Gv 4-5-42

Gv 4-5-42 – Domenica III di Quaresima – Anno A

 

Ambiente

Gv 4-5-42 – Anticamente il pozzo era il luogo
dove si ritrovavano le persone:
pastori per abbeverare le loro greggi,
commercianti con le loro mercanzie
in attesa dei clienti,
donne per attingere acqua
(e magari anche a fare quattro chiacchiere…)

La Bibbia racconta molti di questi incontri al pozzo;
quello narrato nel Vangelo di oggi
ha come protagonisti Gesù e una donna di Samaria.

Il pozzo di cui si parla esiste ancora,
si trova lungo la strada che dalla Giudea
conduce in Galilea, ha più di tremila anni,
è profondo 32 metri e dà ancora
acqua fresca e buona, come al tempo di Gesù.

Il testo

Gv 4-5-42 – Inizialmente, l’incontro di Gesù
con la Samaritana reca il marchio del quotidiano.
Niente di programmato.
Inoltre, il tutto avviene in uno stile di spontaneità,
all’insegna dell’occasionalità e della sorpresa.

Gesù si ferma perché è stanco, accaldato,
ha fame e soprattutto sete.
E la donna arriva al pozzo
perché deve attingere acqua.
Risulta insolita l’ora.

A mezzogiorno, in Medio Oriente,
il sole picchia martellate tremende,
e la gente preferisce starsene a casa.
Ma la donna, chiacchierata in città,
sceglie quell’ora scomoda verosimilmente
per evitare di imbattersi nelle comari
che non le risparmierebbero frecciate maligne.

Ma, improvvisamente, il racconto
assume toni drammatici ed effetti scenici.
Gesù procede per gradi
e rivela un’ottima conoscenza psicologica
e una fine arte catechetica.

“Le disse Gesù: «Dammi da bere»” (v. 7)

Gv 4-5-42 – Gesù non esita
a infrangere le barriere, a rompere gli schemi.

C’è una barriera tra Giudei e Samaritani,
e disprezzo reciproco.
E Gesù la apre e inizia il dialogo.

C’è una barriera tra i rabbi d’Israele e le donne:
la donna non poteva essere discepola.
Ragion per cui era disdicevole per un «maestro»
interpellare per strada una donna.
Gesù apre, crea libertà:
quella donna diventerà più che discepola.

C’è una barriera tra uomo e donna,
un sospetto, una paura:
i discepoli, ritornati, si meraviglieranno
che Gesù stesse a discutere con una donna (v. 27).
Gesù apre le chiusure,
fa nascere relazioni libere e serene.

«Ma la Samaritana gli disse: “Come mai,
tu che sei giudeo, chiedi da bere a me
che sono una donna samaritana?”» (v. 9)

Gv 4-5-42 – La prima reazione della donna
è una duplice sorpresa: si rende conto
che quell’uomo che le parla è un «giudeo»
e si permette di rivolgere la parola proprio a lei,
donna, oltretutto samaritana.

Si può cogliere nella sua risposta
un tentativo di sottrarsi al dialogo con quel «giudeo»,
oppure di aprire una polemica.

«Se tu conoscessi il dono di Dio
e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”,
tu stessa gliene avresti chiesto
ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (v. 10).

Gv 4-5-42 – Per nulla sdegnato da una risposta secca
e intemperante («giudeo» sulla bocca della Samaritana
ha un tono polemico), Gesù continua il suo dialogo
e ingolosisce la donna, stuzzicandone la curiosità.

Davanti alla meraviglia della donna,
sorpresa perché un «giudeo» le chieda da bere,
Gesù le rivela
che la persona veramente bisognosa d’acqua,
in quel momento, è proprio lei.

Gesù si presenta come donatore d’acqua viva.
«Acqua viva» o «acqua della vita» è una metafora
usata spesso nella Bibbia per indicare vari beni,
da quelli più umani, come la salute,
a quelli più propriamente spirituali (cf. Is 55,1).

Che non si tratti di acqua naturale,
lo si comprende bene dal fatto
che è posta in connessione con la «vita eterna» (v. 14)
e, più avanti, con il dono dello Spirito (cf. Gv 7,37-39).

«Gli dice la donna: “Signore, non hai un secchio
e il pozzo è profondo;
da dove prendi dunque quest’acqua viva?”» (v. 11)

Gv 4-5-42 – La donna rimane sorpresa
dall’inaudita disinvoltura
di quello sconosciuto giudeo
così radicalmente diverso dagli altri
perché libero da pregiudizi
e da un presuntuoso senso di superiorità.

Anche se non ha ancora vinto
le sue comprensibili riserve,
tuttavia ammorbidisce il tono,
lo chiama con più rispetto «Signore»
e gli prospetta la difficoltà
di attingere acqua dal pozzo.
Per lei l’unica fonte di acqua è quella del pozzo.

Subito, però, ritrova la sua vena polemica,
e con aria furbastra aggiunge:
«Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe,
che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli
e il suo bestiame?» (v. 12), come a dire:
“ A chi vuoi darla da bere? Ti credi addirittura
più grande del grande padre Giacobbe?”.

«Rispose Gesù: “Chiunque beve di quest’acqua
avrà di nuovo sete; ma chi bene dell’acqua
che io gli darò, non avrai mai più sete, anzi,
l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente
di acqua che zampilla per la vita eterna”» (vv. 13-14)

Gv 4-5-42 – Gesù cerca, allora,
di sospingere la donna, ormai incuriosita,
più in alto, aprendole le porte dell’infinito.

Ma la donna
non capisce le parole enigmatiche di Gesù;
coglie, però, l’aspetto vantaggioso dell’offerta
e chiede: «Signore, dammi di quest’acqua,
perché non abbia più sete e non continui
a venir qui ad attingere acqua» (v. 15).

Prima era Gesù a chiedere l’acqua, quella del pozzo,
ora è la donna che chiede l’acqua, quella che zampilla
(uso del raro verbo greco hàllomai) per la vita eterna.
Le posizioni si sono invertite.

Le richieste hanno una ben nota equivocità
(Gesù e la donna fanno riferimento
a diversi tipi di acqua), tuttavia il comune tema
dell’acqua è riuscito a creare una sintonia,
a porre il fondamento del dialogo
che ora può audacemente spingersi in avanti.

«Gesù le dice: “Va a chiamare tuo marito
e ritorna qui» (v. 16)

Gv 4-5-42 – Gesù imprime al dialogo
una nuova andatura
e si inoltra nella vita morale della donna
Perché questo passaggio?

Il tema dell’acqua ha avuto la funzione
di creare le condizioni del dialogo.
Ora si rende necessario un nuovo approccio
per far capire il senso
delle parole non comprese precedentemente,
e per svelare l’identità del misterioso interlocutore.

Gesù entra in quell’arcano mondo segreto
che è la coscienza della donna.
Le chiede di chiamare suo marito
ed ella crede di esimersi dichiarando:
«Io non ho marito» (v. 17).

«Le dice Gesù: “Hai detto bene: Io non ho marito”.
Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora
non è tuo marito; in questo hai detto il vero» (vv. 17-18)

Gv 4-5-42 Gesù le scopre la sua vita precedente,
poco raccomandabile, e il suo presente scandaloso.

Secondo il punto di vista giudaico, una donna
poteva sposarsi due volte, o al massimo, tre.
Non conosciamo la legislazione samaritana,
ma i rigidi costumi dell’Oriente non approvavano
certo una molteplicità di matrimoni.
La sua vita morale risulta, comunque,
gravemente disordinata.

«Gli replica la donna: “Signore,
vedo che sei un profeta!”» (v. 19)

Gv 4-5-42 – Radiografata, con tanta precisione,
nella sua più intima realtà dalla parola
dello sconosciuto, la donna gli riconosce
il titolo di profeta, cioè lo annovera
tra i grandi di Israele, i profeti, uomini di Dio
che hanno avuto un ruolo di primo piano
nel promuovere i rapporti tra Dio e il suo popolo.

Il dialogo ha portato a un ulteriore avvicinamento
dei due, ormai pronti per il grande balzo
della piena rivelazione, sapientemente
preparata dal tema dell’acqua
e dall’esame della vita morale.

«I nostri padri hanno adorato su questo monte,
voi invece dite che è a Gerusalemme
il luogo in cui bisogna adorare» (v. 20).

Gv 4-5-42 – Ora è la donna a prendere
l’iniziativa di guidare il dialogo.

Qualche esegeta pensa che la donna tenti di sottrarsi
all’argomento al quale l’ha inchiodata Gesù,
un modo per eludere il problema personale
molto più scottante.

Ma sembra più consono pensare che ella,
piacevolmente stupita da un uomo
così diverso dagli altri
e classificato come “profeta”,

possa dare una risposta all’annosa questione
dell’autenticità del luogo di culto:
Garizim, come credono i samaritani,
o Gerusalemme, come sostengono i giudei.

Il fattore geografico, e quindi anche teologico,
era infatti uno dei motivi di attrito tra i due gruppi.

«Credimi, donna, viene l’ora in cui
né su questo monte né a Gerusalemme
adorerete il Padre… i veri adoratori
adoreranno il Padre in spirito e verità» (vv 21-24)

Gv 4-5-42 – Gesù accetta la nuova svolta
impressa al dialogo e inizia riproponendo
la funzione storica dei giudei,
cinghia di trasmissione delle promesse.

Poi prospetta la radicale novità,
abolendo definitivamente la disputa sul luogo.
D’ora in poi non sarà più questione di geografia,
ma di attitudine interiore; non più
del “qui” o “là”, ma del “come”.

Sono indicati i due agenti del culto cristiano,
lo Spirito, inteso come principio di vita interiore,
e la Verità, cioè Cristo stesso che ci rivela il Padre

«Gli rispose la donna: “So che deve venire il Messia,
chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà
ogni cosa”» (v. 25).

Gv 4-5-42 -La Samaritana rimane
alla periferia di questa rivelazione,
troppo elevata per la sua comprensione teologica.
Gioca, allora, l’ultima carta, quella della speranza
che un giorno il Messia atteso chiarirà tutto.

«Le dice Gesù: “Sono io, che parlo con te» (v. 26).

Gv 4-5-42 – L’ingenuo tentativo di fuga nel futuro
da parte della donna è immediatamente bloccato.
Gesù le sbarra la strada, respinge ogni rimando
e afferma chiaramente che il Messia
non è da attendere, ma solo da riconoscere,
perché già presente.

«In quel momento giunsero i suoi discepoli
e si meravigliavano che parlasse con una donna» (v. 27)

Gv 4-5-42 – La meraviglia dei discepoli
che vedono Gesù parlare con una donna,
e per giunta samaritana, si spiega pensando
alla poca attenzione
attribuita in quel tempo alle donne:

non solo era poco decoroso per un rabbino
parlare in pubblico con una donna,
ma pure era tempo sprecato
tentare di insegnarle qualcosa.

Stupiti dall’atteggiamento di Gesù,
tuttavia i discepoli si guardano bene
dal chiedere delucidazioni al riguardo.

«La donna, intanto, lasciò la sua anfora,
andò in città e disse alla gente: “Venite a vedere
un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto.
Che sia lui il Cristo?”» (vv. 28-29).

Gv 4-5-42 – La Samaritana,
al termine del suo cammino spirituale,
abbandona la brocca (non le serve più
perché ormai ha trovato un’altra acqua!)
e corre ad annunciare agli altri
la sua scoperta e la sua felicità.

Racconta la sua esperienza,
insinua un dubbio,
sollecita a mettersi in cammino,
non ha la pretesa di convincere
con delle argomentazioni teoriche,
facciano anche loro l’esperienza.

«Intanto i discepoli lo pregavano:
“Rabbì, mangia!”. Ma egli rispose loro:
“Io ho da mangiare un cibo
che voi non conoscete”» (vv. 31-32).

Gv 4-5-42 – Anche i discepoli
fraintendono Gesù, perché lui parla
di un cibo spirituale, mentre loro
si limitano a un orizzonte materiale.

Ai discepoli che sollecitano il Maestro
perché prenda cibo,
Gesù risponde che il suo cibo
è l’adempimento della volontà del Padre,
impegno che sarà scrupolosamente osservato
fino al «consummatum est» di Gv 19,30.

«Voi non dite forse: ancora quattro mesi
e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico:
alzate i vostri occhi e guardate i campi
che già biondeggiano per la mietitura» (vv. 35-38)

Gv 4-5-42 – La spiegazione
che il cibo di Gesù è la sua missione,
porta abbastanza naturalmente
all’estensione della metafora in termini di raccolto:
Gesù invita a guardare i campi
che già biondeggiano per la mietitura.

È finito il tempo dell’attesa.
La presenza di Gesù in Samaria
pone le premesse per una fruttuosa stagione
di conversioni, attestata dal capitolo 8
degli Atti degli Apostoli.

I discepoli raccoglieranno i frutti
di questa singolare attività di Gesù
in una terra che, considerata straniera,
si manifesta sorprendentemente
accogliente e ospitale.

Foto: Incontro di Gesù con la Samaritana
al pozzo di Giacobbe. Incisione originale,
applicata su foglio di carta antica
Epoca XVIII secolo /ebay.it

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