Marco Polo

Marco Polo un uomo che visse nel futuro

Marco Polo. Tra gli interrogativi riguardanti l’operazione «Marco Polo»,
intrapresa dalla Rai, il più importante, e che ancora deve rimanere aperto,
è senza dubbio di natura culturale.

Anche in questo caso, però, c’è il rischio che il mega-sceneggiato
(la parola kolossal, oggi in voga, ha piuttosto risonanze sgradevoli)
moltiplichi spettacolarmente l’incredibile avventura
e non ne colga invece il senso riposto.

Cosa significò – occorre chiedersi – la permanenza strepitosa
del giovane Marco Polo nell’Oriente del tredicesimo secolo,
se non il conoscersi di tradizioni e di civiltà diverse?
Ed inoltre: perché il personaggio Marco Polo è stato ed è amato in paesi differenti?

Proprio in occasione del primo «ciak» nella spiaggia veneziana di Malamocco
– dove è stata ricostruita Piazza San Marco – mentre i discorsi zigzagavano tra
preventivi astronomici, presenze artistiche più o meno opportune, possibilità
di accelerare i lavori (il regista Giuliano Montaldo ha parlato di due anni
tra riprese e montaggio), qualcuno ha preferito ricordare il giovane veneziano soprattutto
come simbolo di amicizia che può trovare un prolungamento ideale in questa impresa
(la più grossa della storia televisiva, è stato detto) che sarà seguita in oltre settanta Paesi.

Ottima cosa, senz’ombra di dubbio, se si terrà presente, però,
che Marco Polo fu più di un semplice viaggiatore e che lui, cristiano convinto,
si avvicinò, con una sorta di ecumenismo rispettoso, ad altri uomini
dando ascolto anche ai segni del cuore.

La gente d’oggi – compresa quella di Cina – ama Marco Polo perché mai è venuto meno
al ruolo di visitatore, di esploratore e di amministratore, senza seguito di armigeri;
come ama – ad esempio – il gesuita maceratese Matteo Ricci
(ci è stato più volte ripetuto) che, con la sua grande fede e la sua scienza
ottenne all’inizio del diciassettesimo secolo alla Chiesa Cattolica
il diritto di piena cittadinanza in Cina.

Un uomo che ha vissuto nel futuro, si dice di Marco Polo;
che ha anticipato i tempi;
certamente non mercante accecato dall’interesse,
bensì uomo attento a cogliere i segni di una civiltà
e a testimoniare la propria.
A guardare lontano, insomma.

Non è dato tuttavia di sapere se tutto questo
entrerà negli otto capitoli che comporranno lo sceneggiato
che la Rai produrrà con le televisioni degli Stati Uniti, della Cina e del Giappone.

È bene dire, però, che sarebbe grave
se fossero mortificati proprio i segni di interiorità,
di contemporaneità, di cosmopolitismo
e di pace che dal «Milione»
(libro dettato da Marco Polo a Rustichello da Pisa
durante la prigionia a Genova) si elevano chiaramente.

Non è sicuramente facile avere piena fiducia.
Troppe volte la Rai ci ha sorpreso (e indignato)
con licenze interpretative,
con riduzioni ardite, con adattamenti forzati.

I pozzi che bruciano (petrolio) a Saveh,
la polvere che esplode in aria,
le pietre nere che fanno fuoco (il carbone),
la stoffa che non brucia (l’amianto),
tutto questo è visto e raccontato
con la gioia di chi vuol fare un dono:

con la meraviglia che è curiosità, stupore fanciullo,
coraggio, intelligenza (dono, quello della meraviglia,
perduto nel nostro tempo disincantato);
senza intenzione di sbalordimento,
solo per incoraggiare le genti a credere
nel destino dell’uomo, creatura di Dio.

Se tutto questo sarà rispettato, l’aver tentato
una impresa televisiva di tale impegno sarà stato encomiabile.
Diversamente il «Marco Polo» della Rai andrà ad aggiungersi
alle opere di quella cinematografia straniera che,
purtroppo, furono fatte (spesso male) per sbigottire le platee.

Renato Terrosi, «Marco Polo un uomo che visse nel futuro»,
in “L’Osservatore Romano”, mercoledì 26 novembre 1980, p. 6.

Foto: Locandina del film per la Rai Marco Polo / nospoiler.it

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