Atti degli Apostoli 2

Atti degli Apostoli 2 – Pentecoste: Il compimento della Pasqua

 

Da Pasqua a Pentecoste

Atti degli Apostoli 2 – Gli inizi
degli Atti degli Apostoli
narrano la vita dei discepoli di Gesù,
prima dispersi dalla sua morte
e poi di nuovo insieme
radunati nella visione del Risorto,
al punto da ricostituire
anche il numero dei dodici.

Però il Signore è risorto, certo,
ma è poi salito al cielo
e non è più fisicamente tra i suoi
(At 1,3-11).
Da dove e come ripartire?
Sarà ancora attento
a ciò che succede nella sua comunità?
Come?

Se il Vangelo secondo Giovanni
ripete più volte
che la partenza di Gesù avrebbe comportato
il dono dello Spirito,
negli Atti vediamo questo Spirito all’opera,
nella vita quotidiana della Chiesa.

***

Atti degli Apostoli 2 – Il cuore del Vangelo,
infatti, non è il seguire una morale
o il compiere determinate preghiere
o gesti religiosi,
ma la relazione con Gesù.

Non sempre i discepoli l’avevano capito
o si erano comportati correttamente,
ma erano sempre rimasti con lui.
E anche alla fine,
il Risorto non aveva lasciato
profondi messaggi sull’aldilà:
era comparso ai suoi
salutandoli semplicemente
con un «Pace a voi» (Lc 24,36).

Come pensare allora
di mantenere il rapporto con lui,
ora che sembra non esserci più?

Gli Atti degli Apostoli
non ci raccontano questi interrogativi,
ma sembrano
passare direttamente alla risposta,
a ciò che porta a compimento quanto,
pure, era iniziato in modo decisivo
al sepolcro vuoto.

Atti degli Apostoli 2

I discepoli avevano trovato
la pietra rotolata via
e il sepolcro vuoto
la mattina del primo giorno
della settimana di Pasqua.

Questa era una festa
che raccoglieva in sé
tre diverse celebrazioni.
In passato significava:

la partenza primaverile dei pastori
dagli accampamenti invernali,
celebrata con il sacrificio
di un agnello nato nell’anno,
i sandali ai piedi e i fianchi cinti…
esprimeva l’azzardo
di chi abbandonava la sicurezza
per trovare la vita;

il memoriale di un gruppo
che era stato fatto fuggire dalla schiavitù,
sfidato
ad abbandonare le certezze e garanzie
che pure una tale vita offriva
per fidarsi di una parola
che li chiamava a libertà;

la celebrazione agricola
della mietitura dell’orzo,
con la distruzione del lievito
(la pasta madre)
utilizzato fino a quel momento
per cominciare con lievito nuovo
nella speranza e promessa
che anche nel nuovo anno
si sarebbe vissuti del frutto della terra.

***

Atti degli Apostoli 2 – Anche nel terzo aspetto
della celebrazione
c’era una dimensione di fiducia,
perché buttare via
la massa di pasta lievitata
che durante l’anno
era stata utilizzata come madre
per fare un nuovo impasto
dal nuovo raccolto,
significava scommettere e fidarsi
di riuscire
ad averne abbastanza da vivere,
tanto più che il raccolto dell’orzo
da solo
non era sufficiente per passare l’anno.

C’era bisogno che anche il grano,
maturo all’inizio dell’estate,
non tradisse le attese.

In qualche modo, però,
il successo della mietitura dell’orzo
poteva essere un invito alla fiducia
anche per il futuro raccolto,
circa cinquanta giorni dopo.

Ecco perché
anche nell’anno liturgico ebraico
la festa dell’inizio estate,
al cinquantesimo giorno
(in greco, appunto, «Pentecoste»)
dopo Pasqua,
rappresentava il perfezionamento
di ciò che a Pasqua era stato iniziato
in modo decisivo ma ancora incompiuto.

Questo valeva per il raccolto,
ma non solo:
se l’uscita dall’Egitto,
celebrata a Pasqua,
era il segno più chiaro
della benevolenza divina
e della sua intenzione
di proteggere la vita del popolo,
quella liberazione si compie
nel dono della legge
sotto il Sinai, a Pentecoste.

Il compimento del sepolcro vuoto

Atti degli Apostoli 2 – Anche
per i cristiani, oggi,
la Pentecoste porta a compimento
ciò che si inizia a Pasqua.

A Pasqua Gesù risorge,
ma è a Pentecoste
che con il dono dello Spirito
si garantisce la presenza divina
nella storia
e la capacità di capire
ciò che è accaduto in Gesù.

Abbiamo sicuramente presente il racconto
della prima effusione spettacolare
dello Spirito Santo sulla Chiesa.
Probabilmente lo ricordiamo così:
gli apostoli erano chiusi nel cenacolo
quando si vedono scendere addosso
lingue di fuoco;
si mettono a parlare
e tutte le persone presenti a Gerusalemme,
di tante nazioni diverse, li capiscono.

Sembrerebbe un miracolo spettacolare
che serve per convincere i presenti
dell’autenticità della testimonianza dei dodici
e insieme diventa «scorciatoia»
per cominciare
ad annunciare a tutti il Vangelo,
visto che subito dopo
Pietro inizierà a raccontare di Gesù,
spiegando che sono contenti sì
ma tutt’altro che ubriachi (At 2,13-15).

Ma davvero le cose sono andate
come ho appena ricostruito?

Atti degli Apostoli 2

Uno dei motivi
per cui è tanto prezioso
tornare a rileggere i testi biblici
è che spesso li ricordiamo
in modo approssimativo
dipendendo dal come
ce li hanno raccontati
o dal come noi li abbiamo interpretati
nelle situazioni in cui ci trovavamo.

Questa imprecisione non è segno
della nostra scarsa attenzione,
tutt’altro!
La nostra memoria non ricorda mai
ciò che è accaduto,
ma il significato che ha avuto per noi.

Quello che ricordiamo del testo
spesso lo abbiamo memorizzato così
perché allora
era per noi significativo così.

Ma tornare al testo ci permette
di risintonizzarci con l’originale,
così da scoprirlo ancora ricco
e profondo per la nostra vita,
a volte anche in modi
che ci risultano nuovi.

***

Atti degli Apostoli 2 – Se vogliamo,
ad esempio,
iniziare a restituire la parola al brano,
notiamo intanto
che non è chiaro
quanti siano i protagonisti
(Spirito Santo a parte):
si tratta davvero dei «dodici»,
oppure di qualcun altro?
«Erano tutti insieme
nello stesso luogo» (At 2,1).
Sì, ma tutti chi?

Subito prima,
nel capitolo precedente,
si era detto che gli undici
erano ridiventati dodici,
ma a fare la scelta dei candidati
e l’estrazione a sorte del dodicesimo
erano state in realtà
centoventi persone (At 1,15).
Sembrerebbe più logico
che questi siano i «tutti».

Quindi, ciò che accade
non è riservato
alla cerchia più importante
che guida la comunità,
ma tocca tutti i «fratelli».

Atti degli Apostoli 2

Poi, al versetto 2,
arriva un «fragore»,
qualcosa che succede da fuori
ma non è comprensibile
(al v. 6 il greco
non parlerà più di «fragore»
ma di «voce»,
anche se nella traduzione Cei
la differenza non è così chiara),
e appaiono «lingue come di fuoco,
che si dividevano,
e si posarono su ciascuno di loro»
(At 2,3).

Luca sa come raccontare bene,
sa che abbiamo bisogno di immagini
per intuire qualcosa;
e, insieme, è un teologo preciso,
consapevole che l’opera di Dio
si può narrare sì,
ma solo per approssimazione.

Non è fuoco,
quello che scende su di loro,
ma semmai «vento»
(Spirito, appunto…),
e si mostra
con «lingue come di fuoco».

Si vede qualcosa, insomma,
e quel qualcosa
chiaramente scende
su «ognuno» dei presenti,
ma non si riesce a definire proprio bene
di che cosa si tratti.

C’è una fonte unica,
ma la sua espressione è molteplice.
C’è un solo Spirito,
ma le lingue parlate sono tante.
Se Dio è uno,
il modo con cui le persone
vivono la loro relazione con lui
non è sempre la stessa.

Geografia biblica

Atti degli Apostoli 2 – Luca
sembra volerci lasciare a bocca aperta,
offrendoci un elenco
di tutti i luoghi
da cui provengono i presenti.
Se guardiamo con attenzione
il suo elenco, però,
non possiamo non porci alcune domande.

Non stupisce, innanzi tutto,
che i luoghi citati
siano i luoghi nei quali,
in quei tempi,
c’è una forte presenza ebraica.
Le persone lì presenti
sono probabilmente
pellegrini venuti a Gerusalemme
per una delle feste di pellegrinaggio.
Come tutti i pellegrini,
si fidano dell’accoglienza
che trovano
nonostante siano magari
deboli con le lingue.

È però vero
che nelle regioni attorno al Mediterraneo,
ormai da secoli,
la lingua che tutti capiscono
all’epoca di quei fatti è il greco
(sarebbe come dire
l’inglese per noi oggi),
ben diffuso in Cappadocia,
Ponto, Asia, Frigia e Panfilia
– quella che per noi oggi è la Turchia –
e nell’Africa del Nord Est
(Egitto e Cirenaica),
nonché a Roma e a Creta.

Appena più a oriente,
l’aramaico è la lingua madre
degli abitanti della Mesopotamia
(e forse già della Giudea,
quasi di sicuro della Galilea),
ampiamente conosciuta e utilizzata
come lingua dei commerci e dei viaggi
dai Parti, Medi, Elamiti
e abitanti della Mesopotamia
e dell’Arabia.

Atti degli Apostoli

Un osservatore neutrale
e un po’ malizioso,
insomma, ridimensionerebbe
probabilmente di molto
la portata del miracolo.

Per farsi capire ai discepoli
bastava parlare
nella loro lingua madre
per raggiungere già metà
della folla lì presente.

Sicuramente poi tra loro
c’era qualcuno in grado
di tradurre anche in greco
– ricordiamo che Gesù stesso
sapeva parlare in quella lingua
(cfr. Mt 15,21-28) – ,
ed ecco che così raggiungo l’altra metà.

Mettersi a parlare tante lingue strane
non sembrava davvero necessario.

Il senso

Atti degli Apostoli 2 – C’è allora qualcosa
che Luca vuole suggerirci,
con l’episodio che narra in Atti 2,1-13?

Forse questo.
Dio con la Pasqua
ha mostrato di volere la vita dell’uomo,
e che Gesù era davvero
chi pretendeva di essere.

Ma la Pasqua rischia di restare
soltanto un evento
che si chiude su Gesù.
Invece l’opera di Gesù
deve essere portata a compimento,
e questo avviene a partire dalla Pentecoste,
quando Dio,
nella forma dello Spirito Santo,
si prende cura di entrare
nei cuori dei suoi fedeli,
per renderli testimoni coraggiosi
e – soprattutto – affidabili.

E non va solo
nel gruppo ristretto degli apostoli,
ma in ciascuno.
Ognuno dei credenti
è dotato di Spirito,
per comprendere Gesù
e per annunciarlo.

E non è soltanto un annuncio
che risulta comprensibile,
ma suona davvero intimo,
diretto, personale,
come se detto nella lingua o nel dialetto
che più ognuno ha nel cuore:
diventa una comunicazione
sorprendentemente interessante,
comprensibile, attraente
per gente proveniente da ogni dove,
quali che siano i loro retroterra
e i loro modi di pensare.

Il cuore del racconto, allora,
non è il prodigio,
ma una promessa davvero consolante
e rasserenante per la chiesa
di ogni tempo e luogo:
Dio si farà capire,
perché parla al cuore dell’essere umano.
Di ogni singolo essere umano

Angelo Fracchia, «Atti degli Apostoli:
il nostro libro», in Missioni Consolata,
gennaio-febbraio 2019, 30-32.

(2 – continua)

Foto: Beatrice Orlandini,
Icona della Pentecoste

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