Umorismo ebraico 3

Umorismo ebraico 3 – Introduzione

 

«Se vuoi far ridere Dio,
parlagli dei tuoi progetti».

Woody Allen
(da un proverbio yiddish)

Umorismo ebraico 3 – Il parallelismo
tra le tecniche dell’umorismo
e l’esegesi del Midrash
può farci capire il passaggio del Talmud
(versione scritta,
compilata tra il II e il VII secolo d.C.,
della tradizione orale
che interpreta l’Antico Testamento),
che narra di Rabba,
un Maestro che era solito cominciare
sempre le sue lezioni
con una milà debdi’huta,
ossia con una battuta umoristica:
letteralmente con «parole divertenti».

Senza umorismo non è possibile
entrare nel Talmud e, più in generale,
nello specifico del pensiero ebraico.

Contrariamente alla serietà
della logica filosofica,
ciò che chiamiamo
umorismo talmudico
o umorismo ebraico
è la messa in dubbio
delle verità assolute
e la messa in discussione di se stessi.

Ma il riso,
questo «scoppio di riso e di lettura»
del Midrash e del Talmud,
non pretende di opporre
una verità all’altra.
Secondo Vladimir Jankélévitch,
lo humour esige anche
che ci si prenda gioco di se stessi,
per evitare
di sostituire l’idolo rovesciato
e messo alla berlina con un altro idolo.

Umorismo ebraico 3

Per evitare la prigionia
in una verità unica
assurta a idolo del senso,
il Talmud espone il pensiero
sotto forma di dialogo
in cui ciascuno può enunciare
la propria percezione del mondo
anche se questa si pone
in contraddizione con le altre.
Otteniamo così
una fonte straordinaria di umorismo
e, nello stesso tempo,
una rivoluzione filosofica fondamentale:
non esiste una sola verità,
ma solo diverse prospettive del mondo.

Incontro di torto e di ragione,
di «a torto o a ragione»,
come in questa storia attribuita
– sicuramente a torto –
al Talmud:

Un maestro giudicava due querelanti
davanti ai suoi discepoli.
Il primo querelante
espose il proprio caso e,
dopo una lunga riflessione,
il maestro decise di dargli ragione.
Ma quando il secondo querelante
ebbe perorato la propria causa,
il maestro diede ragione anche a lui.
I discepoli espressero il loro stupore,
e allora, dopo una nuova riflessione
il maestro rispose loro:
Anche voi avete ragione.

***

Umorismo ebraico 3 – Questa
buffa storiella, che Henri Atlan
racconta in apertura del suo libro
À tort et à raison
(che, se letto rapidamente,
a orecchie umoristiche
potrebbe suonare come
La Torah “letteralmente «la Legge»,
è l’insieme dei cinque libri
del Pentateucoa raison,
«La Torah ha ragione»),
ci insegna con serietà che
«esistono molteplici razionalità,
diversi modi di avere ragione,
tutti legittimi sebbene differenti,
per giustificare le impressioni
dei nostri sensi.
Contro i rischi di confusione
legati a un bisogno insopprimibile
di fondare l’Etica (e la politica)
come Verità oggettiva,
esiste un rimedio possibile:
l’umorismo serio
della molteplicità e della relatività
dei giochi di conoscenza,
di ragione, di inconscio, di linguaggio…».

Il problema dell’identità

Umorismo ebraico 3 – L’uomo
che sceglie l’umorismo
rifiuta di rinchiudersi
in una dimensione unica del mondo
ed è sempre in cammino.
Rifiuta di imprigionarsi
in una frase definitiva.
Il suo modo di definirsi
consiste nel non avere definizioni.

Riecheggia in questo pensiero
la questione dell’identità.

La storia del popolo ebraico
– che inizia con Abramo
e con suo figlio,
il «signor umorismo»
non può procedere se non a patto
che l’uomo
stia rigorosamente attento
a non identificarsi
in un’unica immagine di uomo.

L’uomo dell’umorismo
è costantemente in cerca
di un «non significato»:
in altre parole, ogni volta
che vuole specchiarsi in se stesso,
lo specchio si sbriciola.

Fondamentalmente
l’umorismo ebraico
vuole insegnarci che
«non c’è da stupirsi
se la questione dell’identità
non può avere risposta.
Non ne avrà.

Paradossalmente
vale anche il contrario:
la questione dell’identità
continua ad avere risposte
e non smetterà di riceverne.

Non soltanto
non esiste una definizione
di che cosa sia un ebreo
ma, come tutte le cose
che riguardano l’umano,
sfugge alle definizioni»
(H. Meschonic).

Non esiste un’identità,
ma solo delle possibilità
di identità:
delle identità possibili
e, a volte, contraddittorie.

***

Umorismo ebraico 3 – Siamo
in Polonia, negli anni Trenta.
Un giovane ebreo
torna al suo villaggio da Varsavia,
dove si era recato per la prima volta
nella sua vita.
Pieno di meraviglia,
riunisce gli amici
per raccontare loro la sua esperienza:

«Varsavia è una città
assolutamente eccezionale!
Che ricchezza, che magnificenza!
E la gente?
Che straordinaria moltitudine
di razze e personalità differenti!
Pensate, ho incontrato un ebreo
che era un grande conoscitore
del Talmud e sapeva recitarne
interi brani a memoria,
un ebreo comunista sfegatato,
un ebreo proprietario di un negozio
che dava lavoro
a più di cinquanta dipendenti
e aveva una casa enorme e bellissima
con un sacco di domestici,
un ebreo completamente ateo…».

Gli amici commentano perplessi:
«E ti pare tanto eccezionale?
Varsavia è una città enorme,
solo di ebrei
ce ne sarà un milione, laggiù!
È normale che
tu ne abbia incontrati
di così diversi…».

E lui:
«Non avete capito!
Era lo stesso ebreo!».

Umorismo ebraico 3

La questione cruciale dell’identità
produce nell’umorismo
– e nell’umorismo ebraico in particolare –
curiose coppie antitetiche

– l’uomo e la donna
– il povero e il ricco
– il giovane e il vecchio
– l’ebreo e il goy (il non-ebreo)
– l’ebreo e l’antisemita, eccetera.

Queste contrapposizioni
non vengono usate per stabilire
e sottolineare delle differenze,
ma al limite per confrontarle
e metterle in discussione.

Questa è la fondamentale differenza
tra una storiella ebraica
e una storiella sugli ebrei,
spesso antisemita.

Nella storiella ebraica,
la descrizione che viene data dell’ebreo
non mira a chiuderlo
entro criteri stereotipati:
i soldi, l’aspetto fisico…
La storiella ebraica
usa gli stereotipi per farli deflagrare.
Il riso diventa allora una corrosione
dell’integrità dell’immagine.
Il riso esplode sul confine
tra l’identificazione e il suo contrario:
un confine fluttuante
sul quale ci si perde,
ci si ritrova e ci si riperde,
in un infinito oscillare…

Nella barzelletta antisemita,
l’ebreo è condannato a essere
ciò che gli altri vogliono che sia.
La sua identità è precostituita
e la storiella è uno strumento utile
a diffondere formule, dicerie
e immagini che costringono l’ebreo
a essere «in stato di arresto»,
secondo una bella definizione
di Daniel Sibony, ovvero
in una condizione di immobilità
fissata una volta per tutte.

***

Umorismo ebraico 3 – Perché
gli ebrei hanno il nasone?
Perché l’aria è gratis!

Ecco un tipico esempio
di storiella antisemita
che certamente avrà fatto sorridere
anche molti ebrei.
È una caricatura
che reifica l’essere umano
e vuole immobilizzarlo,
attraverso le idee o le parole.
La caricatura stereotipata
è un sarcofago
linguistico e ideologico,
una risata macabra
che si pone in antitesi
rispetto al concetto stesso di umorismo.

La questione dell’identità
è il nocciolo dei problemi dell’ebreo.
Storicamente,
avendo sempre vissuto in Paesi
in cui non veniva mai considerato
un cittadino a tutti gli effetti,
l’ebreo si è creato un’identità
in movimento che a volte
si è tradotta in termini di patologia
oscillante tra nevrosi e psicosi.

Woody Allen e i suoi personaggi
sono la rappresentazione
di questo conflitto:
si pensi al personaggio di Zelig,
la cui proteiforme identità
diventa la sua stessa caricatura.

Una delle interpretazioni
della Metamorfosi di Kafka
va nella stessa direzione
e ce la mostra come un testo
innanzitutto umoristico.

Le storielle ebraiche
mettono in scena
personaggi non ebrei
spesso ridicolizzandoli
e trasformandoli
in oggetto di derisione.
Ciò ha rappresentato
e tuttora rappresenta
uno strumento utile
a sopportare il rifiuto sociale
che gli ebrei hanno a lungo subito.

Umorismo ebraico 3

Il dolore di essere rifiutati e odiati
non è né una novità occidentale
né un sentimento recente:
il libro biblico di Ester
riporta il celebre episodio
dell’antisemita Aman,
che voleva sterminare tutti gli ebrei
presenti nelle province
del regno di Assuero.
Grazie all’intervento della regina Ester
– che aveva taciuto
le sue origini ebraiche –
Aman e suoi dieci figli
vennero impiccati
su quella stessa forca
che avrebbe dovuto servire
a impiccare Mardocheo,
il capo spirituale e politico
degli ebrei di Susa.

Ogni anno gli ebrei
commemorano questo evento
con una festa (la festa di Purim,
una specie di corrispettivo ebraico
del carnevale),
in forma di lettura pubblica
durante la quale
bambini e adulti si mascherano
e si travestono:
fatto questo che ben sottolinea
l’idea di confusione dell’identità
di cui abbiamo parlato poc’anzi.

Ogni volta
che il lettore pronuncia
il nome di Aman,
i bambini agitano una raganella
a mo’ di insulto
contro il perfido nemico
del popolo ebraico.
L’annuncio della sua impiccagione
viene accolto con esplosioni di gioia:
anche la congrega di fedeli
della più piccola sinagoga
si trasforma così
nella folla esultante di Susa
che assiste alla morte di colui
che aveva giurato morte
a tutti gli ebrei.

In fondo, ogni storiella
che parla di antisemitismo
gioca questo ruolo.

Marc-Alain Ouaknin, «E Dio rise.
La Bibbia dell’umorismo ebraico
da Abramo a Woody»,
pubblicato per Libreria Pienogiorno
da FullDay Srl, Milano, 2021,
pp. 22-28.

Foto: Copertina di «E Dio rise» /
pienogiorno.it

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