Mt 5-38-48

Mt 5-38-48 – VII Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

 

Premessa

Mt 5-38-48 – Prosegue anche oggi
la lettura del Discorso della Montagna,
il primo dei cinque grandi discorsi
che reggono l’architettura spirituale
del Vangelo secondo Matteo.

Abbiamo ascoltato, domenica scorsa,
l’interpretazione di Gesù
circa quattro testi della Torah di Israele.
Oggi viene presentata
quella relativa ad altri due.

La prima riguarda il nuovo modo
di ottenere giustizia.

Tutti siamo d’accordo
che il male va contenuto e contrastato.
Ma come?

«Avete inteso che fu detto: “Occhio per occhio
e dente per dente. Ma io vi dico…”» (vv.38-39)

Mt 5-38-48 – Gesù si riferisce qui
alla giustizia rappresentata
dalla celebre «legge del taglione»,
formulata sulla base di un passo del libro
dell’Esodo con la folgorante immagine
dell’«occhio per occhio e dente per dente»

che, nell’originale del cap. 21 dell’Esodo
prosegue con questo inesorabile elenco:
«vita per vita, mano per mano,
piede per piede, bruciatura per bruciatura,
ferita per ferita, livido per livido» (vv. 23-25).

In realtà, la locuzione «legge del taglione»
non è biblica, ma deriva dal tardo latino
«ius talionis» collegato al verbo «tagliare».

I vocabolari italiani spiegano che è
«la pena consistente nell’infliggere al reo
di lesioni personali una lesione uguale
a quella da lui provocata ad altri».

La norma era già presente
nell’antichissima legge romana
detta delle «Dodici tavole».

Il concetto e la prassi del taglione
erano però già note
alla legislazione dell’Antico Oriente,
come è attestato dal famoso codice babilonese
di Hammurabi (XVIII sec. a.C.),

e imponevano un “taglio” fisico effettivo,
cioè una mutilazione proporzionata
al danno inferto all’altro.

La «legge del taglione» nella Bibbia

Mt 5-38-48 – La norma era entrata anche
nella legislazione biblica,
che talora la presenta in forma cruda,
come in questo caso registrato
nel Deuteronomio
e che non ha bisogno di commento:

«Se alcuni verranno a contesa fra di loro
e la moglie dell’uno si avvicinerà
per liberare il marito dalle mani
di chi lo percuote e stenderà la mano
per afferrare costui nelle parti vergognose,
tu le taglierai la mano e l’occhio tuo
non ne dovrà avere compassione» (Dt 25,11-12).

In realtà,
nonostante la forma agghiacciante
delle parole dell’Esodo
e del Deuteronomio sopra citate,
in Israele la morale del taglione
era stata sensibilmente attenuata
nel comportamento concreto.

Si giungeva, di solito,
ad un accomodamento,
come è attestato, ad esempio,
da un comma del libro dell’Esodo,

secondo il quale,
in caso di ferita prodotta in una rissa,
si ammette la possibilità
di un indennizzo pecuniario
e di cure mediche (Es 21,18-19).

Il ricorso alle ammende o ai risarcimenti
sarà la prassi normale nel tardo giudaismo.

Più rigorosa, invece, resterà l’applicazione
della «legge del taglione»
nei confronti dell’omicidio
perché la vita è il bene supremo da rispettare
e non può essere comprata o pagata,
mentre il sangue versato profana la terra
donata dal Signore a Israele:

«Non contaminerete il paese dove sarete,
perché il sangue contamina il paese;
non si potrà fare per il paese
alcuna espiazione del sangue
che vi sarà stato sparso,
se non mediante il sangue
di chi l’avrà sparso» (Nm 35,33).

Ancora sulla «legge del taglione»

Mt 5-38-48 – C’è da dire, ancora,
che se la «legge del taglione»
era un modo barbaro di fare giustizia,
in realtà, aveva un altro scopo:
vietare i cosiddetti castighi esemplari
e le rappresaglie.

Ognuno doveva pagare
per la colpa commessa,
né di più, né di meno.

Occorre tuttavia riconoscere
che una specie di legge del taglione
è ben radicata nel cuore umano:
“Chi me la fa, me la paga”.

Purtroppo, ciò che trionfa ai nostri giorni
è molto spesso la «legge di Lamech»,
il lugubre personaggio,
discende di Caino,
che nel capitolo 4 della Genesi
intona questo infame cantico:

«Io uccido un uomo
per una mia sola scalfittura
e un ragazzo per un mio livido.
Sette volte è stato vendicato Caino;
Lamech sarà vendicato settanta volte»
(Gn 4,23-24).

Ad una violenza minima ricevuta
si reagisce con una violenza spropositata
e gratuita, innestando un’infinita spirale
di ingiustizia e di violenza.

Ma ecco la sorpresa:
Gesù invita ad andare oltre a questa giustizia
rude e rigorosa, e invita
ad affrontare il problema in altro modo:

«Ma io vi dico di non opporvi al malvagio» (v. 39)

Mt 5-38-48 – Siamo di fronte
a parole inequivocabili;
parole non rivolte ai giudici, per suggerire loro
un nuovo modo di applicare la legge,
bensì all’offeso, per insegnargli
quale condotta adottare
in quanto discepolo di Cristo.

Comunque, a scanso di equivoci,
Gesù aggiunge quattro esempi
presi dalla vita quotidiana del suo popolo.
Il primo riguarda la violenza fisica:

«Se uno ti percuote sulla guancia destra,
tu porgigli anche l’altra» (v. 39)

Mt 5-38-48 – Quando si riceve uno schiaffo,
se l’aggressore non è un mancino,
si viene colpiti sulla sinistra.

Gesù parla della destra
perché la violenza subita è maggiore:
si tratta del manrovescio, un’offesa gravissima,
punita in Israele con un’ammenda
pari a più di un mese di stipendio.

Al discepolo, Gesù non raccomanda
di essere più buono, più mite
nelle pretese di risarcimento,
esige un comportamento radicalmente nuovo:
«Tu porgi anche l’altra guancia».

«Buoni sì, ma non stupidi», si suol dire.
Certo, le parole di Gesù
non devono essere prese alla lettera
(questo sarebbe davvero sciocco).
Anch’egli, quando ha ricevuto lo schiaffo,
non ha presentato l’altra guancia,
ma ha protestato (Gv 18,23).

Ciò che esige dai discepoli e la disposizione interiore
ad accettare l’ingiustizia, a sopportare l’umiliazione,
piuttosto che reagire facendo del male al fratello.

L’unico modo per interrompere il ciclo diabolico
offesa-violenza è il perdono.
Se alla violenza si reagisce con un’altra violenza,
non solo non viene eliminata la prima ingiustizia,
ma se ne aggiunge un’altra.

Questo circolo può essere spezzato solo
con un gesto originale,
assolutamente nuovo: il perdono.
Tutto il resto è vecchio,
è qualcosa di già visto, di ripetuto senza sosta
fin dagli inizi dell’umanità.

Il secondo esempio si riferisce all’ingiustizia economica

«A chi ti vuol chiamare in giudizio
per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello» (v. 40)

Mt 5-38-48 – In Israele, uomini e donne
indossavano due capi di vestiario:
una tunica a maniche lunghe o a mezze maniche
portata sul corpo nudo,
e un’ampia cappa (il mantello).

Nel mantello ci si avvolgeva quando faceva freddo
e lo si toglieva quando si svolgeva un lavoro servile.
Ai poveri serviva anche da coperta per la notte,
per questo la Torah stabiliva
che non potesse essere pignorato (Es 22,25-26).

Gesù propone un caso limite di ingiustizia:
un discepolo è portato in tribunale
perché lo si vuole privare della tunica.
Chiaramente tutti gli altri beni gli sono stati tolti.
Che deve fare?

Null’altro che manifestare il suo totale
e incondizionato rifiuto di entrare in liti e contese.
Per questo cede anche il mantello,
l’ultimo indumento che gli rimane,
quello che non poteva essere requisito come pegno.

Il terzo esempio è l’abuso di potere

«E se uno ti costringerà a fare un miglio,
tu fanne con lui due» (v. 41)

Mt 5-38-48 – Capitava spesso che i soldati romani
o qualche signorotto locale
angariassero dei poveri contadini e li costringessero
a fare da guide o a portare carichi.
Un esempio lo abbiamo nel racconto della passione:
Simone di Cirene è obbligato
a portare la croce di Gesù (Mt 27,31).

Gli zeloti, cioè i rivoluzionari di quel tempo,
suggerivano la ribellione e il ricorso alla violenza
per opporsi a simili soperchierie.

Epitteto esortava alla prudenza:
«Se un soldato ti requisisce l’asino,
non resistergli e non lamentarti,
altrimenti verrai percosso e, alla fine,
glielo dovrai consegnare lo stesso».

Gesù non fa alcuna considerazione di questo tipo.
Non detta una norma di saggezza,
non suggerisce una strategia
atta a convertire l’aggressore,
non assicura nemmeno
che un simile comportamento arrendevole
otterrà risultati positivi in tempi brevi.

Chiede al discepolo che, senza far calcoli,
mantenga il cuore libero dai risentimenti
e si astenga da qualunque reazione
che non sia dettata dall’amore.

«Dà a chi ti domanda
e non volgere le spalle a chi ti chiede» (v. 42).

Mt 5-38-48 – Il quarto caso
è quello della persona importuna
che chiede, magari, come spesso avviene,
senza un minimo di discrezione.

Non fingere di non capire, sembra dire Gesù,
e non cercare scuse, soprattutto non cercare
di scaricare su altri il problema.
Se puoi fare qualcosa, fallo e basta.

Conclusione su questo primo caso

Mt 5-38-48 – Queste richieste di Gesù
fanno venire i brividi.

Eppure, Gesù trae la credibilità delle sue parole
dal suo stesso esempio di vita:
schiaffeggiato, rispose con animo aperto
al confronto (cf Gv 18,22-23);
denudato per essere flagellato e crocifisso
«secondo la legge», rispose dando tutto se stesso;

umiliato da un potere religioso e politico,
rispose diffondendo mansuetudine e perdono;
ricercato da poveri, prostitute e pubblicani,
verso tutti si rivelò sempre prodigo di ascolto,
guarigione e aiuto.

Solo se i discepoli di Cristo
oseranno plasmare i propri comportamenti
a immagine di quelli di Gesù,
il comandamento antico «Occhio per occhio
e dente per dente» lascerà il posto
a una nuova visione di lotta contro l’ingiustizia
e la violenza.

Nell’ultimo (il sesto) esempio,
Gesù si richiama a un duplice comandamento:

«Avete in teso che fu detto:
“Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”» (v. 43)

Mt 5-38-48 – Nella prima lettura di oggi
abbiamo la prima parte dell’affermazione
«Amerai il tuo prossimo» (Lv 19,18);
anche se nel testo del Levitico «prossimo»
significa il parente e il compatriota.

Nell’AT non si trova, invece,
la seconda parte «odierai il tuo nemico».

Verosimilmente Gesù non si riferisce
a un testo specifico della Torah,
ma alla mentalità che si era creata in Israele
a partire da alcuni testi biblici.

Nella Bibbia si parla, a volte,
di guerre sante (Dt 7,2; 20,16),
compaiono sentimenti di vendetta (Sal 137,7-9),
si manifesta il proprio attaccamento al Signore,
ma in un linguaggio molto arcaico:
«Non odio, forse, i tuoi nemici, Signore?
Li detesto con odio implacabile» (Sal 139,12-22).

Ci sono, però, nella Bibbia, altri testi in cui
si ammonisce di non ricambiare il male (Prv 24,29)
e si raccomanda l’amore al nemico:
«Quando vedrai l’asino del tuo nemico
accasciarsi sotto il carico,
non abbandonarlo a se stesso:
mettiti con lui ad aiutarlo» (Es 23,5).

Appellandosi ad essi, alcuni rabbini sostenevano
che il comandamento «Ama il prossimo tuo
come te stesso» (Lv 19,18) doveva essere esteso
anche al nemico, ma l’opinione comune
lo restringeva agli appartenenti al popolo giudaico.

In questo contesto religioso,
il duplice comandamento di Gesù
suona paradossale:

«Ma io vi dico: “Amate i vostri nemici
e pregate per i vostri persecutori”» (v. 44)

Mt 5-38-48 – È l’apice dell’etica cristiana,
è la richiesta dell’amore gratuito e incondizionato
che non si aspetta alcun contraccambio
e che, come quello di Dio,
raggiunge anche chi fa del male.

Il secondo comando «pregate» suggerisce
il mezzo per riuscire a praticare l’amore
per «chi ci perseguita», per chi ci rende
la vita impossibile: la preghiera.

Essa eleva verso il cielo, unisce al Signore,
purifica la mente e i cuori dai pensieri
e dai sentimenti dettati dalla logica
di questo mondo e fa vedere il malvagio
con gli occhi di Dio, che non ha nemici.

Ma perché amare i nemici?

«perché siate figli del Padre vostro celeste,
che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi
e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti
e sopra gli ingiusti» (v. 45)

Mt 5-38-48 – Mentre Gesù chiede ai discepoli
di lasciar trasparire nei loro comportamenti
l’indole del Padre celeste,
fa capire che Dio non utilizza le categorie
malvagi e buoni, giusti e ingiusti.

Quelle sono categorie
che abbiamo introdotto noi e alle quali,
purtroppo, troppe volte ci atteniamo.
Lui, il Padre, ha una sola categoria: figli
e con la quale si rapporta con ciascuno di noi.

«Infatti, se amate quelli che vi amano…
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli»
(vv. 46-47)

Mt 5-38-48 – Due esempi mettono a confronto
il comportamento usuale degli uomini
con la novità di vita di chi ha assimilato
i pensieri, i sentimenti e le opere del Padre.

La caratteristica dei «figli di Dio»
è l’amore offerto a chi non lo merita
e il saluto rivolto e chi si comporta da nemico.

«Siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro celeste» (v. 48)

Mt 5-38-48 – Nel dare l’insegnamento
dell’amore anche per i nemici,
Gesù si appella all’imitazione di Dio,
che è fondamentale nell’ebraismo.

Il perdono dei nemici è quindi
una regola fondamentale del cristianesimo.

È così coerente
con tutta l’architettura del Vangelo
che un cristiano, che non sia disposto a perdonare
che gli ha fatto del male, non solo viene meno
a ciò che è essenziale nella sua fede,
ma è al di fuori dell’orbita di salvezza:

«Se non perdonerete agli altri,
neppure il Padre vostro
perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,15).

Conclusione complessiva

Mt 5-38-48 – Dio Padre amoroso,
che fai sorgere il tuo sole sui buoni e cattivi,
fa’ che somigliamo a te
per riflettere il tuo amore verso tutti.

Ci costa molto fare del bene
a chi ci vuole male,
perdonare chi ci offende
e dimenticare vecchi oltraggi.
Tuttavia, Gesù ha fatto così.

Aiutaci, Signore,
e abbi pietà per i nostri fallimenti.

Foto: Marco Palmezzano, San Giovanni Gualberto
mostra il Crocifisso all’uccisore del fratello,
primi anni del XVI secolo, San Mercuriale,
Forlì / commons.wikimedia.org

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