Grieco

Grieco. Cinquantadue modi, e più, di cercare Dio
Parlano scienziati e artisti in un libro-inchiesta di Giuseppe Grieco

Grieco. Sulla copertina una fotografia simbolica.
La foresta di guglie di una cattedrale gotica che svetta nel cielo.
Pinnacoli arditi lavorati dalla fatica e dalla fede dell’uomo medievale
in un’ansia di bellezza e nel desiderio di elevarsi verso Dio.

Mattone dopo mattone lì nella vastità dello spazio
come un fiore per esaltare la grandezza di Dio
e al tempo stesso per esprimere il bisogno di Dio.

E «Il bisogno di Dio» è anche il titolo di un volume-inchiesta di Giuseppe Grieco
fresco di stampa (Rusconi editore, pag. 320, lire 8.500).

Un libro, e la cosa ha anche una sua singolare e significativa coincidenza,
che esce nel momento stesso in cui in Francia appare un libro quasi parallelo.
«Dieux existe? Oui» di Christian Chabanis, edizioni Stock (Dio esiste? Sì).
Libro, questo d’oltralpe che raccoglie le risposte di fede
di 25 illustri personaggi di Francia.

Grieco, nelle sue fitte pagine, introduce invece le voci autorevoli
di trenta uomini di casa nostra, molti i credenti ma non tutti.
Del mondo delle lettere e della scienza, dell’arte e dello spettacolo.
Filosofi, fisici, poeti, pittori, commediografi e attori.

Da Nicola Abbagnano ad Antonino Zichichi, da Ugo Spirito
a Giuseppe Prezzolini, da Diego Fabbri a Mario Luzi,
da Carlo Coccioli a Giovanni Testori, da Riccardo Bacchelli
a Cesare Zavattini, da Paola Borboni a Giulietta Masina.

Sessant’anni quest’anno, campano, giornalista e critico teatrale del settimanale «Gente»,
vincitore nel ’51 di un premio «Bagutta opera prima» per la poesia e autore
di un romanzo di successo, «Casa Vanacore», Giuseppe Grieco ha ascoltato
tutte queste voci, in questi nostri anni febbrili e inquieti, nel chiuso dei loro studi
o nel salotto buono di casa, in un camerino di teatro
o mentre era in corso un convegno internazionale.

Pronto sempre a chiedere, a sollecitare l’interlocutore
alla confessione più totale e sincera. Stando il più possibile vicino con le sue domande
al pensiero e al cuore di colui che doveva rispondere a un tema così grande
e che ci tocca tutti da vicino.
Così da far nascerne interviste mai asettiche, fredde.

«Grieco, quando ti è venuta l’idea, idea bellissima, di ascoltare queste voci?».

«Nell’autunno del ’78. L’occasione precisa fu leggere sul “Corriere”
un’intervista con il commediografo inglese John Osborne,
il quale affermando che era diventato un credente, un presbiteriano se non sbaglio,
diceva poi che, oggi, per lui, era più difficile, più anticonformista,
dichiararsi appunto credente che non ateo.
Questo è un problema molto attuale.
Ne parlai con il direttore del giornale, il quale mi disse «Prova».

A monte di questo ti dirò, c’era un motivo abbastanza immediato.
Tre anni prima io avevo interrogato una decina di filosofi italiani di varie confessioni,
da Spirito ad Abbagnano a Dal Pra, chiedendo loro:
«Voi siete i nostri maestri, i filosofi,
che cosa avete da dirci, dove siamo e dove andiamo.
Che messaggio, se lo avete, potete darci».

Su questa base mi sono mosso e sono andato ad ascoltare.
Naturalmente mi son detto faccio tre o quattro articoli. Non di più.

E per primo ho ascoltato Nicola Abbagnano,
il filosofo esistenzialista non credente,
ma un esistenzialista positivo, aperto alla metafisica.
E abbiamo fatto il punto sulla situazione odierna della prospettiva religiosa.

Dopo Abbagnano ho interrogato Prezzolini,
il quale per prima cosa mi ha detto:
«Ma come lei viene a parlare di Dio con me,
che nella mia lunga vita non l’ho mai trovato».
«Sì – gli ho replicato – è vero, ma lei a 96 anni
sta ancora li a rompersi la testa e a porsi il problema».

E la spinta era in quei libri di teologia che aveva sulla scrivania.
Così fu che mi raccontò tutta la storia dei suoi rapporti con Dio.

Poi fu la volta di Ugo Spirito che in lunghe ore
mi fece la summa di tutta la sua filosofia.
Spirito è anche il solo dei personaggi inseriti nel libro,
che nel frattempo è morto.

«Lunghe ore hai detto? Quindi è un lavoro che ti ha sottratto molto tempo?».

Vedi il tempo degli incontri variava.
A volte duravano anche solo un’ora.
A volte, come fu il caso dello scienziato Antonino Zichichi abbiamo preso a parlare,
perché io non sono mai andato con una “scaletta” di domande belle e pronte,
alle 9,30 di sera e alle tre del mattino stavamo ancora conversando nella hall di un albergo.

Ma c’è stato anche chi ho dovuto avvicinare con un’astuzia.
Come il filosofo Augusto Del Noce
che prima ho incontrato in casa di un amico
e che poi, per approfondire meglio il problema,
mi ha pregato di tornare a intervistarlo a casa sua.

«Allora un lavoro non sempre facile…».

Non sempre. Qualcuno di fronte a tanto e tale argomento
si è dimostrato in un primo momento smarrito.
Aveva paura, una paura comprensibile, di parlare di Dio.
Certi conti non amiamo farli in pubblico.

Ecco, la Masina ad esempio era veramente angosciata.
Poi però tutti si sbloccavano parlandone.
Ma mi è successo che qualcun altro, che pur si proclamava ateo,
come l’astrologa Margherita Hack, ha accettato subito.
E artisti come il pittore Virgilio Guidi che da dieci anni non dava interviste,
considerato il tema, subito si è detto disposto.

«Tra le persone ascoltate, prevalgono, mi pare, i credenti».

È da premettere una cosa.
Se per credente si intende gente aperta al soprannaturale,
ad una dimensione metafisica,
senza che tutti siano veramente cattolici, sicuramente sì.
La grande maggioranza.

Perché oggi l’ateismo, soprattutto dopo la crisi del marxismo, diventa difficile.
C’è chi dice che l’ateismo è un’opzione, ed è in fondo più facile
trovare l’ateo fra la gente di cultura generica che non fra gli scienziati.
È cambiato proprio il rapporto ottocentesco fra la scienza positiva e negativa.
La scienza oggi di fronte a Dio si ferma e dice: «Non fa parte del mio dominio».

«Ma ti è sembrato, almeno fra i veri cattolici ascoltati,
che la loro fede fosse una fede personale
oppure una fede ben inserita nella comunità?».

Io direi che in tutti, in chi ha la fede adesso,
in chi l’ha perduta e in chi ha la speranza di possederla,
ci sia la nostalgia di una comunità
in cui la fede sia come il pane quotidiano…
Anche se poi, e va tenuto conto che le interviste si rivolgevano tutte
a persone già avanti nella vita, la fede è sentita come un fatto personale.

«Ti è parso che ci siano tanti modi di credere?».

Ah, sì. Al di là della pratica comune, ognuno crede
secondo la sua dimensione, la sua cultura, i suoi stati d’animo.
Sì, diciamo pure secondo le sue tragedie personali, i suoi dolori.
Ognuno ha un modo particolare di ricercare, di trovare Dio…

«Senti, questo tuo libro-inchiesta a chi è soprattutto indirizzato?».

Grieco sorride: «Ecco, diciamo pure che il primo destinatario di esso sono io.
Ti posso fare una confessione.
Da tempo, nell’ambito di quelle che dovrei chiamare le mie inchieste,
ho un chiodo fisso, quello di una meditazione sui duemila anni del Cristianesimo.

È da anni infatti che ho in mente di scrivere un libro dal titolo “Il debito”.
Hai presente quella frase dell’«Enrico VI» di Shakespeare
quando Hotspur si rivolge a Falstaff e gli dice:
«Ricordati che hai il debito di una morte verso Dio?».
E il debito è la storia di uno di oggi che fa il conto con la sua vita…

«Ma esigenza personale a parte, ti pare che questo «Il bisogno di Dio»
sia più diretto ai giovani o alle persone avanti con gli anni?».

Vedi, all’inizio non è che io abbia pensato a un libro
da sbriciolare prima in una serie di inchieste.
Il libro all’inizio non esisteva nemmeno come idea.

Sono partito col fare quattro o cinque interviste per “Gente” su un tema tanto attuale
e scottante e nessuno poteva prevedere una cosa del genere.
Che le inchieste cioè andassero avanti una dietro l’altra per mesi e mesi.
E ancora continuano.

Guarda, sono qui alla macchina da scrivere per trascrivere la cinquantaduesima.
Ci sono state lettere e telefonate continue di persone che chiedevano di andare avanti.
Di interrogare altri nomi, che magari mi suggerivano.
Insomma, era un’esigenza sentita da moltissimi.
Al punto che mi son domandato se dovevo interrogare solo uomini di scienza
o di lettere o anche di altre categorie.

«E così hai dovuto allargare il campo…».

«Naturalmente».

«Senti, il titolo l’hai scelto tu? O ti è stato suggerito
indirettamente magari da qualche lettore?».

«In genere è l’editore che fa delle scelte,
magari dopo un’attenta indagine di mercato…
Personalmente l’avrei chiamato “tout court” “Inchiesta su Dio”».

«E perché non “La ricerca di Dio?”».

«Potrebbe essere il titolo di un secondo volume, se si farà».
Te l’ho detto, le interviste continuano.
Sono qui con le risposte di un chirurgo di fama, il professor Lino Belli…

«Cinquantadue persone avvicinate. Di molte sei diventato amico.
Ma di queste persone chi più ti ha impressionato, chi ti ha colpito?».

«Folgorante l’incontro con il fisico Antonino Zichichi
che mi ha illuminato su che cosa sia veramente la materia.
E poi, il teologo don Divo Barsotti.
Nei suoi occhi ho visto veramente la luce di Dio».

Domenico Rigotti, «Cinquantadue modi, e più, di cercare Dio.
Parlano scienziati e artisti in un libro-inchiesta di Giuseppe Grieco»,
in “Avvenire”, domenica 3 febbraio 1980, p. 3.

Foto: Copertina del libro di Giuseppe Grieco, «Il bisogno di Dio» / ibs.it

Riporto qui due passaggi del libro di Giuseppe Grieco, «Il bisogno di Dio»:

GIULIETTA MASINA, Attrice

«Cominciamo dal principio, e nel modo più semplice: lei crede in Dio?».
«Sì».

«Quale Dio?»
«Dio per me è amore, è vita, è gratitudine della creatura umana verso il suo Creatore.
È una cosa bella, Dio; una cosa che ha il sapore dell’infanzia,
quando c’è un papà e una mamma che rispondono alle tue domande infantili e magari
non hanno la risposta giusta da darti e allora ricorrono a una favola per accontentarti.

Ed ecco che, proprio come nelle favole, c’è la lotta tra il bene e il male,
e c’è il bene che trionfa sempre perché a risolvere ogni nodo,
anche il più intricato, interviene a un certo momento la bacchetta della fata.
Nell’infanzia, Dio è sempre presente in quel cucciolo d’uomo che è il bambino:
un cucciolo che ha bisogno di tutto e in primo luogo di essere difeso…».

«Scusi se la interrompo, ma non le pare di fare un discorso un po’ vago?».
«No, le sto dicendo cose che per me sono concretissime» risponde Giulietta Masina.
«Dio, per me, è proprio questo: una presenza continua, anche se ineffabile.
Lo sento, per esempio, quando sbaglio,
quando mi scopro diversa da come vorrei essere».

ANTONINO ZICHICHI, Fisico

«Professor Zichichi, lei è un uomo di fede?»
«Sì, sono un credente».

«E come concilia la sua fede con la sua scienza?».
«Le rispondo precisando innanzitutto che di questa “conciliazione”,
come lei la chiama, uno scienziato non ha assolutamente bisogno.

La presunta inconciliabilità tra scienza e fede
è una delle grandi mistificazioni della cultura dominante,
e cioè della cultura dei filosofi, dei letterati e dei falsi scienziati.
Il dominio della fede, infatti, non ha bisogno di essere corroborato dalla scienza.
La fede, essendo un dono di Dio, è al di sopra e al di là della scienza».

«A proposito, quando parla di Dio, a quale Dio si riferisce precisamente?».
«Il Dio in cui credo» risponde Antonino Zichichi
«è il Dio della religione cattolica che io professo e della quale sono praticante.
Naturalmente, non sono arrivato alla fede attraverso la scienza,
e questo perché la scienza non fa diventare uomini di fede.

Piuttosto, e proprio in quanto uomo di scienza,
devo dirle che trovo assolutamente falso affermare
che la scienza abbia trovato un solo fenomeno che sia in contrasto con Dio.
Chi dice questo, mi creda, non sa cosa è la scienza».

«Eppure molti sostengono il contrario».
«Perché la scienza è stata mistificata dalla falsa cultura.
Ancora oggi l’uomo comune è vittima di slogans che non hanno senso,
come quello marxista secondo cui la religione sarebbe l’oppio di popoli.

Se mai l’oppio è Marx, che ha proclamato come verità assolute
tante cose che poi non si sono avverate;
oppio è Marcuse, che ha chiacchierato di “uomo a una sola dimensione”
senza assolutamente sapere cosa sono in realtà le dimensioni».

«Perché è proprio cattolico, professor Zichichi?».
«Perché io credo che la religione cattolica
sia di una tale straordinaria struttura di valori
da vincere il confronto con qualsiasi altra religione».

Da “Avvenire” domenica 3 febbraio 1980, p. 3.

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