altri vedranno senza comprendere.

Dialogo di Gesù con Maria
e commenti dei giudei (vv. 28-33)

Gv 11-1-45 – È ancora Marta che prende l’iniziativa
di andare a chiamare la sorella:
«Il Maestro è qui e ti chiama» (v. 28).
All’appello Maria risponde prontamente:
«si alzò in fretta e corse da lui» (v. 29).

L’improvviso allontanamento di Maria
fa pensare ai giudei, presenti per le condoglianze,
che vada a piangere al sepolcro e, poiché
era abitudine diffusa andare a piangere
per parecchi giorni sulla tomba, la seguono (v. 31).
Questo dettaglio avrà come conseguenza che il miracolo
avverrà alla presenza di numerosi testimoni.

Le parole che Maria rivolge a Gesù sono le stesse
di Marta: «Signore, se tu fossi stato qui,
mio fratello non sarebbe morto» (v. 32).
Gesù interviene: «Dove l’avete posto?» (v. 34).

Nel frattempo, Giovanni si attarda ad elencare
le reazioni emotive e psicologiche di Gesù:
«si commosse profondamente, si turbò» (v. 33),
«scoppiò in pianto» (v. 35),
«profondamente commosso» (v. 38).

È il Dio creatore della vita
che non vuole la morte dell’uomo.
La morte, personificazione del male estremo,
è l’ultimo nemico di Dio che dovrà essere annullato
dalla morte del Figlio di Dio.

Il pianto di Gesù provoca reazioni diverse.
Da una parte la commovente constatazione:
«Vedi come l’amava!» (v. 36), e dall’altra
l’enigmatica sorpresa: «Costui che ha aperto
gli occhi al cieco, non poteva far sì
che questi non morisse?» (v. 37).

Gesù di fronte alla morte (vv. 38-42)

Gv 11-1-45 – Prima di recarsi al sepolcro,
Gesù si commuove nuovamente (v. 38).

La tomba, dove era stato deposto Lazzaro,
era una grotta scavata nella roccia,
davanti alla quale era stata fatta rotolare
una pietra che, oltre a sigillare la tomba,
costituiva simbolicamente il confine
con il regno dei morti (v. 38b).

L’intervento taumaturgico ha inizio
proprio con la rimozione della pietra,
di quel limite ritenuto insuperabile.

Il comando di Gesù «Togliete la pietra!» (v. 39)
rimane però sospeso sino la v. 41.

Tra l’ordine e la sua esecuzione,
Giovanni inserisce una nuova obiezione di Marta:
«Signore, già puzza, è di quattro giorni!» (v. 39b),
che mostra così come non abbia ancora
preso piena coscienza della sua fede,
professata in precedenza al Maestro

e la risposta di Gesù:
«Non ti ho detto che, se credi,
vedrai la gloria di Dio?» (v. 40).

Nel segno che Gesù si appresta a compiere
si manifesterà la straordinaria potenza di Dio,
capace di sconfiggere la morte,
e apparirà, inoltre, con evidenza, che tale potenza
agisce e si disvela per mezzo del Figlio e, quindi,
che Gesù, proprio come aveva promesso alla donna,
è la «risurrezione e e la vita» (cfr. v. 25).

La preghiera di Gesù

Gv 11-1-45 – Dopo aver fatto togliere la pietra,
Gesù levò gli occhi verso il cielo,
per ringraziare il Padre di averlo ascoltato (v.41b).
A differenza di altri contesti,
Gesù non chiede nulla al Padre,
ma lo ringrazia per averlo ascoltato.

Vivendo in perenne e profonda comunione con Dio,
ed essendo venuto nel mondo per manifestare
la gloria del Padre, può solo ringraziarlo della gloria
che si rivelerà nella risurrezione dell’amico.

La preghiera è pronunciata per i presenti,
affinché comprendano che la risurrezione di Lazzaro
avverrà grazie alla profonda unione tra Gesù e il Padre,
e possano così credere che egli è il suo inviato (v. 42).

Il passaggio dalla morte alla vita (vv. 43-44)

Gv 11-1-45 – Il miracolo della risurrezione di Lazzaro
è descritto in due soli versetti.

Al termine del breve rendimento di grazie al Padre,
Gesù non supplica, ma a gran voce comanda:
«Lazzaro, vieni fuori!» (v. 43).
Il grido di Gesù ha il potere e la forza
di risvegliare dal sonno del sepolcro
e di strappare Lazzaro dagli artigli della morte.

E Lazzaro esce dalla tomba,
ancora legato piedi e mani da fasce
e il volto avvolto da un sudario (v. 44).

Il racconto del miracolo, a ben riflettere, si snoda
attraverso quattro comandi fatti da Gesù:
«Togliete la pietra!» (v. 39), «vieni fuori!» (v. 43),
«scioglietelo e lasciatelo andare» (v. 44).

In questi quattro comandi Giovanni evidenza
il messaggio teologico dell’episodio:
Gesù, con uno straordinario dominio della situazione,
sconfigge la morte, ridona la vita
ed anticipa così l’evento della sua risurrezione.

Il v. 45 chiude il brano liturgico e mostra
la reazione al miracolo: molti credono in Gesù.
Egli si è manifestato veramente
come Signore della vita.

Foto: Giotto di Bondone, Risurrezione di Lazzaro,
1303-1305 circa, affresco (200 x 185 cm)
Cappella degli Scrovegni, Padova / it.wikipedia.org

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