La Chiesa e questi giovani Stati 1

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – Prima parte

 

L’Africa, nel movimento
anticoloniale ed indipendentista
sta battendo ogni record.
22 paesi, nello spazio di cinque anni,
hanno conquistato l’indipendenza.
Nel 1961 è continuato il cammino
della nuova Africa:
Sierra Leone (27 aprile);
Camerun Inglese,
(nelle elezioni del 1° febbraio
fu decisa per il Camerun del Nord
l’annessione alla Nigeria
e per quello del Sud
l’annessione alla Rep. del Camerun,
l’ex mandato francese.
L’ONU poi fissò per il I° giugno
e per il 1° ottobre
rispettivamente la ratificazione
della nuova divisione).
Il Tanganyika, nazione ultima nata,
ha iniziato il suo viaggio
di Stato indipendente 1’8 dicembre.

L’Indipendenza del Tanganyika,
che ha unito nella stessa letizia
la popolazione locale e i missionari,
ci offre una buona occasione
per mostrare il significato della presenza
e partecipazione della Chiesa alla nascita
e ai primi passi delle nuove nazioni.

I – La decolonizzazione “segno” dei nostri tempi

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – Gesù
nel Vangelo ci invita
a riconoscere i “segni dei tempi” (Mt 16,4)
Perché, in realtà, vi sono soltanto
i “segni atmosferici”,
ma vi sono anche segni umani,
sociali. spirituali, ecc.
Conoscere questi segni ed adeguarvisi
è un dovere, è essere aggiornati e sintonizzati
con il mondo nel quale si vive.

Il segno sociale-politico
della seconda metà del secolo XX
presenta aspetti complessi,
talora confusi ed anche drammatici;
ma la sua più immediata manifestazione
ed esplosione è la decolonizzazione,
ossia il tramonto delle colonie, maturata
con il risveglio dei popoli di colore.

Il fenomeno,
considerato negli elementi positivi,
si può definire «aspirazione alla libertà»
(«uhuru» – come gridano le genti
del Tanganyika, nazione ultimogenita).

Essere liberi dalla dominazione straniera:
politica, militare, economica;
liberi dall’indigenza materiale,
aspirazione angosciosa
dei paesi sottosviluppati;
accedere alla dignità dei popoli liberi
attraverso lo sviluppo dei caratteri
e valori genuini
della propria cultura e civiltà;
avere la propria parte nella direzione
degli affari mondiali.
Ecco le componenti dell’«Uhuru»,
che alimenta la speranza dei popoli
fino a ieri sotto dominazione coloniale.

Il ponte di «cristallo» si spezza

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – Per avere
un’idea plastica della profonda rivoluzione
che si è operata nel ventennio 1940-1961,
raffrontiamo il mappamondo politico
degli anni estremi.

Carta politica del 1940:
l’Europa e le due Americhe
sono costituite da nazioni sovrane,
buona parte dell’Asia
e quasi l’intera Africa
sono segnate con i colori
delle nazioni europee.
In Asia, se si eccettuano
il Giappone, la Cina e la Thailandia
(«il paese dei liberi») per l’Estremo Oriente,
e la Persia, la Turchia e l’Afghanistan
per il Medio Oriente,
tutta la restante parte
del continente e delle isole
è sotto la dominazione russa, britannica,
francese, olandese, portoghese.

In Africa il quadro della libertà
è ancora più ristretto:
Unione Sudafricana, Liberia, Egitto
sono i soli Stati indipendenti;
il resto del continente
è suddiviso in colonie inglesi, francesi,
belghe, portoghesi, italiane, spagnole.

Apriamo ora
la carta politica mondiale del 1961:
le differenze sono evidenti.
L’Asia sud-orientale
si è liberata dalla tutela coloniale
ed ha visto sorgere
nel volgere di pochi anni nuove nazioni:
Filippine 1946, India e Pakistan 1947,
Birmania 1948, Ceylon 1948,
Indonesia 1949,
Cambogia, Laos e Vietnam 1954,
Federazione Malese 1957.

L’Africa nel movimento anticoloniale
ed indipendentista ha battuto
e sta tuttora battendo ogni record.
Basti ricordare
che in cinque anni (1956-1960),
hanno conquistato l’indipendenza
22 paesi africani, dei quali 17 nel 1960,
il vero «anno dell’Africa».

Il cammino della nuova Africa
è continuato nel 1961,
con la indipendenza
della Sierra Leone (27 aprile),
Camerun Inglese,
Tanganyika (8 dicembre).
Le rimanenti aree coloniali
non tarderanno a ricevere l’autonomia;
così che a confrontare la carta politica
dell’Africa 1962 con quella di 20 anni fa,
la si vede completamente cambiata.

Gli Stati non coloniali
erano allora piccole isole
nella massa dei colori coloniali;
oggi quelle piccole isole
sono costituite dai territori
non ancora indipendenti.

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Il colonialismo occidentale, iniziato
con la scoperta dell’America (1492),
sta definitivamente tramontando.
II ponte politico-militare
che per oltre quattro secoli
ha unito l’Europa agli altri continenti,
è diventato un «ponte di cristallo»
in frantumi.
La sua totale rottura è stata segnata,
quando alla fine del 1961
l’ONU ha votato unanime
una mozione afro-asiatica
che chiedeva la creazione
di un Comitato di 17 paesi incaricato
di suggerire misure pratiche
per porre fine al colonialismo.

C’è soltanto da augurarsi
che il tramonto dell’epoca coloniale
seppellisca sì nell’oblio
dei giovani e vecchi paesi
mutui rancori e offese,
ma valorizzi il bene
apportato dalla colonizzazione,
mediante un arricchimento
culturale e sociale
delle tradizioni locali
delle nuove nazioni.

Il – La Chiesa ha fiducia nei giovani Stati

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – «Ci piace
esprimervi la nostra grande soddisfazione
nel vedere aprirsi progressivamente
le vie alla sovranità:
la Chiesa gioisce e ha fiducia
nella buona volontà
che questi giovani Stati
hanno di prendere il posto
che spetta loro
nel concerto delle nazioni».

Così si è espresso S. S. Giovanni XXIII
nel messaggio ai cattolici d ‘Africa,
il giorno di Pentecoste 1960.

Questa solenne affermazione
di soddisfazione, gioia e fiducia,
di fronte al sorgere dei nuovi Stati sovrani
e al conseguente tramonto del colonialismo
per la Chiesa sintetizza
il pensiero e l’azione di secoli,
da quando praticamente
è iniziata la vicenda coloniale.

Il capitolo dell’incontro della Chiesa
con le genti di colore,
fra le quali normalmente si è sviluppata
la dominazione coloniale
e l’azione missionaria,
contiene le pagine d’oro
della storia cristiana:
la Chiesa vi appare Madre,
Maestra, Arcobaleno di pace
per tutti i popoli.

Madre per la carità

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – Il
cristianesimo
è una nuova creazione
dell’umanità:
chi entra nel Regno di Cristo,
rinasce dall’alto (Gv 3,3).
E poiché
nell’economia della salvezza,
tutto l’uomo – spirito e corpo,
con tutte le sue attività –
è ricondotto a Dio,
la evangelizzazione,
insieme col dono della fede,
reca ai popoli e agli individui
anche un miglioramento
delle istituzioni
di ordine temporale.

La via maestra per la quale avanza
la Chiesa missionaria nel mondo,
è la carità; e il missionario,
inviato della Chiesa,
è il buon samaritano che si china
sulla miseria
delle popolazioni locali.

Come non pensare
agli eroismi di S. Pietro Claver
per i neri venduti schiavi
in America?
Al grido infuocato
di Mons. Comboni
«O Nigrizia o morte»?
Ai sacrifici del Card. Massaia?

Questi grandi missionari
– e tutti gli altri innumerevoli
che il martirologio
della Chiesa missionaria ricorda –
hanno avuto un cuore di madre,
il cuore della Chiesa madre.
Essi hanno amato l’Africano,
l’Asiatico, l’Esquimese
e qualsiasi membro
della comunità umana,
per la loro dignità di figli di Dio.

Se poi la bellezza di Dio
era sfigurata sul volto
e nella vita di questi esseri,
per miseria materiale o morale
– e spesso per sfruttamento
da parte di popoli civili –
prima cura dei missionari
era di togliere il velo
che nascondeva
lo splendore di Dio
riflesso
nello spirito dell’uomo.

La Chiesa e questi giovani Stati 1

La realtà e la dimensione
della carità missionaria
si documentano senza difficoltà
con cifre e statistiche
relative alle opere
di elevazione individuale e sociale,
create dalla Chiesa
nei paesi di missione.

Pensiamo, per esempio,
all’importanza che essa
ha sempre dato alla scuola
e alla educazione
delle giovani generazioni.
Nei territori dipendenti
da Propaganda Fide
si contano quasi 60.000 scuole,
con oltre sei milioni di alunni!
Da queste scuole sono usciti
molti uomini politici
della nuova Asia
e della nuova Africa.

Riguardo al Continente Nero,
in particolare,
il bilancio può dirsi positivo.

Gli uomini politici
dell’Africa britannica,
per lo più sono stati preparati
dai missionari:
cinque di questi capi,
tra i quali l’irrequieto Nkrumah,
Presidente del Ghana,
dai missionari cattolici
e quattro dai protestanti.
Tutti si professano credenti
ed anzi due
sono cattolici militanti di valore:
Silvano Olympio, Presidente
della Repubblica del Togo,
e Giulio Nyerere,
Capo del Tanganyika.

Nell’Africa di ispirazione francese,
gli attuali uomini di Stato,
generalmente, si formarono
nella scuola pubblica:
su tredici Presidenti
si contano otto maestri,
e di questi tredici,
otto sono cattolici,
anche se non tutti praticanti.

Nel Congo ex-Belga,
fino all’indipendenza,
esistevano quasi solo
scuole di missione,
dalle quali è uscito,
tra gli altri,
l’attuale Presidente Kasavubu,
cattolico.

In Asia, nelle nazioni ove
il cristianesimo sta sviluppandosi
ed anche dove la Chiesa
è numericamente una minoranza,
come in India e Giappone,
le scuole cattoliche
– soprattutto di grado superiore
ed universitario – esercitano
una notevole attrazione
e irradiazione specialmente
nelle alte sfere della società.

La scuola cattolica
è preferita molto spesso
a quella statale,
per la serietà dei programmi
e dell’educazione morale
che impartisce ai giovani.

***

La Chiesa e questi giovani Stati 1 – Insieme
con la scuola si possono ricordare
due altri «obiettivi»,
dell’azione missionaria,
i quali illuminano bene
la funzione elevatrice della Chiesa:
la formazione del clero indigeno
e la legge dell’adattamento.

Il clero indigeno
è il frutto maturo e il fine stesso
dell’azione missionaria.
I nostri missionari
si recano all’estero
per stabilire saldamente la Chiesa
dove ancora non esiste
o ha una esistenza insufficiente:
ora la Chiesa, in un paese
è saldamente organizzata,
quando ha quadri direttivi,
gerarchia e clero locali.
Per questo, oggi,
la formazione del clero indigeno
è la pupilla e
la preoccupazione maggiore della Chiesa.

La legge dell’adattamento s’inserisce
nello stesso ordine di principi:
il cristianesimo non è straniero
presso nessun popolo o cultura;
la evangelizzazione,
mentre corregge
rettifica e purifica
i costumi e le tradizioni locali
nelle loro deviazioni
dottrinali e pratiche,
accetta e si adatta
a quelle che sono
genuina espressione
dello spirito umano

«Ricolma di una giovinezza
che si rinnova continuamente
al soffio dello Spirito,
essa (la Chiesa) riconosce,
accoglie ed incoraggia
tutto ciò che fa onore
all’intelletto e al cuore umano
in qualsiasi parte del mondo».

(Giovanni XXIII,
Discorso al II Congresso
degli scrittori ed artisti neri,
6 aprile 1959).

La Chiesa e questi giovani Stati 1

Si comprende allora
perché la Chiesa favorisce
il sorgere
di un’arte cristiana indigena,
permette l’uso della lingua e
musica locali nella liturgia,
stabilisce
che nei seminari di missione
l’insegnamento sappia
«formare accuratamente
il giudizio dei sacerdoti
sui valori culturali locali,
specialmente filosofici e religiosi,
nella loro relazione
con l’insegnamento
e la religione cristiana”
(Enc. Princeps Pastorum).

Queste forme
della carità missionaria
– e tutte le altre
cui non si è accennato –
sono chiara dimostrazione
del disinteresse materiale
che la Chiesa mette nella conquista
dei popoli a Cristo.

La missione è un servizio
che nasce dall’amore
per le anime.

(1 continua)

Padre Mario Bianchi, I.M.C.,
«La Chiesa e questi giovani Stati»,
in “Missioni Consolata”,
gennaio 1962, N. 1, pp. 14-16.

Foto: Mappa
dell’Africa politica oggi /
mundomap.com

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