Crocifissione

Crocifissione. Undicesima stazione. Viaggio nell’immobilità
Via Crucis del malato – Cammino di speranza

Crocifissione. Senz’altro c’è il dolore fisico,
aggravato peraltro dal fatto che non esistono parole per esprimerlo.

Nessun vocabolario contiene infatti le parole appropriate per spiegarlo.
Il linguaggio adatto per dire la sofferenza inflitta al corpo
è effettivamente ancora da inventare,
e forse non lo sarà mai.

Molto più facile invece parlare delle pene e dei tormenti dell’anima;
di fatto, nella letteratura,
ci sono migliaia di pagine che lo fanno con evidente compiacimento.

Ma, al di là del dolore fisico,
io mi sento veramente inchiodato alla croce dell’immobilità,
del non fare, dell’essere escluso dal mondo delle persone attive.

La perdita della capacità di lavorare,
di rendersi utile,
l’avverto quantomeno come una frustrazione paralizzante,
aggravata per di più da una specie di senso di colpa
nel dover essere di peso.

I chiodi della crocifissione si conficcano certo nella mia carne,
ma il loro costo è a carico degli altri.
«Tu devi pensare solo a guarire»,
mi dicono in tono rassicurante.

Io, tuttavia, avverto sotteso a questa frase un rimprovero.
E di conseguenza si accresce la mia umiliazione.

Gesù viene «innalzato» sulla croce.
E, ogni qualvolta si accenna al Calvario,
spunta istantaneamente la formula «dall’alto della croce».

Io, invece, mi sento sprofondare,
non innalzare.
Per me bisognerebbe dire «dal basso della croce»
o, meglio, «dall’abisso della croce».

La preghiera che mi viene più spontanea
è l’attacco del Salmo 129,
che mi ostino tuttavia a recitare in latino:
«De profundis clamavi ad te, Domine…».

Sì, mi ritrovo «innalzato» nelle profondità,
scaraventato negli abissi.
Non riesco infatti a risalire:
«Dal profondo» non ce la faccio veramente a riemergere.

Mi ritrovo come in un pozzo,
i piedi incollati al fondo melmoso e appiccicoso,
e le pareti lisce, scivolose,
non offrono neppure un appiglio alle mie mani infiacchite.

Più mi sforzo di tirarmi fuori,
e più sprofondo.
Il mondo esterno sta lì, a pochi metri.
Eppure io, nel mio abisso mi sento separato,
confinato a una distanza enorme, incolmabile.

«Dal profondo» è possibile soltanto far arrivare fuori,
spesso infiochito, quasi spento,
solo il grido.
«L’anima mia attende il Signore
più che le sentinelle l’aurora» (Sal 130,6).

No. Non ho in ogni modo la pretesa di arrampicarmi sulla croce,
al fine di uscir fuori a vedere il sole.

Mi accontento imnvece di innalzare la mia croce,
su su, fino a farne un’antenna,
un radar sensibile che capti il segnale dell’aurora.

Basta quel segnale impercettibile per illuminare il buio
in cui sono precipitato,
a riscaldare il mio cuore paralizzato dal gelo.

Preghiera

Crocifissione. Per una volta,
capovolgiamo le parti.
Sono Io adesso che ti parlo, ti supplico.

Ti prego di riflettere seriamente sul fatto
che mi sono scorticato i piedi lungo le strade del mondo.
Ma è però soltanto sulla croce,
coi piedi inchiodati,
che sono arrivato da per tutto.

È nell’immobilità più totale che ho raggiunto tutti gli uomini.
Soprattutto è con le braccia distese su quel legno
che ho potuto abbracciare il mondo intero.

Devi convincerti che non è il darsi da fare,
e neppure le corse affannate
che ti portano lontano.

Puoi camminare infatti di più stando fermo.
Ti è dato di agire con maggior efficacia
accettando la tua impotenza, i tuoi limiti, le tue menomazioni.
Puoi certamente renderti utile con l’apparente inutilità.

Ogni qualvolta tutto è impossibile,
tutto diventa possibile.

Ti prego,
renditi conto
che l’unico modo per arrivare veramente ai confini della terra
è rimanere piantato, conficcato in un unico punto.

Proprio quando hai l’impressione
di non poter fare più nulla di quello che facevi prima,
ti si offre la possibilità inaudita di compiere cose stupende,
anche se invisibili.

Tutti si dichiarano preoccupati
perché hanno sempre molto, troppo da fare.

Posso dirti, invece,
che ti resta molto, il più, da non fare?

Lasciati inchiodare con me.
Coloro che mi sfidavano a scendere dalla croce,
volevano in realtà che mi fermassi,
non arrivassi al termine del viaggio.

Io intendo, invece,
insieme a te,
proseguire il cammino,
spingermi il più lontano possibile.

Dunque,
sei disposto ad accompagnarmi
in questo itinerario di immobilità,
impedimento, inutilità, oscurità?

Te la senti di camminare,
a passo di croce,
lungo la strada interminabile della speranza?

Alessandro Pronzato, Via Crucis della Speranza. Tre itinerari,
Gribaudi Editore, Milano 1995, pp. 50-53.

Foto: Disegno a matita di Salomoni Fausto

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