Umorismo ebraico 1

Umorismo ebraico 1 – Introduzione

 

«Se vuoi far ridere Dio,
parlagli dei tuoi progetti».

Woody Allen
(da un proverbio yiddish)

Umorismo ebraico 1 – Leggere
un libro di storielle
può non essere sempre divertente:
leggere e raccontare
sono due cose molto differenti.

Quando raccontiamo una storiella,
necessariamente
produciamo una tensione
che è fondamentale per il senso
della storiella stessa,
perché conferisce alle parole
un’intensità
che la semplice lettura non può dare.

Paradossalmente,
un libro di storielle
non è fatto per essere letto!
Perciò, quello che segue
non è un libro,
ma una raccolta
di frammenti eterogenei che non
bisognerebbe leggere difilato,
uno dietro l’altro,
per non nuocere
alla sorpresa spiazzante
da cui scaturisce l’umorismo.

Per un’etica del riso

Umorismo ebraico 1 – Perché,
con tanti rabbini e filosofi,
voi ebrei perdete tempo
in cose così poco serie?

«Ridere è proprio dell’uomo»,
insegna Rabelais.
E indubbiamente il riso
è ciò che permette all’uomo
di ritrovare
non solo la leggerezza del vivere,
ma anche la salute.

La lingua ebraica
associa la malattia
alla pesantezza dell’essere
e la salute alla leggerezza.
Se volessimo trarne una formula,
potremmo dire che
«ridere è guarire».
Anche se,
per mantenersi in buona salute
certo non si può trasformare
la vita in una grande farsa:
vivere è difficile,
e vivere con umorismo,
lo è ancora di più.

Non c’è nulla di più serio
dell’umorismo!
È chiaramente un paradosso,
ma la virtù del paradosso
non sta forse proprio
nella sua capacità di sovvertire
le strutture logiche tradizionali,
per suggerire schemi nuovi
e diversi?

La logica tradizionale
è lineare e causale:
a causa corrisponde effetto
e a effetto corrisponde causa.
E se invece
provassimo a spezzarla
per cercare di percepire
il mondo fuori da essa?

L’umorismo lavora
sul senso del senso,
cioè sul nonsenso.
Al contrario dell’interpretazione,
che va dal nonsenso al senso,
esso va dal senso al nonsenso.
È demolizione, esplosione
e messa in discussione del senso.
L’umorismo lavora incessantemente
sul proprio limite
e giunge ad abolire proprio ciò
che lo rende possibile: il senso.

Ma, affinché l’umorismo
possa continuare a esistere,
è essenziale che
il senso demolito
abbia ogni volta il tempo di risorgere
dalle proprie ceneri.
Da qui, la necessità di ricordare
quanto detto all’inizio:

Un libro umoristico
non si legge come un romanzo,
ma a piccole dosi.
Una quantità eccessiva di umorismo
nuoce e annoia.

***

Umorismo ebraico 1 – Si può distruggere
ciò che non esiste?
Se l’umorismo, come si è detto,
è passaggio dal senso al nonsenso,
è necessario che in principio
ci sia un senso:
un senso da distruggere,
da annullare.

«Chi troppo ride piangerà!».
L’umorismo che diventa abitudine
uccide l’umorismo
e distrugge i suoi effetti.

«Capita che l’umorismo diventi un tic,
una specie di balbuzie dello spirito.
Alla lunga,
non c’è nulla di più fastidioso,
di più serio e di più triste
di questa deliberata
volontà di ridere,
di questo accanimento
a voler essere allegri,
di questo sforzo ostinato
verso la leggerezza!».

L’umorismo inteso
come unica regola di vita
tradisce se stesso.
L’umorismo
non è un senso qualunque:
è un controsenso,
e non si pone l’obiettivo
di rimpiazzare la perdita
di valori e di senso.

Umorismo ebraico 1

Senso dell’umorismo
non significa che l’umorismo
è nell’ordine del senso.
Per senso,
qui si deve intendere «direzione».

L’umorismo indica una direzione,
imprime una spinta,
permette all’uomo
di mettersi in marcia,
di superarsi, di penetrare
in territori a lui sconosciuti.
È una scoperta
dell’assolutamente nuovo.

Sarà successo a chiunque
di incontrare una di quelle persone
con la battuta sempre pronta
che ridono di tutto e su tutto.
In questo caso,
l’umorismo diventa
una strada senza uscita
in cui le parole non servono a niente,
né a comunicare né a definire
la propria personalità.

Un giorno moriranno senza che nessuno
– né i loro amici,
né tanto meno loro stessi –
sappia come hanno vissuto,
cosa hanno amato o pensato…
Si saranno murati vivi nella risata,
mascherati o protetti da una corazza
di spiritosaggini e battute.

Sistematizzandosi,
l’umorismo si trasforma:
diventa un segno,
un’etichetta come un altra,
una immagine prefabbricata,
uno stereotipo,
e l’umorista deviato si tramuta
in una statua di pietra.
Il riso diventa una nuova forma
di feticismo.
Conosciamo bene
il volto del pagliaccio triste…

Il vero umorismo
è incontro con l’etica

Per questi motivi
pensiamo che l’umorismo
sia una modalità di pensiero
abbastanza nobile
da meritare la considerazione
tanto del rabbino quanto del filosofo.

«Fate l’umore, non la guerra»

Umorismo ebraico 1 – Potremmo
parafrasare così il famoso slogan,
sottolineando la funzione pacifica
di questa parola
che apre una breccia
nelle chiusure
e nelle contratture identitarie.

Lo humour insegna innanzitutto
a essere uomo,
prima di diventare
un essere classificato in base
a questa o quella denominazione
d’origine non sempre controllata!

C’è nello humour una delocalizzazione,
una «deterritorializzazione»
e quindi una «riterritorializzazione»
(nell’accezione di Deleuze):
un movimento dialettico
tra la terra che calchiamo
e l’altra terra,
tra il Me e l’Altro.
L’umorismo è un’arringa
in difesa dello straniero
e della sua condizione.

L’umorismo non è dunque solo
un gioco di parole o di senso
– o perlomeno non soltanto.
È un’arma efficace
per costruire la pace,
perché guida l’Uomo
verso la comprensione dell’Altro
e guida entrambi
fuori dalla logica
per cui ciascuno si ritiene
l’unico possessore della verità.

Umorismo ed ebraismo

Umorismo ebraico 1 – Qual è
la definizione di «ebreo»?
Uno a cui racconti una storiella
ma lui la sa già
e la racconta meglio!

Tutti i venerdì sera,
riuniti a tavola
per festeggiare lo shabbat
(il termine ebraico per «Sabato»,
la festa che ricorda
il riposo del Signore
dopo i sei giorni della Creazione),
è tradizione leggere e commentare
alcuni passaggi della Bibbia
insieme agli invitati, spesso numerosi,
intonando i canti
della liturgia dl sabato.
Un modo armonioso
per provare e condividere
la gioia dello stare insieme.

Un giorno, uno degli invitati
cominciò a raccontare
delle buffe storielle
per far divertire i bambini,
e finì col far divertire
anche i genitori.

La prima storiella
era su un tizio che si mette a strappare
e a spargere dei pezzetti di carta
in Place d’Italie.
Un poliziotto si avvicina
e gli domanda perché.
L’uomo risponde che lo fa
per mettere in fuga gli elefanti.
Il poliziotto obietta
che non ci sono elefanti
in Place d’Italie.
A quel punto
l’altro esclama trionfante:
«Vede che funziona?».

I bambini, entusiasti,
ne chiesero altre.
Fu così che,
settimana dopo settimana,
l’ospite arrivò con una scorta
sempre nuova di storielle
di vario genere.
Di lì a qualche mese,
le cene del shabbat
diventarono sinonimo
non solo di canti e di esegesi,
ma anche – e forse soprattutto –
di aneddoti e racconti.

Umorismo ebraico

Col tempo,
tutta la famiglia si «specializzò»
in storielle, ebraiche e non.
Gli ospiti erano avvisati:
entrare in casa voleva dire
portare un contributo personale
all’edificazione
dell’opus humoristicum.

Fu allora che mi domandai
se questo progressivo scivolamento
dall’esegesi all’umorismo,
dal commento alla risata,
fosse nello spirito
del rituale del Sabato.
In altre parole,
cominciai a interrogarmi
su quale fosse il rapporto
tra lo humour e l’ebraismo,
e in quali termini
l’umorismo partecipasse
della dimensione ebraica
dell’essere.
Il rabbino e il filosofo
ponevano all’unisono la questione.

Intrapresi dunque
una lunga ricerca i cui risultati
cercherò di riassumervi
a grandi linee.
Li commenterò via via
presentandoveli.

Marc-Alain Ouaknin, «E Dio rise.
La Bibbia dell’umorismo ebraico
da Abramo a Woody»,
pubblicato per Libreria Pienogiorno
da FullDay Srl, Milano, 2021,
pp. 11-16.

Foto: Copertina di «E Dio rise» /
pienogiorno.it

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