Mindfulness

Mindfulness (La) può interpellare i credenti cristiani?

 

La popolarità di tecniche meditative
su basi new age
pone quesiti economici e culturali
oltre che ai fedeli in Cristo

Mindfulness – In Occidente,
viene sempre più diffondendosi
il fenomeno della disaffezione
nei confronti
delle storiche tradizioni religiose.

In tal senso,
si è parlato di recente dei “none”,
cioè di quanti sostengono
di non avere alcuna appartenenza religiosa.

Allo stesso tempo,
si assiste alla rapida affermazione
di pratiche individuali e comunitarie,
incentrate sul perfezionamento interiore,
la crescita personale e la meditazione.

Si tratta di tre aspetti riconducibili
alla cosiddetta mindfulness
(consapevolezza interiore, piena coscienza),
che oggi tra corsi online, workshop, riviste
può contare su un’industria di settore
stimata in 4 miliardi di dollari
e su un mercato editoriale di 60 mila libri.

Interpretare le pratiche
della “consapevolezza interiore” nel segno
delle tradizionali categorie della spiritualità
sarebbe inappropriato
oltre a essere rifiutato,
con ogni probabilità,
dagli stessi praticanti.

Anche per questo, in genere,
si preferisce rubricare la mindfulness
all’interno della new age.

In realtà, in tale iscrizione
agisce un sottile intento denigratorio.

Nel movimento della new age, infatti,
inizialmente diffuso negli anni Sessanta
per riferirsi a forme di contro cultura spirituale,

sono poi confluite una costellazione di idee
e atteggiamenti di dubbia coerenza,
quali la medicina alternativa ed il mesmerismo,
l’astrologia e l’occultismo, lo sciamanesimo
e la cristalloterapia, solo per citarne alcune.

Mindfulness (La) può interpellare i credenti cristiani?

Va sicuramente riconosciuto
come la mindfulness non sia scevra
da possibili critiche.

Sostenendo che tutto ciò che dobbiamo fare
è chiudere gli occhi e osservare il nostro respiro,
essa di fatto diviene una nuova religione del sé.

Inoltre,
l’insistenza su consapevolezza individuale,
attenzione non giudicante e resilienza,
rischia di vincolare i praticanti
al modello economico-sociale neoliberista
che ha prodotto quei problemi
da cui essi vorrebbero affrancarsi.

Per questo,
come ha sostenuto Ronald Purser
sul “The Guardian”,
«i sostenitori della mindfulness,
forse inconsapevolmente,
sostengono lo status quo».

In tale scenario,
se le trasformazioni della morfologia
della spiritualità contemporanea
sembrano difficilmente contestabili,

concentrarsi soltanto
sui limiti della mindfulness
appare come una strategia
eccessivamente difensiva,
che peraltro rischia di farci sfuggire
la comprensione delle ragioni
alla base della sua affermazione.

Una questione su tutte
dovrebbe interpellare i credenti:
come mai, quando si tratta di stabilire
le parentele della mindfulness
o di risalire alle sue radici
si fa quasi esclusivamente riferimento
alle religioni orientali?

Non si intende, ovviamente,
contestare tale ascendenza:
non c’è dubbio, infatti,
che esistano connessioni con il buddismo,
solo per esplicitarne una.

Tuttavia, non suona un po’ sospetto
il silenzio nei confronti del cristianesimo
che in materia di ascesi,
perfezionamento interiore,
vita contemplativa non è secondo a nessuno?

Davvero in materia di esercizi spirituali
si può ragionevolmente ritenere irrilevante
quanto la tradizione cristiana ha messo a punto?

Tali “dimenticanze”
andrebbero interrogate a fondo
non potendosi escludere
che esse rinviino a una presenza poco incisiva
dei cristiani nel mondo.

Mindfulness (La) può interpellare i credenti cristiani?

Alcuni anni fa,
come molti ricorderanno,
per definire lo stile di presenza
dei cattolici nella società,
si era fatto ricorso alle due categorie
di presenza e mediazione.

Si trattava di stili complementari:
ai fini dell’inculturazione della fede,
il cristianesimo della presenza
era principalmente orientato
all’affermazione dell’identità cristiana
mentre il cristianesimo della mediazione
insisteva sul valore del dialogo.

Se oggi il combinato disposto
dei due stili appena richiamati
è rappresentato dall’ininfluenza
riservata al cristianesimo,
come appunto confermato
dalle emergenti forme di spiritualità,

siamo sicuri che non sia giunto il tempo
per rivedere lo stile di presenza dei cristiani
nella società e nella cultura?

Si avverte il bisogno
di una nuova “testimonianza attiva” che,
nel recuperare il meglio dei due precedenti stili,
sappia riferirsi senza remore
alla parola “efficacia”,

nel senso conferitole da Simone Weil
quando osservava che
«Niente di ciò che è inefficace ha valore».

La speranza è che la nuova postura
della testimonianza attiva
contribuisca ad aggirare
quella marginalizzazione
in cui si vorrebbero confinare i cristiani,
restituendo centralità
alla Buona Novella che a essi è affidata.

Giovanni Scarafile, «Ma la mindfulness
può interpellare i credenti cristiani?», in
“Avvenire”, martedì 3 gennaio 2023, p. 20.

Foto: Donna impegnata nella mindfulness /
goutdevie.com

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