San Francesco del Prato rifiorisce a Parma
San Francesco del Prato – La grande
chiesa gotica è tornata all’uso liturgico
dopo che per secoli è stata carcere
e luogo di sofferenze
Il 3 ottobre 1226 a Santa Maria degli Angeli
il corpo stigmatizzato di frate Francesco d’Assisi
incontra “sorella morte” e raggiunge così il suo Signore.
Il 3 ottobre 2021 a Parma
l’edificio di San Francesco del Prato,
marcatamente martoriato – materialmente
e spiritualmente – da quasi
duecento anni di vita carceraria,
risorge come chiesa.
Da dove quindi ha inizio questa storia
di morte e risurrezione?
A Parma la prima presenza minoritica
verosimilmente risale
a quando Francesco è ancora vivo.
Due bolle di Gregorio IX
testimoniano certamente
che è una realtà consolidata almeno
negli anni Trenta del XIII secolo.
Ma è soprattutto la famosa Cronica
di fra Salimbene (1221-1288)
a raccontare esplicitamente
la forte connessione tra Parma
e le prime generazioni francescane.
La città si dimostra in effetti
sensibile alla novitas evangelica
e dona non poche vocazioni all’Ordo Minorum:
tra gli altri, fra Giovanni Buralli (1208-1289),
sesto Ministro generale e poi beato.
E la popolazione d’altra parte
riceve una vivace iniezione
di fraternità e predicazione,
che incide in particolare
a livello spirituale, culturale e sociale,
come accade con la Magna Devocio dell’Alleluja,
guidata da fra Gherardo Boccabadati da Modena
(1200 circa-1257).
Se non si può dire che la grande chiesa
di San Francesco del Prato sia sorta in
questi anni – la data di fondazione infatti non è certa –
certamente la solida alleanza
tra i francescani e la gente di Parma
sta alla base di un così grande sforzo costruttivo.
Tutto comincia sicuramente con tre fornaci
per la cottura dei mattoni,
svelate dagli scavi archeologici:
nella loro umiltà terragna infatti
rendono bene l’idea del cantiere medievale,
in cui carpentieri, frati e popolazione
collaborano in maniera evidente
a costruire l’edificio sacro
con le risorse e lo stile del posto.
La nuova chiesa gotica sfiora le dimensioni
della romanica cattedrale cittadina:
infatti è lunga 70 metri, alta 24.
A pianta basilicale, senza transetto,
l’edificio si regge solo su due file di quattro colonne.
Lo spessore particolarmente ridotto delle pareti
e l’enorme ampiezza degli archi a sesto acuto
fanno percepire senz’ombra di dubbio
a chi percorre le tre navate
un senso di grande apertura e leggerezza.
Quasi un’aula unica dunque:
come tante chiese degli ordini mendicanti,
pensate e vissute soprattutto per la predicazione.
La grandiosità spaziale inoltre è possibile
grazie all’essenzialità delle linee
e all’uso sapiente dei materiali.
La struttura in laterizio infatti
è ingentilita da un semplice intonaco bianco,
sottolineato da ghiere rosso mattone.
Capriate in rovere coprono le navate.
Solo le tre absidi a est
sono arricchite da volte a ombrello;
tra di esse peraltro fa capolino
il segno di una mensola lavorata
che verosimilmente
doveva rinforzare la muratura
di un campanile a vela.
Tutto fa pensare perciò
che la struttura primitiva
rispettasse alla lettera
le indicazioni costruttive
del Capitolo generale di Narbona del 1260.
Nonostante le incertezze storiche
sulle fasi costruttive della chiesa,
il convento di Parma ha indubbiamente
un grande rilievo in Emilia:
inoltre dal XV secolo
è Studium Generale dell’Ordine.
Rimane sicuramente nell’alveo
della tradizione conventuale
anche dopo la divisione
all’interno della famiglia francescana nel 1517
e l’arrivo in città delle riforme di osservanti,
scalzi e cappuccini.
La struttura conventuale successivamente
si amplia almeno fino al Sei-Settecento.
Nella sobria chiesa gotica dal XIV-XV secolo
compaiono anche affreschi votivi sulle colonne
e parimenti si aprono cappelle laterali.
Anche l’abside centrale
viene decorata a fresco:
la volta diviene così un cielo stellato,
quasi srotolato dal Padre creatore;
sotto queste stelle d’oro
la sommità delle pareti absidali
è ritmata da architetture che – come cimase
di un polittico – ospitano santi e figure francescane
affacciate verso l’altare e le navate.
Ma di tutto questo
fino a pochissimo tempo fa
si vedeva e si sapeva ben poco,
perché chiesa e convento
per due secoli vengono chiusi.
Nella seconda metà del XVIII secolo
infatti, molti sovrani europei
cominciano a operare vere e proprie
“razionalizzazioni” e soppressioni
di comunità religiose.
Con Napoleone questa tendenza
diventa del tutto un sistema:
in effetti dopo l’annessione del Ducato,
nel 1810 le leggi di soppressione dei religiosi
portano all’espulsione definitiva dei frati
e all’incameramento dei loro beni.
Il convento viene così trasformato in carcere,
come accaduto a molti altri conventi
e monasteri in Europa.
Caso più unico che raro,
qui anche la chiesa è coinvolta
nella trasformazione a uso penitenziario.
I lavori sono imponenti.
Dopo la distruzione di altare,
coro, organo e altri arredi,
le tre navate vengono suddivise
tamponando le grandi arcate.
Se la navata centrale resta un volume unico –
utilizzato successivamente come magazzino,
laboratorio e parcheggio -, le navate
e le cappelle laterali vengono ulteriormente suddivise
in tre piani e in molte celle, traforando le antiche mura
con finestre, porte e scale.
Persino sulla grande facciata le due monofore
devono lasciare spazio a diciotto finestre,
serrate da pesanti inferriate.
Solo il rosone tardogotico
resta al suo posto.
Come circondato.
Anch’esso totalmente imprigionato.
Dopo una così pesante trasformazione,
il “Carcere di San Francesco”
costringe tra le sue mura centinaia di detenuti
per quasi due secoli,
tra le alterne vicende di Parma e d’Italia.
Nel difficile periodo che la città attraversa
dopo l’annessione del Ducato al Regno sabaudo,
il degrado sociale si riflette in particolare
sulle strade e nel carcere.
Le donne più fragili su entrambi i fronti
trovano un riferimento
nella beata Anna Maria Adorni (18051893),
che – dapprima volontaria e poi religiosa – diventa
un sostegno spirituale e concreto
per ridare dignità alla loro vita.
Anche padre Lino Maupas (1866-1924),
francescano osservante dell’Annunziata,
si dedica con passione ai poveri della città
e diviene cappellano del Carcere:
un frate rispettato e amato da tutti,
ricchi e poveri, allora e oggi.
Al termine del Ventennio fascista,
durante la Seconda guerra mondiale,
nel Carcere di San Francesco
si riflettono le stesse tensioni
per i valori democratici
che attraversano la Penisola.
Tra quanti vengono giustiziati al suo interno
ricordiamo due ammiragli della Regia Marina
che, dopo l’8 settembre 1943,
rifiutano ai tedeschi la collaborazione e la resa;
vengono anche fucilate tre guardie carcerarie,
scoperte ad aiutare i partigiani prigionieri.
Nel 1992, dopo il trasferimento del carcere
nella nuova sede fuori città,
la gente di Parma inizia a capire
che può tornare a mettere piede
in questa degradata porzione cittadina,
sostanzialmente recisa dal tessuto urbano
e sociale da quasi due secoli.
Inizia allora un lungo percorso di dibattiti,
progetti, fallimenti e riprese.
Nel 2017-2018 l’accordo tra la proprietà – il Demanio –
e i concessionari del complesso
di San Francesco – l’Università e la Diocesi di Parma –
pone le basi per la riqualificazione
di questo ampio settore del centro cittadino.
Grazie all’opera
di un apposito Comitato – con rappresentanti
di istituzioni, mondo produttivo e cittadini –
la Diocesi conduce il recupero architettonico
e funzionale della grande chiesa
di San Francesco del Prato.
La vasta squadra di lavoro,
guidata dal compianto don Alfredo Bianchi,
col tempo diventa una vera e propria comunità:
i progettisti coordinati
dall’architetto Giorgio Della Longa,
affiancato dall’ingegner Giovanni Cangi;
e le maestranze dirette da Saverio Borrini
in stretto contatto con il coordinatore
del Comitato, Stefano Andreoli.
Dopo settecento giorni lavorativi,
il 3 ottobre 2021 il vescovo Enrico Solmi
dedica nuovamente l’edificio
a Dio e al santo di Assisi,
in una celebrazione solenne,
gioiosa e partecipatissima:
in presenza e online.
Ne affida poi la cura pastorale
ai Frati Minori Conventuali,
che negli ultimi cinquant’anni in città
si sono occupati della cappellania del carcere,
e ultimamente della pastorale universitaria.
Il 4 ottobre 2021 poi,
all’indomani della consacrazione,
la chiesa ospita un singolare atto accademico:
l’Università degli Studi di Parma
conferisce a Sergio Mattarella
la Laurea magistrale honoris causa
in Relazioni internazionali ed europee.
Nel giorno dedicato al Patrono d’Italia
il Presidente della Repubblica
indica perciò la strada
per sviluppare un diritto comune europeo
in materia universitaria.
Tutto questo in un luogo
che torna a rimettere in dialogo simbolicamente
vita spirituale, fraterna e accademica,
analogamente a quanto avveniva
con lo Studium teologico francescano
a partire dal XV secolo.
Dopo settecentonovantacinque anni
dalla Pasqua di san Francesco d’Assisi
una chiesa perduta – ma che mai però
ha smesso di portare il suo nome –
è stata ritrovata.
La sua nuova consacrazione
ha fatto celebrare alla Chiesa
e alla città di Parma
una “Pasqua” molto intensa.
La parabola storica di questo luogo
è un segno fortissimo di riconciliazione,
di grande intensità spirituale per i credenti,
di grande eloquenza per tutti.
I frati del passato remoto,
i detenuti del passato prossimo,
la gente del presente:
tutti sono uniti
in questo cammino di redenzione.
La forte progettualità
espressa nel recupero di questo luogo
possa aver séguito
nel restauro della “chiesa di persone”
e nel cantiere dei rapporti umani
con i “fratelli tutti”.
Francesco Ravaioli (frate minore conventuale),
«San Francesco rifiorisce a Parma», in
“Luoghi dello Spirito”, gennaio 2022, n. 268, pp. 40-43.
Foto: Abside di San Francesco del Prato, Parma /
parmaitaly.com