Martino

San Martino di Tours

San Martino di Tours. Se la popolarità di un santo si misura dal numero di comuni, parrocchie, cappelle o altari che gli sono dedicati, Martino di Tours sarebbe certamente da collocare ai primi posti. Un’indagine di qualche tempo fa elencava in Francia ben 485 comuni e 3.667 parrocchie che portano il suo nome, e non c’è dubbio che – a considerare l’Europa nel suo insieme – la lista si allungherebbe a dismisura. L’Italia, in particolare, contribuirebbe a tale elenco in maniera significativa.

Martino nasce nel 317 da genitori pagani a Sabaria, avamposto dell’impero romano in Pannonia (l’attuale Szombathely, in Ungheria). Il padre, tribuno militare della legione, gli dà il nome di Martino, in onore di Marte, il dio della guerra.

Martino trascorre l’infanzia e la fanciullezza a Pavia (l’antica Ticinum),dove suo padre aveva ricevuto un podere in quanto ormai veterano.

Lì, all’età di dieci anni, matura una sensibilità religiosa e un’attitudine spirituale che sembrano già orientarlo, da un lato, verso la solitudine dell’eremo e, dall’altro, verso la comunità dei fedeli: una sorta di preludio di quella che sarà poi effettivamente la sua vocazione di monaco e di vescovo.

Contro il parere dei genitori, a dodici anni, chiede di essere ammesso al catecumenato e alla prescritta catechesi d’iniziazione, ma dovranno passare dodici anni prima che possa ricevere il battesimo.

Nel 331 un editto imperiale obbliga tutti i figli di veterani ad arruolarsi nell’esercito romano. È reclutato nelle Scholae imperiali, corpo scelto di 5.000 unità perfettamente equipaggiate: dispone quindi di un cavallo e di uno schiavo. Inviato in Gallia, presso la città di Amiens, vi trascorrerà la maggior parte della sua vita da soldato. Fa parte, all’interno della guardia imperiale, di truppe non combattenti che garantiscono l’ordine pubblico, la protezione della posta imperiale, il trasferimento dei prigionieri e la sicurezza di personaggi importanti

Nel 334, s’imbatte in un uomo intirizzito dal freddo e immediatamente divide il mantello militare (la clamide bianca della guardia imperiale) e ne offre metà al povero. In quella stessa notte, Gesù gli appare rivestito del mantello donato. Quel gesto di carità sarebbe stato seguito da un clima mite che, perpetuatosi nel tempo, verrà denominato «l’estate di San Martino»

All’età di ventidue anni riceve il battesimo, pur restando ancora per una ventina d’anni nell’esercito.

Nel 356, giunto all’età di circa quarant’anni, decide di lasciare l’esercito, secondo Sulpicio Severo, dopo un acceso confronto con Giuliano, il Cesare delle Gallie, in seguito noto come l’Apostata

Da quel momento inizia per lui una nuova avventura. Per affrontarla adeguatamente, si mette alla scuola di un uomo di sicura dottrina e di una personalità di spicco come Ilario, vescovo di Poitiers.

Martino, tuttavia, si ferma poco tempo a Poitiers; rientra tra i suoi, in Pannonia, converte la madre al Cristianesimo e comincia a sperimentare la durezza della battaglia contro gli ariani (da Ario, che considerava il Figlio non coeterno rispetto al Padre e creato dal nulla). Maltrattato e infine esiliato, torna in Italia, fermandosi – verso il 358 – nelle vicinanze di Milano per fare un’esperienza di vita ascetico-monastica. Scacciato anche da Milano dal vescovo ariano Aussenzio, si reca nell’Isola della Gallinara, in Liguria, per trasferirsi successivamente vicino a Poitiers, nell’eremo di Ligugé (360).

Nel 371 Martino è eletto vescovo di Tours a furor di popolo (371). In breve tempo, l’attività di questo vescovo-monaco – se si vuole, di questo monaco in prestito alla vita pastorale della Chiesa – diventa frenetica: le opere di carità, le guarigioni miracolose, gli esorcismi, l’evangelizzazione delle campagne e la difesa della retta dottrina contro le eresie e le superstizioni non gli danno tregua. Spesso ostacolato e vilipeso, anche dai suoi, Martino persegue comunque con rigore e tenacia, pazienza e saggezza i suoi propositi, col solo scopo di assicurare il bene della Chiesa che gli è stata affidata, e dando sempre nel suo servizio episcopale l’esempio di una vita di preghiera e penitenza, temprata dall’ascesi, spoglia di ogni incrostazione di potere e di privilegio.

Martino assolve le funzioni episcopali, senza tuttavia abbandonare la sua professione di vita monastica. Difatti si reca ad abitare in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. In questo ritiro dove ben presto è raggiunto da diversi seguaci, si crea un monastero, Marmoutier in cui Martino funge come da abate e in cui impone a sé e ai fratelli una regola di povertà, di mortificazione e di preghiera.

Se da una parte rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa – al punto che un giorno alcuni soldati del fisco incontrati lungo la strada, non riconoscendolo sotto gli abiti miserabili, bastonano di santa ragione questo vagabondo che spaventa le loro cavalcature – dall’altra, Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca regolarmente per celebrare l’ufficio divino nella cattedrale, rifiuta le visite mondane e le udienze giudiziarie per dirimere i piccoli litigi sottoposti al tribunale episcopale, ma accoglie le suppliche dei poveri, donando a uno di questi, nel segreto della sacrestia, la tunica che indossa.

La sua sollecitudine è rivolta anche ai prigionieri, alla liberazione dei quali consacra tutti i doni in denaro che riceve dalla generosità dei fedeli.

Sollecito di edificare la fede del suo gregge, dedica molta attenzione a impedire che i fedeli cadano negli errori della superstizione. Smaschera l’impostura del monaco Anatolio, che si spacciava per un profeta, e rivela che la tomba su cui gli abitanti di Tours credevano di venerare un martire contiene in effetti le spoglie di un brigante di strada che, da lui evocato, è costretto a confessare i suoi numerosi delitti.

Martino consacra però la maggior parte dei suoi sforzi all’evangelizzazione delle campagne, i cui abitanti sono ancora in maggioranza pagani. Predica “ai gentili il Verbo di Dio” con eloquenza ispirata; la sua parola, che non deve niente agli artifici della retorica, riesce a raggiungere l’uditorio di gente semplice al quale essa sa adattarsi: per trasmettere il messaggio cristiano e farlo comprendere, Martino prende dalla realtà quotidiana e familiare gli elementi delle sue brevi esposizioni in forma di parabola.

Numerosi sono i suoi seguaci che optano per la vita cenobitica: Marmoutier, al termine della vita di Martino, conterà ottanta fratelli, quasi tutti provenienti dall’aristocrazia senatoria e che, malgrado la loro educazione, “si erano volontariamente piegati a questa vita d’umiltà e di mortificazione”. Ma nella diocesi e nelle regioni vicine, “tanti germogli si erano a loro volta moltiplicati al servizio del Signore” visto che ai funerali di Martino assisteranno quasi duemila tra monaci e monache. Infine, laici di nobile nascita vengono toccati dall’insegnamento di Martino: Paolino e Sulpicio Severo (un avvocato di Bordeaux) vendono i loro beni per dare il ricavato ai poveri e si ritirano lontano dal mondo, il primo in Campania, a Nola, presso la tomba del martire Felice; il secondo nella sua tenuta di Primuliacum, per consacrarsi alla preghiera.

La vita episcopale di Martino è segnata dall’opposizione dell’insieme dell’episcopato gallico: eletto vescovo a furor di popolo, conosce l’iniziale opposizione di molti prelati presenti alla cerimonia. Inoltre il suo passato militare rende alcuni animi prevenuti contro di lui. Infine, il suo ascetismo, che scandalizza più di un dignitario della Chiesa, diviene ancor più sospetto quando si diffonde l’eresia priscillianista. La setta alla quale il laico spagnolo Priscilliano, divenuto vescovo di Avila aveva dato il suo nome, si distingueva per una teologia che risentiva di un clima di libera ispirazione profetica e di esaltazione mistica, per il ricorso a Scritture apocrife e per l’ascetismo sfrenato. Condannato nei concili di Saragozza (380) e di Bordeaux (384), Priscilliano commise l’errore di appellarsi all’usurpatore Massimo. I suoi più acerrimi avversari, soprattutto il vescovo spagnolo Itace, colgono quest’occasione per assicurarsi la sua rovina. Martino, presente a Treviri, si sforza di far desistere Itace dalla volontà di portare indebitamente una accusa in materia di religione davanti a un giudice secolare; si vede così a sua volta denunciato come seguace di Priscilliano. Ottiene tuttavia da Massimo la promessa che non ci sarà versamento di sangue; ma non appena riparte per Tours, il processo riprende e Priscilliano è condannato a morte e giustiziato (386), primo eretico colpito dal braccio secolare con grande scandalo del vescovo di Milano, Ambrogio.

Massimo vuole andare oltre: decide di inviare in Spagna dei tribuni militare per dare la caccia senza pietà agli eretici. Per ottenere che non si proceda a questa sanguinosa persecuzione, Martino ritorna a Treviri e deve accettare – questa la condizione posta dall’usurpatore per rinunciare al progetto – di entrare in comunione con i vescovi presenti, tra i quali si trova anche Itace. Per salvare delle vite umane, Martino non esita a compromettere la tranquillità della propria coscienza che però gli rimprovererà sempre in seguito di aver preso la comunione con dei colpevoli.

La sua vecchiaia è amareggiata anche dall’ingratitudine del prete Brizio, che aveva accolto fin da fanciullo a Marmoutier e che, furioso per i rimproveri che la cattiva condotta gli fa meritare, si profonde in ingiurie contro di lui. Martino perdona e ripete: «Se Cristo ha sopportato Giuda, perché non dovrei sopportare Brizio?».

Nel corso di una visita che lo porta nella parrocchia di Candes, per ristabilirvi la pace tra i chierici, Martino sente che le forze lo stanno abbandonando. Rifiutando ogni altro letto che non sia un giaciglio di cenere e un cilicio, prega fino al suo ultimo alito di vita, sottomettendosi interamente alla volontà di Dio.

Spira l’8 novembre 397. Il suo corpo è trasportato a Tours e ivi sepolto l’11 novembre, data alla quale è commemorato. Nel concilio di Mâcon si deciderà che l’11 novembre sia una festa non lavorativa.

Martino è il primo non martire a ricevere gli onori degli altari ed è venerato anche dalla chiesa ortodossa e da quella copta.

Foto: Andrea Briosco, detto il Riccio e Crispo, Elemosina di san Martino, in Galleria Franchetti, Ca’ d’Oro, Venezia / Foto di Wolfgang Moroder in it.wikipedia.org

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