Gv 1-29-34

Gv 1-29-34 – II Domenica del Tempo Ordinario – Anno A

 

Gv 1-29-34 – Prima di riprendere la lettura continua
del Vangelo secondo Matteo,
quest’anno liturgico ci riserva
per la presente domenica il brano
dal Vangelo secondo Giovanni
sulla testimonianza del Battista.

Gv 1-29-34 – Premessa

I tre Vangeli sinottici (Mt, Mc e Lc)
iniziano il racconto della vita pubblica di Gesù
ricordando il suo battesimo.

Giovanni, invece, ignora questo episodio,
tuttavia, dedica un ampio spazio al Battista.
Lo inquadra, fino dai primi versetti,
in una prospettiva originale:
più che come precursore,
lo presenta come «l’uomo mandato da Dio
a rendere testimonianza alla luce» (Gv 1,6-8).

La sua vita e la sua predicazione
suscitano interrogativi, attese e speranze nel popolo,
circola addirittura la voce che sia lui il messia.
Una delegazione di sacerdoti e leviti
va al di là del Giordano al fine di interrogarlo,
di avere delucidazioni sulla sua identità
e sulla sua opera.

Egli risponde: «Io non sono il Cristo…
Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi
sta uno che voi non conoscete,
uno che viene dopo di me,
al quale io non sono degno di sciogliere
il legaccio del sandalo» (Gv 1,19-28).

È in questo contesto
che si inserisce il Vangelo di oggi.

Gv 1-29-34 – «Giovanni,
vedendo Gesù venire verso di lui…» (v. 29a)

L’evangelista non precisa
perché Gesù venga verso il Batista,
né a chi questi rivolga la sua infuocata parola.

Tutta l’attenzione del brano è rivolta al contenuto
della solenne proclamazione del Battista:
egli è l’uomo di Dio che per primo «vede» Gesù.

Questi «viene» dal Padre
e avanza sconosciuto tra la folla,
a cui si lega per condizione umana,
incontro all’uomo testimone
che riassume le voci profetiche del passato.
Il Battista, concentrandosi tutto su di lui, esclama:

Gv 1-29-34 – «Ecco l’Agnello di Dio
che toglie il peccato del mondo» (v. 29b)

Il termine “ecco” nel greco
è praticamente un imperativo: “guarda!”, “vedi!”,
e infatti questo è il dono che il Battista ha avuto:
poterlo riconoscere e indicare.

Mentre gli altri evangelisti registrano i dubbi
del Battista (Gesù sarà o non sarà il Messia?),
l’evangelista Giovanni ci dice
che non solo Gesù è il Cristo,
ma che egli eserciterà la sua forza
con la liberazione del mondo dal peccato.

Anzitutto, perché il Battista definisce Gesù
con un’immagine davvero singolare?

Gv 1-29-34 – «L’agnello di Dio»

Mai nell’Antico Testamento
una persona è stata chiamata «agnello di Dio».

Pertanto, i discepoli del Battista non sapevano
e non potevano sapere
che cosa volesse dire il loro Maestro,
perché al tardo giudaismo era ignota
l’immagine del redentore come agnello.

Inoltre, il Battista aveva a disposizione
altre immagini: pastore, re,
giudice severo.
Quest’ultima l’ha anche impiegata:

«Viene uno più forte di me…
Ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia
e per raccogliere il frumento nel granaio;
ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile»
(Lc 3,6-17).

Nella sua mente, tuttavia, nessuna immagine
riassumeva la sua scoperta dell’identità di Gesù
meglio di quella dell’agnello di Dio.

Pio israelita, sapeva che i suoi ascoltatori,
sentendolo accennare all’agnello,
avrebbero immediatamente intuito
l’allusione all’agnello pasquale,
il cui sangue, posto sugli stipiti delle case, in Egitto,
aveva risparmiato i loro padri
dall’eccidio dell’angelo distruttore.

Inoltre, c’è una seconda allusione
nelle parole del Battista:
chi ha presente le profezie
contenute nel libro di Isaia,
non può non percepire il richiamo
alla fine ignominiosa del Servo del Signore.

Ecco come Isaia descrive
il suo incamminarsi verso la morte:
«Era come agnello condotto al macello,
come pecora muta di fronte ai suoi tosatori…
è stato annoverato fra gli empi,
mentre invece portava il peccato di molti
e intercedeva per i peccatori» (Is 53,7.12).

Il Battista ha in mente un terzo richiamo biblico:
l’agnello è associato anche al sacrificio di Abramo.
Isacco, mentre cammina al fianco del padre
verso il monte di Moria, chiede:
«ma dov’è l’agnello per l’olocausto?».
Abramo risponde:
«Dio stesso provvederà l’agnello» (Gn 22,7-8).

Gv 1-29-34 – «Ecco colui
che toglie il peccato del mondo!» (v. 29)

Il Battista, non solo chiarisce l’identità di Gesù,
ma ne indica anche la sua funzione:
«togliere il peccato del mondo».

Si noti, anzitutto, che Giovanni
usa il verbo al presente («toglie»),
non un verbo al futuro, nella speranza,
non al passato come un fatto concluso:
ecco colui che continuamente, instancabilmente,
toglie, porta via, si addossa, ancora adesso,
il peccato.

Inutile stare a discutere
quale traduzione sia migliore
per il participio del verbo airo,
che i dizionari di greco biblico rendono
sia con “toglie” (presente ad es. nella versione CEI)
sia con “prendere su di sé”
(così la ABU in lingua corrente);

tutti e due gli aspetti sono possibili,
proprio come per il lat. tollo
(ecce agnus Dei qui tollit peccatum mundi).
L’importante è rilevare che il verbo impiegato
significa, oltre a quanto detto sopra,
“eliminare, far sparire, annullare”.

Gv 1-29-34 – Che cos’è il «peccato del mondo»?

Che cosa elimina Gesù, ovvero,
di quale peccato si parla?

«Il peccato del mondo»,
nel Vangelo secondo Giovanni,
è l’incredulità.

Quando Dio viene a “contestare”,
a “litigare” con il suo popolo,
per usare una parola magnifica dei profeti,
la sua accusa è sempre questa:

Tu non credi, tu non hai fede,
hai abbandonato me, sorgente di acqua viva,
e ti sei fatto cisterne screpolate,
che non trattengono l’acqua,
e che non trattengono vita.

Peccare significa, allora, non accettare
la tenerezza di Dio, che in Gesù si mostra
l’amico del nostro pellegrinaggio,
interessato alla gioia degli uomini,
capace di dimenticarsi dietro una pecora smarrita,
a un’adultera, a un bambino,
capace d’amare fino a morire, fino a risorgere.

Peccare significa volere un altro Dio:
il Dio della forza, della paura, dei castighi,
un Dio che dona infelicità all’uomo.

Ecco, invece, l’agnello di Dio,
colui che si sacrifica per me,
che toglie via la paura di Dio,
il peccato di una fede sbagliata,
in un Dio sbagliato.

Gv 1-19-34 – «Io non lo conoscevo» (v. 31)

Il Battista, attraverso la sua testimonianza,
ci indica che la via della ricerca di Dio
non è una via che parte da ciò che si conosce,
da ciò che si pensa di aver capito,
ovvero da risposte preconfezionate,
ma esattamente dal contrario.

La via che ci conduce a Dio
è innanzitutto una profonda disponibilità del cuore
a mettersi in cammino verso un Mistero
che non si conosce ma che si desidera incontrare.
e che detta Egli stesso le regole.

In altre parole, è ascoltare Dio
che ci parla nel cuore,
e che se usa una dottrina
è per indicarci una direzione
e non per chiudere un viaggio.

Gv 1-29-34 – «Giovanni rese testimonianza dicendo:
“Ho visto lo Spirito scendere come una colomba
dal cielo e rimanere su di lui”» (v. 32).

Il riferimento è alla scena del battesimo
narrata dai sinottici (Mc 1,9-11).
Il Battista introduce, però,
un particolare significativo:
lo Spirito non solo è visto discendere su Gesù,
ma rimanere su di lui.

Nell’AT si parla spesso dello spirito di Dio
che prende possesso degli uomini
conferendo loro forza, determinazione, coraggio.
Si parla di una sua discesa sui profeti
che vengono abilitati a parlare in nome di Dio;

ma la caratteristica di questo spirito
è la sua provvisorietà:
permane in queste persone privilegiate
fino a quando hanno portato a termine
la loro missione.

In Gesù, invece, lo Spirito rimane
in modo duraturo, stabile.
La stabilità nella Bibbia
è attribuita soltanto a Dio: solo lui
è «il vivente che rimane in eterno» (Dn 6,27)
solo la sua parola «rimane in eterno» (1 Pt 1,25).

Gv 1-29-24 – Conclusione

Ricapitolando quanto detto finora,
desidero puntualizzare tre aspetti
della stupenda testimonianza del Battista
riguardo Gesù Cristo,
una testimonianza,
per certi aspetti, sconvolgente.

Giovanni Battista non si vede venire davanti
il Messia nelle sembianze del leone di Giuda,
che avrebbe stritolato i nemici di Dio.

Agli occhi sorpresi de Battista,
Gesù non appare nemmeno come il capro espiatorio:
è indifeso come un agnello mansueto e vulnerabile,
ma non è affatto una vittima complessata,
inacidita e lamentosa.

Infine, il Battista vede lo Spirito scendere dolcemente
e rimanere sul Figlio di Dio «come una colomba».
Una colomba, non un’aquila rapace
che piomba su un povero agnellino inerme,
ma neanche un vecchio,
tranquillo piccione domestico.

È la colomba delle origini
e di quel grande ricominciamento
che c’è stato dopo il diluvio.
La colomba dice la freschezza intatta
del mattino della creazione
e anche l’inesausta capacità, tipicamente divina,
di non arrendersi mai al nostro peccato.

Se l’agnello è simbolo dell’amore
spinto fino all’immolazione di sé,
la colomba è indice di cieli nuovi e di terra nuova,
e segno di perenne, incessante giovinezza.

Foto: Philippe de Champaigne,
«San Giovanni Battista indica Gesù Cristo
come l’Agnello di Dio», 1645, olio su tela
(145 cm x 112 cm) Musée des Beaux-Arts
Grenoble, Francia / it.cathopedia.org

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